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LifeStyle

10 segni che ti stai accontentando nella vita: meriti di più

Accontentarsi nella vita, adeguandosi a uno standard di mediocrità. Ci sono 10 segni che ci fanno capire quando ci lasciamo piovere le cose addosso.

Tutti noi meritiamo di più che vivacchiare alla bell’e meglio, lasciandoci trascinare dalle correnti e dalle decisioni altrui.

Come capire quando più che vivere stiamo vivacchiando – grantennistoscana.it

A volte nella vita ci capita di vivacchiare. Ci limitiamo a sopravvivere. Accorgendoci però che questo tirare avanti alla giornata porta a sottovivere, a vivere al di sotto delle nostre potenzialità. Lasciamo che la vita scorra, che le cose ci capitino. Tutti segni inequivocabili che ci stiamo accontentando nella vita.

Vivere al piccolo cabotaggio, navigare a vista, trascorrere le nostre giornate in maniera piatta può essere una tentazione concreta dopo le ansie degli ultimi anni, con le crisi che abbiamo attraversato: dalla pandemia alla guerra passando per la crisi ambientale, il caro bollette e il caro vita, la benzina alle stelle, i salari bassi, ecc.

Ecco allora che siamo tentati dal rinchiuderci in noi stessi, dal fare un passo indietro. Ma se accontentarsi può essere una strategia di sopravvivenza è altrettanto vero che così facendo rischiamo di “parcheggiarci” in una sala di attesa permanente, di intrappolarci in una tana che ci siamo costruiti da soli.

Spesso ci accontentiamo sulla base di suggestioni e di spunti che ci condizionano. E che però ci lasciano l’amara sensazione in bocca di meritare qualcosa di più nella vita. Se anche tu ti ritrovi a essere influenzato da molti di questi 10 segni è molto probabile che tu ti stia accontentando nella vita.

1. Pensare che le cose cambieranno… “un giorno”

Accontentarsi di come stanno le cose, sposare lo status quo sempre e comunque significa fondamentalmente essere a corto di motivazioni. Anche lavorando duro, fai soltanto quello che qualcun altro di dice di fare o ti limiti allo stretto necessario.

“Un giorno” le cose cambieranno. Ma non cambiano mai con questa mentalità – grantennistoscana.it

Il tutto in attesa che “un giorno” le cose cambino radicalmente. Il problema è che questo fatidico “giorno” della svolta – posticipato sempre più in là – non arriva. Nel frattempo si va avanti per forza di inerzia.

Ed più che probabile che il giorno decisivo non si presenti proprio mai se non si prendono le cose di petto. Questo fatalismo che rimanda a “un giorno” indefinito ogni cambiamento è un segnale che ti stai accontentando nella vita.

2. Non prendere mai l’iniziativa

Possiamo anche avere la testa messa sottosopra da un brulichio di sogni e progetti. Peccato che senza mai passare alla fase della realizzazione pratica assomiglino più a sogni ad occhi aperti. Rimangono tra le nuvole, non hanno concretezza, non si materializzano.

Inerzia e passività sono pessimi segnali – grantennistoscana.it

«Domani farò!», dici a te stesso mentre cerchi di distrarti facendo mille altre cose. E il giorno dopo la stessa cosa: inerzia al 100%. E ti ritrovi sempre a cincischiare, sempre giocherellando con gli stessi sogni del giorno prima, incapace di passare dal potenziale all’attuale. Questa inconcludenza è solo un altro segno dell’accontentarsi che può farti passare tutta la vita a rincorrere fantasie.

Non dimentichiamolo: agire ci fa sentire vivi. Hannah Arendt diceva che agire è come dare vita a un nuovo inizio. Prendendo l’iniziativa con le nostre azioni ci inseriamo nel mondo umano senza che alcuna necessità o l’utilità ce lo impongano dell’esterno. È un po’ come una seconda nascita. Come la nostra nascita è stata un inizio, l’entrata del nostro piccolo mondo (ma pur sempre il “nostro” mondo) nel mondo reale, anche noi siamo diventati “iniziatori”. Abbiamo cioè la facoltà di dare avvio a nuovi inizi. Possiamo prendere l’iniziativa, dare il via a processi creativi che non si limitano a replicare ciò che già c’è.

Il fatto che siamo capaci di iniziativa significa che da ognuno di noi ci si può sempre attendere qualcosa di inatteso, di imprevisto. Insomma, agire e prendere l’iniziativa ci fanno sentire vivi. Viceversa, lasciarsi sempre “agire” dagli altri ci fa sentire più come cose in balia dell’agire altrui. Non avere paura di prendere l’iniziativa!

3. Accontentarsi di guadagnare a malapena quanto basta per sopravvivere

Oggi si parla tanto – e giustamente! – di lavoro povero e salario minimo. Chi lavora duro ha il sacrosanto diritto di avere il necessario per vivere e anche il tempo per rilassarsi.

Accontentarsi di un lavoro che paga poco è un altro segno negativo – grantennistoscana.it

È vero che prima di tutto dietro a un lavoro non appagante (cioè che non paga o paga in maniera insufficiente) spesso e volentieri si sono situazioni di sfruttamento. Ma è anche vero che a volte pure qui ci accontentiamo di meno di quel che meritiamo senza fare troppi problemi e meno che meno avanzare richieste. Ci si rassegna, accettando la frustrazione e l’esaurimento del lavoro perché sembra non esserci alternativa.

Anche in questo caso magari si fanno mille progetti per cambiare ma alla fine non si prende alcuna iniziativa per cercare di cambiare le cose. Tutto è rimandato al famoso “giorno” che non arriva mai e che continua a sfuggirci, anche a causa della fatica del lavoro attuale che porta via energie. E così si continua a aspettare Godot. Che non si presenta mai.

4. Uscire con qualcuno che non ci piace poi così tanto

È il massimo dei vivacchiamenti: la deprimente situazione per cui ci si riduce a uscire con qualcuno che non ci interessa più di tanto. Tutto pur di non rimanere soli.

Uscire con una persona che non ci interessa: se non è accontentarsi questo… – grantennistoscana.it

D’accordo, la solitudine fa paura a tutti. Ma infilarci in relazioni che già dall’inizio sappiamo essere vicoli ciechi non ci porta da nessuna parte. È soltanto un’altra versione della rassegnazione davanti alle cose della vita che ci porta ad accontentarci come se le cose dovessero sempre essere quelle che sono.

Ognuno di noi merita di meglio. Accontentarsi di uscire con qualcuno che non ci piace è solo una forma di autoinganno con cui finiamo per convincerci che annaspare nelle sabbie mobili o in una palude è sempre meglio che vagare da soli nel deserto.

5. Fare lo “scaricatore di torto”: dare sempre la colpa agli altri

Quando ci accontentiamo di meno di quanto meritiamo andiamo sempre alla ricerca di giustificazioni consolanti, cerchiamo di razionalizzare il nostro vivacchiare. E regolarmente finiamo per dare vita a capri espiatori: a “colpevoli” più o meno presunti e immaginari ai quali addossare la colpa del nostro malessere.

Comoda scusa quella di dare sempre la colpa agli altri per le nostre disgrazie – grantennistoscana.it

È normale cercare di spiegare quello che ci sta succedendo, ma purtroppo spesso e volentieri questi tentativi di giustificare il nostro accontentarci ci portano a sfogare la rabbia in maniera improduttiva e in fondo autosabotante.

Di solito queste razionalizzazioni si riducono a formulazione del tipo “noi contro loro”, dove “loro” sono regolarmente i malvagi che ci opprimono. In genere questi fantomatici “loro” sono persone che hanno avuto qualche successo in più di noi. Dimenticando che hanno a che fare con le paure e le insicurezze esattamente come noi.

L’invidia non ci fa uscire dal nostro vivacchiare: ci intrappola ancor di più al suo interno trasformandoci in “scaricatori di torto”, cioè in persone impegnate a puntare sempre il dito ripetendosi slogan come “la colpa è sempre degli altri”. Nel frattempo l’iniziativa non la prendiamo proprio mai. Con la scusa che la colpa è sempre quella degli altri…

6. Seguire sempre le regole pensando che farlo ci manterrà al sicuro

Premessa indispensabile: l’autorità e le regole sono indispensabili nel vivere sociale. Ma lo sono per evitarci di precipitare nel caos. Leggi e regole devono avere uno scopo valido. La regola che mi impone di rispettare lo stop al semaforo rosso mi impedisce di entrare in rotta di collisione nel traffico. Quando l’istruttore di scuola guida ci spiega l’uso delle marce e del volante le regole che trasmette servono a insegnarci come guidare una macchina. Tutte regole che hanno una loro ragione.

Va bene seguire le regole, ma con giudizio – grantennistoscana.it

Ma limitarsi a seguire le regole senza pensare, anche quando sono palesemente controproducenti, significa ancora una volta affidare ad altri le redini della nostra vita. Le regole hanno una loro ragion d’essere e eseguirle meccanicamente, come se una ragione non ce l’avessero, sarà anche la cosa più comoda, che ci dà sicurezza facendoci sentire “a posto”. Ma è anche un modo infallibile per finire a vivacchiare e accontentarsi.

Di più: seguire le regole in maniera scriteriata, solo perché sono regole calate dall’alto, può anche essere pericoloso. Le regole non sono infallibili, come non lo sono le autorità. Se ci accorgiamo che un incendio sta per devastare la nostra casa, attendere fino all’ultimo che ci arrivino indicazioni sul da farsi da parte delle autorità non è necessariamente la cosa migliore da fare per salvare la pellaccia. Meglio prendere l’iniziativa e seguire il buon senso.

Le consegne e gli ordini hanno un senso. Ma se il commando nemico aggira la postazione a cui ci avevano assegnato e entra all’interno del quartiere che dovevamo proteggere ha ancora senso rimanere a difendere l’ormai inutile posto di blocco come l’ultimo giapponese? Non è meglio prendere l’iniziativa e andare a dare una mano là dove infuria la battaglia? Seguire le regole in maniera meccanica è un altro segno che ci stiamo accontentando di come vanno le cose e basta.

7. Lasciare che siano sempre gli altri a dirci cosa dobbiamo fare

Intendiamoci: quando una persona competente ci dice cosa sarebbe meglio fare e motiva il suo parere, seguire il suo consiglio spesso è la cosa migliore da fare. Il problema è che, come abbiamo visto prima, spesso deleghiamo piegandoci sempre e comunque a diktat e input esterni.

Nostro padre voleva che facessimo l’avvocato, il medico o l’ingegnere. Per lui erano le sole possibilità di fare qualcosa di serio nella vita.

Quando ci pieghiamo sempre alla volontà altrui ci stiamo accontentando – grantennistoscana.it

E per accontentarlo abbiamo deciso di intraprendere una carriera professionale per cui non sentivamo la minima inclinazione. Ancora una volta abbiamo preferito vivacchiare accodandoci supinamente a iniziative decise e avviate da altri.

8. Cercare sempre l’approvazione da parte degli altri

Ammettiamolo: ricevere la proverbiale pacca sulla spalla piace a tutti. A chi non piace essere sempre confermato e rassicurato da calorosi segni di approvazione? Ma anche in questo caso, fare bene il proprio lavoro e ricevere gratificazioni per il lavoro ben fatto è un conto. Tutt’altro discorso invece è quando cominciamo a diventare dipendenti da queste gratificazioni, che diventano così l’unico criterio per valutare se abbiamo lavorato bene o meno.

Pacca sulla spalla, attenzione a non cadere nella dipendenza – grantennistoscana.it

Se solo la classica pacca sulla spalla ci dà un senso di slancio e benessere, stiamo aprendo le porte a chi potrebbe usare questi mezzi come escamotage per controllarci e manipolarci.

Uno dei segni più evidenti della nostra tendenza ad accontentarci è quello di sentirci bene e realizzati soltanto se qualcun altro ci dice che stiamo facendo un buon lavoro.

Quando manca un minimo di sicurezza interiore andiamo alla ricerca di un massimo di approvazione esterna. È un po’ come quelle personalità malferme che hanno costante bisogno di un pubblico attestato per puntellarsi e perfino per esistere.

9. Stare sempre al riparo della tua confort zone

Nella nostra confort zone si sta alla grande, non si corrono rischi, tutto va come vorremmo noi. Verissimo. La zona di confort è un luogo meraviglioso. Ma è anche vero che, come ha fatto notare qualcuno, è anche un luogo dove non cresce nulla.

Zona di confort fa rima con comodità ma anche con rassegnazione e illusione – grantennistoscana.it

La confort zone è il luogo d’elezione dei vivacchiatori portati ad accontentarsi. Soprattutto è un luogo dove aspettiamo che arrivi, lo avrai capito ormai, il famoso “giorno” della svolta. Attendiamo che la fortuna ci cambi la vita da cima a fondo. Aspettiamo che gli altri finalmente si sintonizzino coi nostri sogni. Ma la cosa peggiore è che la confort zone ci convince che, sotto sotto, debba essere tutto perfetto prima di passare all’azione.

Soggiornare sempre nella nostra zona a rischio zero ci spinge a adottare un atteggiamento iperprudente, come se la prudenza potesse fare a meno del rischio. Prima di metterci in viaggio ci potranno anche dire di essere prudenti, ma nessuno potrà mai assicurarci che non correremo alcun tipo di rischio.

Ricercare la sicurezza totale è solo un buon modo per sprofondare nella passività inerte della confort zone. Così ci convinceremo che ci sarà sempre un momento migliore per agire e nulla varrà davvero la pena di impegnarsi, di sforzarsi. Senza le condizioni ottimali (quali poi?) non usciremo mai allo scoperto.

Quali sono gli inconvenienti della confort zone

È quello che accade alla tragicomica “squadriglia della morte” di un esilarante racconto di Achille Campanile. «Una squadriglia d’uomini decisi a tutto pur di raggiungere l’obbiettivo; d’uomini, insomma, votati alla morte». Così la descrive il capitano Zadaras, capo supremo della squadriglia della morte.

Ma ogni volta che arriva la telefonata di qualche generale per mobilitare questo manipolo di eroi in un’impresa di guerra in cui c’è da rischiare la pelle, la risposta è sempre la stessa: «Bravi. E quando ci avremo lasciato la pelle, ci sapete dire chi compierà le imprese in cui si lascia la pelle?».

I generali finiscono regolarmente per convincersi che non si può sprecare in questo modo l’insostituibile squadriglia della morte. E così quel commando di uomini pronti a tutto e votati alla morte languisce nella confort zone fino alla fine della guerra, al riparo da ogni pericolo, anche dai raffreddori, al riposo e al coperto.

Una «precauzione necessaria», sottolinea il capitano Zadaras, «vista la difficoltà, ripeto, di sostituirci». Lo stesso capitano Zadaras che alla fine del racconto ricorderà con profonda nostalgia quei momenti trascorsi in qualità di comandante della squadriglia della morte come «il più calmo, piacevole e riposato periodo della mia vita».

Questo per dire che nella confort zone proliferano fantasie e sogni di ogni genere, dove ci si può tranquillamente credere guerrieri valorosissimi mentre in realtà si vivacchia sul divano di casa. Aspettiamo qualcosa che non succede mai, che la nebbia si diradi per poter uscire. Aspettiamo che i pezzi del puzzle si ricompongano da soli. Ma la vita passa e aspettare in eterno ci fa solo perdere del tempo.

10. Perdere l’entusiasmo per la vita

È forse il segnale più lampante dell’accomodamento: aver smarrito ogni entusiasmo, o comunque rendersi conto che il nostro entusiasmo si è molto indebolito.

Senza entusiasmo nella vita ci si adagia – grantennistoscana.it

Non è solo essere annoiati dal lavoro, dalle relazioni o dalle idee che circolano nel mondo. Magari anche una vacanza divertente o una nuova relazione faticano ad entusiasmarti. È come se avessi normalizzato la delusione, diventata un ospite abituale della tua esistenza.

Ma una vita senza entusiasmo ci fa perdere energia per affrontare la giornata. Quell’energia che ci permette di trasformare gli insuccessi in motivo di sprone per non accontentarci mai e spingerci a cercare di migliorare le cose. L’entusiasmo è tipico di chi non vuole arrendersi e non si rassegna a vivacchiare.

Qualche rimedio per iniziare a vivere davvero

Come fare a vivere e a non vivacchiare accontentandosi di un’aurea mediocritas? Gli psicologi consigliano di ristrutturare quella che chiamano la “casa delle emozioni”. La ragione per cui ci accontentiamo con facilità di come stanno le cose sta nel fatto di aspettarsi che succeda sempre qualcosa o perché ci consideriamo indegni oppure “non abbastanza bravi”.

Per non accontentarci sempre nella vita dobbiamo tenere in ordine la casa delle nostre emozioni – grantennistoscana.it

Atteggiamenti come questi, che denotano passività e insicurezza, sono contenuti nella nostra “casa emotiva”. La nostra casa emotiva è ciò a cui siamo abituati: sono le aspettative che abbiamo su noi stessi e sul nostro ruolo nel mondo, le aspettative che sono normali e hanno senso per noi.

Il problema è quello che otteniamo dalla vita, dunque i nostri “successi”, sono spesso fuori dal nostro controllo. Ma ciò di cui accontentiamo e che consideriamo normale ha molto a che fare con le nostre convinzioni e l’immagine che abbiamo di noi stessi. Qualcosa di molto simile alla “legge dello specchio” che suggerisce l’esistenza di un legame tra il nostro mondo interiore e quello esteriore.

Possiamo anche avere un conto da un miliardo di euro in banca e ritrovarci a essere sempre frustrati e arrabbiati. Il problema allora è fare i conti con noi stessi. Perché torneremo sempre lì, nella nostra casa emotiva, a immergerci nelle nostre emozioni, positive o negative che siano.

Tenere in ordine la casa delle nostre emozioni: il modo migliore per non lasciarsi trascinare dalle correnti

La domanda da farci allora è: in che condizioni è la nostra casa emotiva? È bella e robusta? Oppure è piena di tarli, assi scricchiolanti, soffitte buie e fondamenta marce? Cerchiamo di fare attenzione ai materiali con qui costruiamo la nostra casa emotiva.

Facciamo in modo che sia un posto di cui possiamo andare fieri e nel quale possiamo tornare a riorganizzarci e attingere un rinnovato slancio. Anche – anzi forse soprattutto – quando la nostra vita sembra una barca impegnata in una difficile navigazione in un mare in tempesta.

È proprio quando la corrente contraria si fa forte che viene fuori la nostra reale tempra. Nei momenti di crisi si rivela infatti il nostro vero essere. Perché, come ha scritto una volta Chesterton, «una cosa morta può andare con la corrente, ma solo una cosa viva può andarvi contro».

Emiliano Fumaneri

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