Non è infrequente avere a che fare con delle persone difficili sul lavoro. Per affrontare questa situazione ci sono 10 potenti strategie.
A volte il lavoro può sembrare una giungla di relazioni difficoltose coi colleghi e i capi. Non è sempre rose e fiori: ci sono giorni sì e giorni no, soprattutto quando abbiamo a che fare con persone difficili sul luogo di lavoro.
Che fare? Possiamo seguire i consigli dello psicologo Lachlan Brown, fondatore del sito Hack Spirit, che indica 10 potenti strategie per aiutarci ad affrontare e a gestire al meglio situazioni come queste sul luogo di lavoro, decisamente più frequenti di quanto si pensi.
Mettendole in pratica alla fine saremo meglio attrezzati per rendere le nostre giornate lavorative meno stressanti e più produttive. Lo scopo è quello di rendere i nostri rapporti di lavoro più fluidi e facili, meno “abrasivi” e stressanti.
La prima strategia vincente per migliorare il clima lavorativo è quella di mettersi essenzialmente nei panni dell’altro e pensare come potremmo sentirci al suo posto. Oggi si parla appunto di praticare l’empatia, per vincere quello che è noto come effetto spotlight, l’effetto riflettore che ci spinge e sentirci non solo al centro del nostro mondo, ma anche al centro dei mondi altrui.
Meglio provare invece a de-centrarsi un po’ e cercare di essere più comprensivi. La nostra vita ci sembra spesso una serie di lunghe lotte e battaglie. Ma non è così solo per noi. Chi lo dice che il nostro collega “difficile” non abbia la sua lista di battaglie – lunga magari quanto la nostra – di cui non siamo minimamente a conoscenza? O magari sta passando un momento difficile a livello personale che lo sta mettendo a dura prova. O ancora potrebbe essere molto stressato.
Provando a essere empatici possiamo cercare di capire da dove provengono le sue difficoltà. Attenzione, ciò non implica che dobbiamo accettare comportamenti scortesi o inappropriati. Ma comprendere il punto di vista del collega può aiutarci ad affrontare meglio la situazione. Proviamo a metterci nei suoi panni. Si comporta male perché c’è qualche peso che lo schiaccia? Ha una situazione difficile da gestire al di fuori del lavoro? Potrebbe essere qualsiasi cosa. Capirlo potrà aiutarci a formulare una risposta più efficace, più meditata e meno impulsiva.
Ripetiamo: praticare l’empatia non significa trovare scuse e alibi per il cattivo comportamento degli altri. Si tratta di comprendere il contesto e affrontare la situazione in maniera più compassionevole.
Oggi l’idea che ci siano limiti è una specie di bestemmia. Tutto ci invita a vedere i nostri limiti come un nemico da sconfiggere. Ma la nostra esperienza ci dice tutt’altro, ovvero che premere sempre sul pedale dell’acceleratore è distruttivo per noi, e che non possiamo sempre essere dappertutto o aperti a qualunque cosa.
Da qui l’importanza di conoscere i nostri limiti e di renderli chiari a tutti. Se durante le ore lavorative qualcuno ti interrompe continuamente o ti chiede di fare sempre di più di quanto dovresti, forse è ora di parlare chiaro.
In maniera educata, ma con fermezza, bisogna dire no e far sapere che queste continue richieste non sono accettabili. Agire in questa maniera potrebbe anche farci sentire a disagio, soprattutto se non siamo abituati a difenderci. Ma tracciare i confini è necessario per conservare un ambiente di lavoro sano.
Potremmo dire qualcosa di simile: «In queste ore ho necessità di concentrarmi sul mio lavoro. Possiamo discutere di questo in un altro momento?». Anche in questo caso bisogna essere consapevoli che fissare dei limiti e tracciare dei confini non corrisponde a una dichiarazione di ostilità. Il punto è rispettare i propri bisogni e assicurarsi che anche gli altri lo facciano. Qualche no davanti alle richieste di troppo non solo è indispensabile: è una manifestazione di personalità che potrebbe anche farci guadagnare un po’ di rispetto da parte delle persone difficili. Mostrare la nostra naturale dignità e non lasciarsi sopraffare è vitale.
Quasi sempre la prima cosa che salta quando abbiamo a che fare con delle persone difficili al lavoro è la calma. Ma far perdere la calma è esattamente il gioco dei provocatori, che mirano a farci arrabbiare con comportamenti provocanti e magari commenti sprezzanti.
La conseguenza è tanta rabbia e stress per noi. Si tratta di capire una cosa: reagire in maniera rabbiosa a questi comportamenti significa dare loro esattamente quello che vogliono. C’è un solo modo per disinnescare questa situazione: cambiare approccio e cominciare a fornire risposte calme. Invece di reagire e mettersi subito sulla difensiva possiamo provare a spiazzare il nostro interlocutore con risposte semplici come: «Grazie per il tuo riscontro», «Prenderò in considerazione quello che mi dici» e cose simili.
Brown racconta di essersi trovato in una situazione simile con un collega che provocatoriamente si “divertiva” a premere i pulsanti della sua tastiera e a bombardarlo di commenti negativi. Reagire con calma e fermezza lo ha aiutato a non provare rabbia e a non alimentare una situazione esplosiva. Risultato? In poco tempo il collega difficile si rese conto che le sue tattiche non funzionavano. E alla fine mutò atteggiamento: in meglio. Per cui a volte la risposta migliore è quella di non perdere la calma e non lasciare che le persone difficili ti facciano perdere pace e serenità.
Spesso trascuriamo questo aspetto sul lavoro, ma anche il modo in cui comunichiamo coi nostri colleghi gioca un ruolo fondamentale nella nostra esperienza lavorativa. Quando dobbiamo fare i conti con persone difficili si rivela di particolare importanza riuscire a parlare in modo chiaro e assertivo. Dobbiamo indicare in maniera specifica il problema che abbiamo e come questo impatta su di noi.
Meglio dunque non rimanere sul generico e non buttarla sul personale. Invece di limitarci a dire al collega: «Sei sempre così negativo!», puntando così il dito su un tratto della sua personalità, proviamo a dire: «Quando parli in maniera così negativa di questo progetto, mi risulta più difficile rimanere motivato».
Non bisogna poi trascurare il lato dell’ascolto. Comunicare bene non vuol dire solo parlare, ma anche ascoltare per capire bene. Perciò, anche se è difficile, proviamo ad ascoltare quello che ha da dire la persona difficile. Dalle sue parole potremmo anche scoprire una soluzione a cui non avevamo mai pensato prima.
Migliorare le nostre capacità comunicative può tornare molto utile per allentare la tensione sul lavoro e rendere più gestibili le nostre interazioni con le persone difficili.
Negli Usa ci si sente spesso chiedere di pensare bene prima di scegliere «the hill you want to die on», ovvero la collina su cui sei disposto a morire. Vale a dire che dobbiamo sceglierci con cura le battaglie campali, quelle all’ultimo sangue. Soprattutto quando abbiamo a che fare con persone difficili sul luogo di lavoro, è di fondamentale importanza tenere a mente che non vale davvero la pena di combattere tutte le battaglie.
Certo, presi dalla foga del momento siamo spinti a rispondere a ogni commento negativo, a affrontare tutto di petto. Ma non sempre questo è l’approccio migliore. Talvolta è meglio non cogliere la provocazione e lasciar andare le cose. Se il problema in questione è marginale o minore e non ha reale influenza sul nostro lavoro o sul nostro benessere, forse è meglio semplicemente fare un bel respiro e andare avanti senza dare troppo peso alla cosa.
Come dicevamo prima, a volte mantenere la calma richiede più forza che lottare all’arma bianca per difendere la propria posizione. Un conto è la strategia complessiva, un altro sono le singole tattiche e le singole battaglie che devono essere funzionali alla prima. Cerchiamo di fare questa distinzione. Una continua guerriglia per tutto è sfiancante e rischia di farci perdere la pace. In questo caso un passo indietro non è espressione di debolezza, ma di saggezza. Perciò valutiamo con attenzione che tipo di battaglia stiamo conducendo in quel momento.
Soprattutto agli inizi, avere a che fare con un collega particolarmente impegnativo può far sentire come davanti a un muro, intrappolati senza via d’uscita. Nulla di più facile che sentirsi bloccati senza sapere come gestire la situazione.
Perché allora non chiedere consiglio a un collega con più esperienza e di nostra fiducia, in grado di darci un consiglio utile? Condividiamo con lui le nostre difficoltà e le nostre preoccupazioni. Sicuramente ci fornirà degli ottimi spunti. Rivolgersi a un mentore aziendale può aiutarci a individuare ad esempio alcuni schemi tipici dei colleghi difficili, magari ricevendo suggerimento sul modo di reagire per sbloccare la situazione.
Oltre a darci idee e spunti per gestire al meglio la situazione, facilmente scopriremo di non essere i primi a dover affrontare problemi come questi. E questa consapevolezza ci farà sentire meno soli. Perciò quando dobbiamo trattare con persone difficili al lavoro non esitiamo a contattare una persona di nostra fiducia per chiedere consiglio. Potrebbe trattarsi di un mentore, di un manager o anche di un amico passato attraverso una situazione analoga.
Solidarietà, supporto e consigli possono davvero cambiare le carte in tavola a volte, aiutandoci a non sentirci disorientati e a vedere le cose sotto una luce nuova.
Non dobbiamo pensare che i problemi incontrati sul lavoro siano necessariamente un problema nostro. Il fatto è che alcune persone semplicemente sono difficili e basta. Magari hanno avuto una brutta giornata o stanno attraversando un momento molto penoso. O semplicemente patiscono una forte infelicità nella loro vita personale, sono frustrate e finiscono per proiettare sugli altri le loro difficoltà e il loro disagio.
Comunque sia, è indispensabile capire che questo comportamento riguarda loro, non noi. Naturalmente è sempre più facile a dirsi che a farsi. Fa dannatamente male essere costantemente bersagliati da critiche o da parole dure. Ma non possiamo lasciare che la negatività altrui vada a intaccare o, peggio ancora, a definire la nostra autostima. Non possiamo lasciare che il nostro spirito sia smorzato da questa situazione.
Dobbiamo fare del nostro meglio per non prendercela troppo a cuore. Siamo al lavoro per… lavorare, non per accontentare tutto e tutti. Quello che davvero conta è fare del nostro meglio e muoversi in maniera professionale. Non è il giudizio altrui la misura della nostra professionalità.
Come suggerisce la psicologa Barbara Berckhan si tratta di costruirsi una “scorza dura”: uno scudo protettivo che ci permette di osservare in tranquillità quello che fanno gli altri senza farci coinvolgere. In questo modo azioni, stati d’animo e commenti altrui non ci toccheranno e meno che meno li prenderemo sul personale.
La “scorza dura” non ha nulla a che vedere con la chiusura in sé stessi e con l’isolamento. Semplicemente ci evita di personalizzare le affermazioni e le emozioni altrui prestando attenzione solo a quello che ha da dirci. Così potremo assorbire con tutta calma e senza agitazione anche i messaggi sgradevoli (ad esempio le critiche per il lavoro svolto) e saremo aperti a tutto quello che succede senza lasciare che ci travolga.
Oggi va di moda prendersi tutti troppo sul serio. Di conseguenza le relazioni si fanno sempre più pesanti. Ragione in più riscoprire quella forma di ironia bonaria nota come umorismo. Trattando con persone difficili l’umorismo può rivelarsi una eccezionale arma difensiva: un potente strumento per allentare la tensione.
Sfruttiamo il potere dell’umorismo. Ma attenzione a non cadere nel sarcasmo, che è una forma di aggressività verbale che ci fa ricadere nel circolo vizioso della tensione. Fare uso dell’umorismo significa servirsi della leggerezza per tenere dritta la barra della navigazione anche in situazioni tese e disarmare le persone difficili. Sminuire o insultare velatamente la persona non è fare umorismo.
Usare bene l’umorismo non vuol dire non prendere sul serio il lavoro o le questioni serie. Significa non prendere sul serio gli attacchi verbali, rispondendo in maniera spiritosa. Per farlo bisogna dare spazio al nostro lato più pazzerello, facendo emergere il nostro versante più umoristico. L’umorismo ha il potere di relativizzare, di mettere tra parentesi un ego troppo ingombrante, alleggerendolo. Insomma, una battuta spiritosa sgonfia anche il più tondo dei palloni gonfiati, è spiazzante.
A volte un commento strampalato può essere smorzato da un commento ancor più strampalato, come un proverbio popolare anche del tutto estraneo e fuori luogo rispetto a quanto il collega può averci detto. «Aiutati che il ciel ti aiuta!», «Piove sempre sul bagnato!».
La tecnica del proverbio strampalato ci permette di neutralizzare l’attacco e di confondere l’aggressore, che rimane così perplesso e sconcertato da bloccarsi da solo. In generale un bel set di risposte spiritose e divertite ci aiuta a affrontare gli attacchi verbali con maggiore calma e spirito, rendendo più sopportabili le interazioni con le persone difficili.
Una delle pratiche più liberatorie per non farsi schiacciare dalle persone difficili al lavoro è imparare a non nutrire rancore. Anche qui, attenzione: non essere rancorosi non equivale a dimenticare o a condonare i comportamenti cattivi. Significa non nutrire odio o sentimenti di vendetta verso colleghi che magari sono particolarmente duri con noi.
Nutrire del risentimento – che è sempre un odio frustrato – significa mettere in circolo un veleno nocivo prima di tutto per noi. Il filosofo Gustave Thibon ha scritto: «Il rancore è una specie di fedeltà avvelenata dove l’offeso intreccia legami indissolubili con l’offesa e l’offensore». Liberarsi da questo veleno ci evita di portare il peso di sentimenti negativi che rischiano di intossicare noi.
Lasciar andare la rabbia, il rancore e il risentimento evitando che dilaghino in noi sotto forma di furia autodistruttrice. In questo modo potremo andare avanti per concentrarci su cose più positive e produttive sul lavoro. Magari non riusciremo a farlo dall’oggi al domani, ma di sicuro ne sarà valsa la pena. Ancora una volta, la negatività altrui non può avere come prezzo la perdita della nostra pace e serenità. Il no al rancore è prima di tutto per noi.
La pretesa di cambiare le persone è quasi sempre un’illusione pericolosa. Non possiamo controllare come si comportano gli altri, quello che dicono o come si sentono. Quello che possiamo controllare è il modo con cui rispondiamo loro.
Molti sul lavoro sprecano energie su energie per cercare di “modificare” la persona difficile. come se fosse una cosa alla loro portata. Ma è un po’ come cercare la quadratura del cerchio: un’impresa impossibile. Sì, perché le persone possono cambiare, ma quando sono interiormente pronte a farlo, quando sono disposte al cambiamento. Il problema è che non dipende da noi, ma da loro.
Dunque invece di esaurire le nostre energie nel velleitario tentativo di “riprogettarle”, meglio concentrarci su quello che possiamo davvero controllare: le nostre reazioni. In altre parole si tratta di essere proattivi, invece che reattivi. Lavoriamo su di noi e cambiamo la nostra prospettiva. In questo modo anche trattare con le persone difficili diventerà qualcosa di più semplice e non ci faremo sopraffare dalla situazione.
Ciò detto, se malgrado tutti i nostri sforzi la situazione non migliora e impatta in maniera sempre più negativa sulla nostra salute mentale, potrebbe essere arrivato il momento di considerare seriamente se non vale semplicemente la pena cambiare aria.
Perché ognuno di noi merita di lavorare in un posto dove gode di rispetto, stima e apprezzamento. Non si tratta di vincere o perdere una sfida, come se fosse un braccio di ferro. Il punto principale è non perdere la pace, la produttività e il benessere per colpa di un ambiente lavorativo difficile. In questo caso, anche se può far paura, meglio il coraggio del cambiamento, senza timore di considerare nuove opzioni lavorative.
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