A volte nemmeno ci si accorge che con certi comportamenti possiamo minare l’autostima dei figli. Ecco gli 11 campanelli d’allarme da monitorare.
Anche involontariamente potremmo fare cose che danneggiano il loro benessere emotivo. L’importante è rendersene conto e rimediare per tempo.
Essere genitori non è mai stato facile. Per mamma e papà il percorso per crescere i figli assomiglia sempre più a una corsa a ostacoli, visti i ritmi frenetici della vita di oggi. Eppure si va avanti buttando, come si suol dire, il cuore oltre l’ostacolo in quella avventura che si chiama famiglia.
E come in ogni avventura che si rispetti, anche coi figli la trama della storia prevede colpi di scena, svolte clamorose, momenti di gioia, lacrime. E soprattutto amore, tanto amore. Ma l’amore non sempre basta. Ci sono anche errori, e non pochi, da parte dei genitori che, in maniera accidentale e involontaria, rischiano di ripercuotersi sul benessere emotivo dei figli.
A volte infatti, anche con le migliori intenzioni, i genitori possono danneggiare accidentalmente l’autostima dei figli. Ogni genitore, se ama davvero il proprio figlio, desidera vederlo crescere con un’immagine positiva di sé, sicuro di quali sono i suoi punti di forza e consapevole di quali sono i punti deboli su cui lavorare per migliorarsi. L’autostima è una visione di sé positiva e realistica al tempo stesso, che rigetta sia un’eccessiva esaltazione che l’autodenigrazione.
Capita però che i genitori facciano cose che, senza nemmeno saperlo e meno che meno volerlo, scuotono un po’ quella fiducia che fa da sfondo all’autostima dei figli.
Qui bisogna intendersi: non si tratta certo di puntare il dito contro qualcuno e nessuno deve sentirsi male per errori commessi in buona fede. Il mestiere del genitore non si insegna a scuola e essere buoni genitori è un lungo apprendistato che si impara lungo un cammino cosparso di prove e tentativi, non sempre coronati dal successo.
Si può però, spiega Clifton Kopp su HackSpirit, fare tesoro delle esperienze accumulate nel corso di quel viaggio che è la vita da altri genitori, nella speranza che, posti davanti agli stessi ostacoli, si possa almeno evitarne qualcuno. Per un genitore è sempre utile dare un’occhiata più da vicino alle proprie azioni, alla ricerca di quelle che, senza nemmeno rendersene conto, potrebbero essere dannose per l’autostima dei propri figli.
In particolare ci sono 11 segnali da tenere d’occhio che possono indicarci di aver danneggiato accidentalmente l’autostima di un figlio. Con alcuni suggerimenti per cambiare le cose e evitare di ripetere sempre gli stessi errori.
In un certo senso un genitore è una sorta di “ripetitore” vivente di correzioni. Per cercare di orientare il figlio verso sane pratiche e buone abitudini spesso tocca correggerlo e correggerlo più volte.
Tutto questo è naturale: è doveroso che un genitore cerchi di guidare i figli per aiutarli ad imparare. Ma tra la guida e l’eccesso di guida c’è una differenza. Sarà una linea sottile, ma c’è. Un conto è guidare, un altro è correggere eccessivamente. I bambini hanno una loro creatività che deve potersi esprimere senza essere soffocata da un costante fuoco di fila fatto di continue correzioni.
Non ha molto senso, ad esempio, correggere un bambino che ama disegnare alberi dalle foglie rosse o soli di color ciclamino, facendogli notare che dovrebbe colorarli rispettivamente di verde e di giallo… In questo modo si rischia di soffocare la sua creatività facendolo dubitare delle sue scelte e del suo piccolo mondo creativo dove magari passa ore a scarabocchiare e fare schizzi, tutto preso dal suo amore per il disegno.
Per quel che è possibile, meglio allora dare ai figli la libertà di fare le proprie scelte, di fare i propri errori e di apprendere da questi. E poco importa se le foglie escono colorate di rosso e il sole di ciclamino.
È normalissimo che un genitore sia orgoglioso e contento dei successi dei figli. Ma esagerare con le lodi può essere controproducente. Kopp porta a esempio quanto successo quando sua figlia Lily vinse la sua prima gara di ortografia.
Emozionatissimo nel momento in cui sentì pronunciare il suo nome come vincitrice della gara, pieno di entusiasmo per aver visto il suo volto illuminarsi di gioia, fece quelle che viene naturale fare a un genitore orgoglioso dei successi dei figli: la colmò di lodi sperticate, esaltando la sua bravura, ecc.
Poco tempo dopo però si accorse che qualcosa stava cominciando a cambiare nella figlia. Ogni volta che si avvicinava una nuova competizione, Lily cominciava a dare segni di ansia. Tutta preoccupata per come sarebbe andata, ha iniziato a passare ore e ore a studiare. A quel punto il genitore si è accorto che a metterla involontariamente sotto pressione erano state proprio le sue lodi eccessive. La figlia si sentiva come obbligata a vincere, a portare a casa risultati per rendere felice il papà e sentirsi elogiare da lui.
Realizzata la cosa, in quel momento scattò un campanello d’allarme in lui. E comprese che, per quanto sia bello celebrare i risultati dei propri figli, altrettanto fondamentale è far capire loro che l’amore e l’orgoglio di un genitore non sono collegati a questi risultati. L’amore di un genitore è incondizionato.
Per questo è buona cosa lodare gli sforzi e il duro lavoro dei figli, non soltanto i risultati. Non è necessario essere i migliori in tutto. Non si può sempre vincere e perdere non deve diventare un dramma. Agli occhi di un papà e di una mamma il figlio è sempre un tesoro inestimabile, unico nel suo genere, a prescindere dai suoi “successi”.
Ognuno di noi è un pezzo unico, coi suoi talenti e i suoi difetti. Lo stesso vale tra fratelli, che possono essere benissimo diversi come il giorno e la notte.
Nella stessa famiglia possono convivere un atleta nato, che già si butta sulla palla prima ancora che cada dalla mano del genitore, e il topo di biblioteca che perfino prima di mettere piede a scuola ha già imparato a leggere. La tentazione, in casi come questi, è di incoraggiare l’atleta ad imitare il topo di biblioteca e allinearsi al suo ritmo di lettura. Oppure, all’inverso, di suggerire al topo di biblioteca di stare al ritmo di corsa del fratello o della sorella atletici.
Col risultato, inevitabile, di farli sentire come messi in competizione. Inavvertitamente li abbiamo paragonati al fratello o alla sorella. Così quelli che dovevano essere incoraggiamenti finiscono per trasformarsi, agli occhi dei figli, in giudizi su di loro. Come se il figlio si sentisse di valere meno agli occhi di mamma e papà perché fatica di più a leggere o a correre.
Per cui bisogna prestare massima attenzione anche ai “messaggi motivazionali” che lanciamo ai figli. Ogni bambino ha i suoi punti di forza e di debolezza. Confrontandoli gli uni con gli altri potremmo inavvertitamente farli sentire come se valessero meno. Anziché fare paragoni, meglio allora concentrarsi sui loro punti di forza e sottolineare i loro talenti, non le loro debolezze. Piuttosto aiutiamoli ad accettarle senza fare drammi. E soprattutto diciamo loro che vanno bene così come sono, unici e irripetibili.
Prendere decisioni, lo sappiamo bene, è difficile. Ma per crescere è fondamentale: la vita è piena di bivi e di scelte da fare. E il processo decisionale rappresenta una di quelle abilità fondamentali della vita che possono fare crescere fiducia e autostima.
Permettere ai figli di fare le loro scelte, di prendere le decisioni adeguate alla loro età, significa dare loro la possibilità di plasmare il carattere. Vuol dire offrire loro un’opportunità per imparare a crescere. Il messaggio che inviamo loro, nel lasciarli prendere decisioni, è che abbiamo fiducia nella loro capacità di giudizio.
Anche in questo caso la tentazione del genitore non manca di buonissime ragioni: proteggere i propri figli, sgravarli dal peso della responsabilità che inevitabilmente ogni decisione comporta. Ma lo sforzo è necessario per crescere e solo affrontando in prima persona i rischi della vita si può crescere. È normale che un genitore scelga tutto nella vita del figlio quando è piccolissimo. Ma a mano a mano che il figlio cresce il genitore dovrebbe lasciare gradualmente le redini, allargando sempre più il campo delle scelte lasciate alla decisione del figlio (a cominciare dalla scelta dei vestiti).
Prendendo sempre il sopravvento si rischia invece di ostacolare la capacità di prendere decisioni dei figli, che non va soffocata ma piuttosto guidata e “allenata”. Altrimenti il messaggio che si invia involontariamente è una scarsa o nulla fiducia nella bontà delle loro scelte, che non sono mai quelle “giuste”. Dare ai figli un certo spazio per le decisioni grandi o piccole, facendo capire bene anche il valore della responsabilità che si accompagna a ogni scelta, può aiutare a consolidare la loro autostima. E se faranno errori potranno imparare sulla base della loro esperienza vissuta.
Lo sappiamo tutti: i ritmi di vita oggi sono sempre più assillanti. Lavoro, faccende di casa, commissioni da fare, imprevisti, problemi di tutti i tipi. Tenere insieme tutto a volte è un esercizio da equilibristi, I genitori spesso e volentieri sono costretti a giostrarsi tra migliaia di cose in contemporanea.
A volte tutti questi impegni assorbono tanto al punto da trascinare anche mamma e papà in un mondo a parte, dove i figli hanno sempre meno spazio. Anche in questo caso si scivola inavvertitamente verso questo universo parallelo. E magari capita di ritrovarsi ad ascoltare distrattamente i figli che, al rientro da scuola, sono pieni di storie da raccontare e di disegni da mostrare con orgoglio a mamma e papà. I quali però li degnano giusto di qualche attenzione, impegnati come sono a controllare le mail del lavoro e a progettare cosa mangiare per cena.
Questo fino al giorno in cui magari la figlioletta non si fa seria in volto e si rivolge alla mamma per esclamare qualcosa del tipo: “Sei sempre troppo occupata per me!”. Un pugno nello stomaco per un genitore. Ma anche un salutare segnale d’allarme. Perdersi nel vortice delle preoccupazioni quotidiane può far sentire i figli come se non fossero abbastanza importanti per meritarsi il tempo e le attenzioni dei genitori.
È dura da accettare, ma è così: non prestando ai figli tutta l’attenzione di cui hanno bisogno si corre il rischio di farli involontariamente sentire come se non valessero nulla. Meglio allora provare a rallentare un po’ il ritmo delle nostre attività e cercare di essere più presenti con loro.
Quando i figli ci parlano, mettiamo da parte i telefonini e ascoltiamo per davvero. Difficile immaginare un buon genitore in modalità smombie, nelle vesti di uno zombie col telefonino perennemente in mano. Perché non c’è niente di più importante che far sentire amati e apprezzati i propri figli.
È un’esperienza comune a ogni genitore: i figli a volte ne combinano davvero di grosse, anche con buonissime intenzioni. Magari mentre cercano di aiutarci sobbarcandosi compiti più grandi di loro finendo, che so?, per rovesciare una brocca intera piena di latte – troppo pesante per le manine di un bambino – sul pavimento della cucina mentre volevano aiutarci ad apparecchiare la tavola.
Può capitare, no? Così come capita che un genitore, in un momento di nervosismo e stanchezza, perda le staffe e alzi la voce al pensiero del pavimento da ripulire da tutto quel latte. Ma le conseguenze di quegli urli possono fare male al bambino, che assiste a una reazione esagerata che lo colpevolizza per un semplice errore fatto per di più mentre cercava di esserci d’aiuto.
Anche le reazioni di mamma e papà sono importanti per il modo in cui i figli percepiscono se stessi. Reagire in maniera sproporzionata ai loro errori potrebbe indurli a credere di essere “imbranati” e “cattivi”. Potrebbe anche bloccarli dal provare cose nuove, paralizzarli per il timore di fare altri errori.
Davanti ai pasticci dei figli è meglio provare a mantenere il più possibile la calma. Al posto delle urla e della frustrazione espressa visibilmente, cerchiamo di cogliere questi momenti come un’opportunità per insegnare loro che fare errori non è un dramma se sappiamo imparare da loro. È così che si cresce. In fondo che sarà mai una brocca di latta rovesciata? La nostra reazione eccessiva però può lasciare un segno profondo nel diagramma psicologico del bambino, minando involontariamente la sua autostima.
Un altro errore in cui involontariamente può cadere un genitore è, come dicevamo prima, lodare i successi ma non gli sforzi fatti dai figli. Ci si ritrova più facilmente a tessere l’elogio dei risultati acquisiti, senza però elogiare il duro lavoro da parte dei figli, indipendentemente dal successo che può averli coronati o meno.
Clifton Kopp porta ancora una volta l’esempio della figlia Lily, che aveva passato diverse settimane a prepararsi per la recita scolastica. Si era esercitata con le battute fino ad impararle perfettamente a memoria. E la sera dello spettacolo si è’ impegnata al massimo, senza però ottenere gli applausi o il riconoscimento sperati.
Al rientro a casa, delusa per come era andata la recita, si sentì dire da papà qualcosa di questo tenore: “Beh, magari andrà meglio la prossima volta!”. Col senno di poi, spiega lo scrittore, la cosa da fare sarebbe stata quella di lodare la figlia per il suo duro lavoro e per la dedizione con cui si era impegnata per prepararsi al meglio per la recita. Tanto più che era stato lui stesso a spingerla a esercitarsi di più, per migliorare più rapidamente.
Ma in quel momento non si rendeva di quanto le sue aspettative irrealistiche avrebbero finito per gravare sulle spalle della figlia, anche in altre circostanze. Così Lily cominciò, ad esempio, ad avere paura delle lezioni di piano, al punto che un giorno si rifiutò di suonare per timore di non essere all’altezza.
Il punto è che non riconoscendo lo sforzo e l’impegno di nostro figlio possiamo accidentalmente dargli l’impressione che nella vita contino solo i risultati. Con la conseguenza di istillare in lui la paura del fallimento e un altro duro colpo per la sua autostima.
È indispensabile quindi assicurarsi di lodare i figli per i loro sforzi, a prescindere dal fatto che si tramutino o meno in roboanti successi. Fondamentale è invece insegnare loro che sforzo, impegno, tenacia e perseveranza sono anche più preziosi del successo. In fin dei conti la cosa più importante non è vincere, ma aver dato il massimo.
Spesso ignoriamo o sottovalutiamo il potere delle parole. Come ha detto la filosofa Francesca Piazza, la parola può essere arma da taglio o filo di sutura. Le nostre parole possono lacerare come una spada o ricucire le ferite come un ago col filo.
La realtà è che spesso, anche senza accorgercene, usiamo la parola come una spada che ferisce i sentimenti. Molto più di quanto pensiamo. I sentimenti dei bambini non sono meno profondi di quelli degli adulti, anzi. Anche l’arrabbiatura del figlio per un fatto che può farci sorridere – il migliore amico che decide di fare coppia con un altro per un progetto a scuola – è un sentimento da non minimizzare (“non esagerare!”) o, peggio, ignorare.
Invece quello può essere davvero un grosso problema per nostro figlio. E ignorando i suoi sentimenti gli si lancia inavvertitamente il messaggio che i suoi sentimenti non hanno importanza. Anche se ci sembrano banali, i sentimenti dei nostri figli sono da riconoscere e da non minimizzare. Se hanno ritenuto che qualcosa fosse importante da volercelo confidare, questo sentimento merita tutta la nostra attenzione e la nostra comprensione.
Qual è stato l’errore del genitore che ha minimizzato la delusione del figlio per il migliore amico che aveva deciso di fare coppia con un altro a scuola? Aver trattato un sentimento come uno stato d’animo occasionale o un’emozione passeggera. Stati d’animo e emozioni sono passeggeri: pochi attimi o qualche ora e sono già passati. Se non sono collegati a un sentimento, svaniscono come neve al sole. Questo perché i sentimenti sono più profondi, nobili, e soprattutto sono legati a doppio filo alle relazioni. L’amicizia è un sentimento.
Prendendo molto sul serio i loro sentimenti aiutiamo anche i figli a capire la differenza tra emozioni, stati d’animo volubili e i sentimenti profondi. In questo modo li aiuteremo a capire anche quanto siano validi e importanti i loro sentimenti. Un passo di fondamentale importanza nella costruzione della loro autostima.
Vi ricordate cosa è successo con Lily e il piano? Quando la figlia iniziò a suonarlo, racconta Clifton Kopp, lui nutriva grandi speranze. Già l’aveva immaginata una virtuosa capace di incantare l’uditorio suonando senza sforzo pezzi complessi, affascinando tutti col suo talento. Peccato che il sogno ad occhi aperti avesse come protagonista una ragazzina che aveva appena cominciato a muovere i primi passi – o meglio a suonare i primi tasti – col pianoforte.
Il padre ricorda di averla spronata a esercitarsi di più, per fare progressi più rapidamente. Ma non si rendeva conto di quanto quelle aspettative irrealistiche finissero per pesare come un macigno sulle piccole spalle della figlia. Finché Lily non cominciò ad avere timore delle lezioni di piano e un giorno si rifiutò semplicemente di suonarlo.
È a quel punto che il papà capì l’errore che aveva commesso involontariamente: le sue grandi aspettative stavano togliendo a Lily la gioia di imparare a suonare il piano. E lui, invece di incoraggiarla, la faceva sentire come se non fosse abbastanza brava a suonare.
Da qui una preziosa lezione per lui: ovvero l’importanza di non farsi aspettative sproporzionate sui figli. Le aspettative devono corrispondere alle loro reali capacità e al loro ritmo. Giusto incoraggiare i figli a migliorarsi, ma altrettanto importante è celebrare anche i loro progressi, grandi o piccoli, rapidi o lenti che siano. Dopo tutto ognuno ha un suo ritmo di apprendimento e va bene così.
Inutile girarci intorno. I genitori sono i primi modelli di comportamento per i figli. Sono i loro punti di riferimento, il sole e la luna. I figli osservano i genitori da vicino e spesso e volentieri li imitano come uno specchio delle loro azioni e dei loro atteggiamenti.
A volte potrebbero anche fare proprio un eccesso di autocritica che hanno percepito da parte di mamma e papà. Se i genitori sono troppo duri con se stessi, i figli potrebbero cominciare a pensare che sia la norma non avere pietà di sé. Il che potrebbe danneggiare la loro autostima.
Il primo passo da intraprendere per aiutare i figli ad amarsi e accettarsi è quello di essere genitori che amano e accettano se stessi.
Non è sempre facile per un genitore accettare quei piccoli momenti di distacco in cui il figlio, poco alla volta, comincia a aprirsi la sua strada nella vita. Una difficoltà che può esprimersi in vari modi. Sempre con le migliori intenzioni, ma decisamente sbagliati. Magari preparando la borsa di scuola al posto suo, controllando e ricontrollandogli i compiti e così vita.
Sostituirsi al figlio nei compiti che potrebbe – e dovrebbe – benissimo fare da sé non è la maniera migliore per aiutarlo. In questo modo anzi si mina la sua capacità di gestire le cose in maniera indipendente e autonoma.
Anche questa verità è dura da digerire, ma assolutamente necessaria: il compito di un genitore non è quello di fare le cose dei suoi figli, ma di fare cose per i suoi figli. In altri termini, significa insegnare loro a fare le cose da soli. Con pazienza, da genitori presenti, ma dandogli la possibilità di guadagnarsi col tempo la loro indipendenza.
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