Diventare irresistibili agli occhi degli altri, come fare? Lavorando su questi 14 comportamenti suggeriti dagli psicologi ce la possiamo fare.
Concentrandoci su aspetti che sono in nostro controllo possiamo mandare dei messaggi positivi che possono aiutarci a farci apprezzare di più, sconfiggendo la tendenza a rinchiudersi in sé stessi.
A tutti noi piace sentirci importanti per qualcuno, avere un ruolo significativo. In famiglia, con gli amici, sul posto di lavoro, a scuola. Sapere che il fatto che ci siamo è importante, che qualcuno è contento della nostra presenza: cosa c’è di più bello?
Naturalmente non si può piacere a tutti. Ma fra il non piacere a tutti e rendersi odiosi a tutti c’è tutto un mare di differenza. Non dobbiamo per forza autoboicoottarci e far precipitare a zero il nostro indice di gradimento. Nulla impedisce di cercare di rendersi più amabili agli occhi del prossimo.
Le guide che cercano di insegnare a “come essere più simpatici” pullulano. Ma di solito enfatizzano l’idea che rendersi più simpatici sia un’impresa totalmente sotto il nostro controllo. Il problema è che è vero che possiamo controllare pensieri, comportamenti e emozioni che presentiamo agli altri come biglietto da visita. Ma non possiamo in alcun modo controllare – a meno di non volersi trasformare in manipolatori emotivi e non è consigliabile – il modo con cui gli altri ci percepiscono.
Attenti al paradosso della simpatia
Un buon esempio di questa distanza tra il messaggio lanciato e il messaggio percepito è il cosiddetto «paradosso della simpatia», che si basa sul doppio standard di simpatia tra uomini e donne, soprattutto sul posto di lavoro.
Ne parla la scrittrice e opinionista televisiva Alicia Menendez nel suo The Likeability Trap (La trappola della piacevolezza) dove fa notare come sul lavoro, soprattutto in campi appannaggio degli uomini, siano richiesti valori di un certo tipo. Prima di tutto bisogna mostrarsi forti per arrivare a ricoprire posti di responsabilità.
Questo però genera aspettative che penalizzano soprattutto le donne, che per avere successo devono conquistare con calore e simpatia, ma che in questo caso sono viste come meno competenti. E più una donna ha successo, imparando a essere forte e assertiva, meno viene considerata simpatica. Da qui il paradosso per cui più una donna è simpatica, meno viene considerata competente e più è reputata competente, meno è vista come simpatica (anzi, la si vede come aggressiva). Insomma, un vicolo cieco dove ci si va a scontrare coi cortocircuiti generati da pregiudizi duri a morire.
14 comportamenti per rendersi irresistibili
Che fare dunque per rendersi più “appetibili” agli altri? La psicologa Morgan Bailee Boggess consiglia di lavorare di più su quello che possiamo smettere di fare. Per questo, insieme ad altri due psicologi, ha creato un elenco di 14 comportamenti da evitare per risultare più graditi agli altri.
Tutti noi infatti, dicono gli psicologi, adottiamo modelli di comportamento che possono portarci verso relazioni malsane o insoddisfacenti. Da qui l’utilità di fare una specie di inventario dei nostri comportamenti sbagliati per cercare di correggerli. Ecco quali sono i 14 comportamenti da “limare”.
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Pensare che il mondo ruoti intorno a noi
Spesso cadiamo in quello che viene chiamato l’effetto spotlight: l’effetto riflettore. È la tendenza a crederci al centro dell’universo. Come se non fossimo solo al centro del nostro personalissimo mondo, ma anche al centro del mondo altrui. Peccato che questo ci porti a interpretare la realtà in maniera distorta. E la realtà è che il riflettore ci illumina molto meno di quello che pensiamo agli occhi degli altri.
Ecco che allora essere sempre assorbiti dalle proprie cose, essere costantemente convinti che il mondo ruoti attorno a noi può farci sembrare egocentrici quando abbiamo a che fare con gli altri. Dare sempre la priorità ai nostri bisogni rispetto a quelli degli altri non aiuta certo ad attirare le persone verso di noi, al contrario.
Invece le persone apprezzano quando dimostriamo empatia e prendiamo in considerazione i loro sentimenti. Questo dimostra che teniamo veramente a loro. Per diventare più simpatici dobbiamo smettere di crederci il centro del mondo. Cominciamo a de-centrarci per dare spazio al mondo degli altri.
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Mettere troppe barriere tra noi e gli altri
Qui bisogna intendersi: tracciare dei confini sani tra noi e gli altri è indispensabile per la salute mentale, spiega Bailee Boggess. Ma limiti e confini assolvono una funzione positiva a patto di non trasformarsi in muraglie insuperabili dietro le quali trincerarsi come se fossimo perennemente sotto assedio.
Il muro esclude, il confine è un luogo che delimita due spazi distinti, ma rende possibile anche l’incontro. Come ha detto qualcuno, il limite sano funziona come la pelle: esercita una funzione di filtraggio, regola scambi e passaggi. Isola e al tempo stesso connette.
Quindi i confini servono. Se non ne abbiamo rischiamo di mettere in comune con gli altri anche informazioni personali che dovremmo tenerci per noi, oppure rischiamo di essere noi a sconfinare in casa d’altri. Però non possiamo trasformare il confine in muro impenetrabile che ci isola e esclude gli altri. Sapersi aprire agli altri, senza timore di esprimere i nostri sentimenti, le nostre preferenze e necessità, sarà sicuramente apprezzato. In questo modo creeremo un clima più accogliente, positivo e caloroso.
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Non ricambiare mai quanto ricevuto
Piaccia o meno, la nostra vita è fatta di scambi viventi dove diamo, riceviamo e ricambiamo. La reciprocità è fondamentale per mantenerci connessi e in relazione agli altri. E questa viene a mancare quando non ricambiamo il tempo, la disponibilità e il supporto indispensabili in una relazione.
Non si tratta di fare i calcoli col bilancino, cercando di stimare esattamente quanto tempo e disponibilità dobbiamo “restituire” agli altri per essere alla pari con loro. Ma è chiaro che se prendiamo regolarmente dagli altri più di quanto diamo loro, le persone potrebbero cominciare a considerarci come egoisti o opportunisti o, peggio ancora, come approfittatori che si limitano a sfruttare gli altri. Meglio dunque lasciar cadere questo modo di fare e mostrarsi solidali e generosi.
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Pensare di sapere sempre tutto degli altri
Credersi onniscienti, dare tutto per scontato – soprattutto con le persone che pensiamo di conoscere bene – è una tentazione in cui è facile cadere. E il problema è che credere di sapere sempre tutto porta a non ascoltare più e denota arroganza.
Così trascuriamo il fatto che anche se le azioni e le prospettive di quella persona possono essere prevedibili, non per questo abbiamo il diritto di fare sempre supposizioni, di presumere troppo. La persona resta sempre un mistero e sapere tutto di lei è impossibile. Del resto l’onniscienza è prerogativa divina, dunque rilassiamoci perché è certo che Dio non siamo noi.
Piuttosto che fare i saputelli impariamo allora a metterci attivamente in ascolto per non lasciarci sfuggire i dettagli fondamentali di una conversazione e essere più presenti e attenti all’altro. Questa pratica ci aiuterà a non sentirci l’ombelico del mondo e a non trasmettere agli altri quella odiosa sensazione di superiorità.
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Fare lo yes-man
Pensare di conquistarsi gli altri dicendo sempre sì a tutto, sempre pronti a dar ragione a qualsiasi cosa può sembrare una via comoda per risultare simpatici. Tutto al contrario: servilismo e accondiscendenza non pagano. Anzi, annuire ciecamente a qualunque cosa ti venga detta o chiesta può far sorgere dubbi sulla tua sincerità.
Imparare a dire di no quando necessario è una virtù utile ben al di là dell’essere irresistibili di fronte agli altri. È, ancora una volta, una questione di mettere dei sani limiti, dei giusti confini. È soprattutto una questione di rispetto verso noi stessi.
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Prendersi troppo sul serio
La seriosità è un male comune e diffuso oggi. Per cui nulla di strano se anche noi tendiamo a prenderci un po’ troppo sul serio. Se qualcuno ce lo ha fatto notare è probabile che la cosa ci abbia irritato. Ma vale la pena trattenere l’irritazione e chiedersi se invece non ci sia un fondo di verità in quel commento che ci ha fatto imbufalire. Del resto proprio la nostra reazione e l’arrabbiatura sono un segno che siamo stati punti sul vivo.
Trovare un giusto equilibrio tra fare le cose seriamente ma senza prendersi troppo sul serio può evitarci una bella dose di nervosismo. E anche renderci più accessibili agli altri, mostrandoci più flessibili.
Insomma, abbassiamo il ponte levatoio e anche le pretese. Non si tratta di volare più basso, ma semplicemente di volare più leggeri, meno carichi di ego. Ci aiuterà a che a “connetterci” di più agli altri.
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Rimanere incollati al cellulare
Avete mai sentito parlare del phubbing? Questa parola composta deriva dall’unione di due termini inglesi: phone, che ovviamente sta per «telefono», e snubbing cioè «snobbare». Facciamo phubbing quando ignoriamo completamente la persona che sta davanti a noi per trafficare col nostro adorato telefonino.
Alzi la mano chi non ci è caduto mai, ma in alcuni casi questa abitudine raggiunge livelli davvero insopportabili. Perciò quando siamo da soli a casa o fuori con le persone, mettiamo giù il telefonino e cominciamo a interagire con qualcosa – o meglio con qualcuno – che non sia lo schermo del cellulare.
Inutile dire che quando siamo incollati al telefonino assumiamo un’aria da snob. Ci mostriamo distanti, distratti o disinteressati. Mettere al bando il phubbing ci evita tante cose: di mettere sotto sforzo i nostri occhi ma anche di mettere tensione nei nostri rapporti con gli altri.
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Mantenersi sempre neutrali
Un’altra tentazione che ci illude di poter andare d’accordo con tutti sempre e comunque è quella della neutralità a oltranza. È la convinzione che gli altri ci apprezzeranno se su tutto manterremmo un approccio “svizzero”. Gli altri discutono su dove andare a cena e la tua opinione può essere quella decisiva? Non sia mai, prendere posizione potrebbe alienarti le simpatie di qualcuno. Ecco allora che te ne esci con frasi come: «Decidete voi: per me è indifferente, non ha importanza».
Certo, chi lo nega? In alcuni casi mantenersi neutrali in situazioni di conflitto ha il suo perché e la sua utilità: di guerre sanguinose ce ne sono fin troppe nel mondo, aggiungerne un’altra non è il caso.
Ma adottare sistematicamente l’approccio “svizzero” dà l’impressione di non essere né carne né pesce. Soprattutto evitare sempre di esprimere la propria opinione o di prendere una posizione chiara dà l’impressione di esser poco solidali e indifferenti, per non dire della mancanza di personalità.
Come cambiare questo comportamento? Accettando il rischio di esprimere i nostri pensieri e i nostri valori. Basta farlo senza mancare di rispetto al punto di vista degli altri. Paradossalmente, rischiare l’impopolarità può farci guadagnare invece la stima e il rispetto altrui.
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Diventare dipendenti dall’approvazione degli altri
Questo punto è inevitabilmente legato al precedente. A volte abbiamo un terrore folle di sfidare l’impopolarità perché dipendiamo dal giudizio degli altri per avallare le nostre esperienze, pensieri e convinzioni.
Tuttavia, questa costante dipendenza dall’approvazione esterna alla lunga può rivelarsi logorante non solo per noi – quasi che non potessimo respirare senza pubblico attestato -ma anche per chi ci circonda. Abbandonare questa dipendenza dal giudizio altrui non può farci che bene: guadagneremo in sicurezza, indipendenza e ci renderemo anche più gradevoli alla vista del prossimo.
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Aprire troppo la “scatola della chiacchiere”
In inglese chiacchierone si dice «chatterbox», alla lettera «scatola delle chiacchiere». Poche cose danno più fastidio dell’abitudine di interrompere e parlare sopra le persone durante una conversazione. Consideriamo che aprire la scatola delle chiacchiere sia qualcosa di simile alla sciagurata apertura del vaso di Pandora.
Non apriamo troppo certi contenitori. Un atteggiamento da chiacchieroni indispone e dà un pessimo segnale agli altri: ovvero che quello che stanno dicendo loro è meno importante di quello che stiamo dicendo noi. Poche cose alienano più simpatie.
Se ci accorgiamo che stiamo monopolizzando la conversazione al punto da impedire agli altri di proferire parola forse è il caso di fare un respiro profondo, fare un passo indietro e, per quanto difficile, metterci attivamente in ascolto di quello che hanno da dirci. Come fare a tenere chiusa la scatola delle chiacchiere? Gli psicologi consigliano di prendersi del tempo per elaborare i propri pensieri e di non lasciarsi sfuggire tutto subito quando parliamo con gli altri.
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Fare i maleducati
A tutti capita di avere una brutta giornata. Ma un conto è avere un giorno agitato da nuvoloni neri, un altro è vivere con un temporale costante in mente che ci porta a essere scortesi con tutti in ogni stagione dell’anno.
La scortesia di default non solo può allontanare le persone e danneggiare le relazioni, ma anche proiettare una luce estremamente negativa su di noi. Pensiamoci: può piacere stare in compagnia di qualcuno che ci manca sempre di rispetto?
Gentilezza e cortesia possono sembrare virtù minori, quasi inessenziali. Ma non lo sono affatto: sono un potente segno di attenzione per l’altro, un riconoscimento della sua dignità personale. Sono microsegni che funzionano come una benefica polvere sottile: innalzano la temperatura umana, migliorano il clima delle nostre relazioni, rendono sostenibile e abitabile il mondo dei rapporti umani.
Se vogliamo stabilire delle connessioni sane e positive con gli altri non c’è nulla di meglio che alzare il tasso di cortesia e gentilezza. Tanto più in un tempo dove predominano le maniere sgarbate e le esplosioni di una istintualità immediata e aggressiva. Del resto, come ha detto qualcuno, essere gentili è una scelta. E pare addirittura che allunghi la vita.
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Lamentarsi a ciclo continuo
Un’altra abitudine da accantonare decisamente per guadagnare punti agli occhi degli altri è la lamentela a ciclo continuo, 24 ore su 24, 365 giorni all’anno.
Esprimere eccessivamente le proprie lamentele è gravoso e spiacevole per chiunque ci circondi e non fa certo bene alla nostra salute mentale. Una possibile via d’uscita dal tunnel della lamentela estenuante e infinita può essere, suggeriscono gli psicologi, quella di concentrarsi più sulle soluzioni che non sui problemi. Per trasformare in positività la negatività. O almeno per essere più distaccati dai problemi – che d’altronde non mancano mai né mancheranno nella nostra vita
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Fare del sarcasmo non necessario
Chi ha un’attitudine sarcastica spesso fatica a contenersi e infila un po’ di sarcasmo nelle conversazioni. Senza rendersi conto che il sarcasmo va dosato con estrema attenzione. Pensiamo al sarcasmo come a una sorte di pepe: nella giusta dose può insaporire una minestra insipida, ma quando ne mettiamo troppo ci provoca acidità. Anche farsi beffe degli altri dopo un po’ mette a disagio.
Mai dimenticare che il sarcasmo è un’ironia aggressiva (non per nulla viene dal greco “sarkazein”, che indica l’azione con cui si lacerano le carni, strappate via e fatte a brandelli). Quando diventa incontenibile, il sarcasmo dilaga e porta a malintesi o a ferire i sentimenti altrui. L’ideale sarebbe convertire il sarcasmo in quella forma di ironia bonaria che è l’umorismo, dove l’aggressività è nettamente stemperata e lascia spazio al sorriso e al buonumore. Ma se non si riesce in questa opera di “riconversione”, meglio abbassare la produzione giornaliera di sarcasmo.
Imparare a usare il sarcasmo con giudizio significa cominciare a valutare l’impatto delle nostre parole sugli altri e come una parola sarcastica possa portare ad allontanare le persone, che si sentono “sotto tiro”. E la sensazione di assedio, si sa, non piace a nessuno.
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Avere un atteggiamento chiuso
Rigidità, chiusura mentale. È sempre la sindrome del ponte levatoio che ci porta a stare costantemente sulla difensiva, come se lì fuori ci fossero sempre orde di orchi in agguato.
Chiudersi in una splendida torre d’avorio, giocare sempre in difesa, fare un catenaccio permanente rischia di farci dimenticare che la vita non è solo competizione serrata con gli altri. Un atteggiamento chiuso dà l’idea di essere sempre pronti al contrattacco.
Ma la vita è anche comunione oltre che competizione. Trascurare o cancellare il primo dei due aspetti può allontanare le persone. In questo modo mandiamo loro segnali di chiusura, di incapacità di accettare il minimo confronto e di ammettere, non sia mai!, di avere qualche torto. Emanciparsi dalla gabbia dorata della chiusura mentale risulta fondamentale per sintonizzarsi gli altri, imparando a considerare e rispettare anche le prospettive e i punti di vista alternativi al proprio. Di più: mostra anche un atteggiamento più umile e meno superbo.
Un codice universale per la simpatia
In un mondo perfetto, basterebbe un manuale – magari quello delle giovani marmotte – che ci fornisse le istruzioni per renderci immediatamente simpatici. Ma purtroppo – o per fortuna – questo mondo perfetto non esiste e la simpatia rimane pur sempre avvolta da un velo di mistero. Quello che funziona per qualcun altro potrebbe non funzionare per noi e viceversa.
Detto questo, secondo gli psicologi c’è un segnale universale in grado di avvisarci che qualcuno è simpatico: l’autenticità. Più siamo “noi”, maggiore è la probabilità che gli altri capiscano che sei una persona genuina. Quando le persone capiscono che non portiamo una maschera e non recitiamo una parte è facile che ci prendano in simpatia.
«Imparerai a tue spese che nel lungo tragitto della vita incontrerai tante maschere e pochi volti». Forse è proprio aver appreso a proprie spese la verità di questo celebre ammonimento di Pirandello che spinge i più ad apprezzare istintivamente chi, nel bene e nel male, ha il coraggio di presentarsi in pubblico col suo vero volto.
Giù le maschere allora! Inutile dunque nasconderci da noi stessi. Il coraggio e l’audacia fanno rima col rischio, certamente. Ma senza prendersi dei rischi non si va da nessuna parte, garantito.