Alberto Angela, il racconto del divulgatore lascia senza parole: ecco quando e come ha rischiato di morire durante uno dei suoi viaggi.
Da diversi anni a questa parte Alberto Angela ha raccolto l’eredità di suo padre come divulgatore scientifico di maggior successo della Rai. Esattamente come il genitore è stato in grado di portare a casa ascolti più che discreti anche per una prima serata con programmi in cui si parla di cultura, storia, arte e tradizione. In un’epoca in cui il palinsesto televisivo è abitato solo da reality, serie tv e approfondimenti cruenti di cronaca è un vero e proprio miracolo.
Ma pare che il figlio di Piero Angela sia stato miracolato anche in altre due occasioni e che dunque debba ringraziare doppiamente destino, sorte o una divinità a scelta per essere ancora oggi qui a poter godere del successo televisivo di cui sopra. Se solo un dettaglio fosse andato diversamente, se solo qualcuno avesse commesso il minimo errore, oggi nessuno potrebbe godere della televisione di qualità fatta da Alberto e lui non sarebbe un idolo dei social e un sex symbol (l’unica cosa che probabilmente gradirebbe di questo drammatico mondo alternativo).
Alberto Angela: il racconto di quando ha rischiato di morire
Prima di diventare un vero e proprio lavoro, quella per i viaggi, la storia e l’arte del passato era per Alberto una vera e propria passione ereditata dai genitori. Sin da piccolo è stato infatti abituato a viaggiare e ricercare conoscenza e come un novello Indiana Jones ha fatto sua questa abitudine familiare fino a farla diventare la sua unica (o quasi) ragione di vita. Ciò che non sapevamo è che proprio per andare incontro a questa passione ha rischiato di lasciarci la vita in due differenti occasioni.
La prima risale a quando era molto giovane e stava visitando alcuni luoghi remoti dell’India. A raccontarlo è stato proprio Alberto in un’intervista di qualche anno fa: “Avevamo affittato un vecchio torpedone scassato e ricordo che l’autista piegava sempre mentre guidava su questi sentieri sterrati a strapiombo. Ma in India era una cosa normale”. Pensate che a quell’epoca aveva solamente 14 anni e dunque letteralmente tutta la vita davanti.
Ma la volta in cui ha pensato davvero che sarebbe sopraggiunta la fine è stata molti anni dopo quando è andato a filmare una popolazione indigena di ex tagliatori di teste in Indonesia. A mettere in pericolo la sua vita, tuttavia, non è stato l’incontro con la popolazione Nias, bensì il viaggio di ritorno: “Ci siamo arrivati con un giorno e una notte di navigazione a bordo di un vecchio cargo senza radio, senza scialuppe, senza niente. Nel viaggio di ritorno abbiamo preso una forte tempesta: ho pensato che saremmo affondati, che saremmo morti”.
In quei momenti di panico Alberto Angela pensava al fatto che anche se fossero sopravvissuti allo schianto e alla tempesta e fossero rimasti in mare, nessuno sarebbe stato in grado di trovarli e trarli in salvo. Ricorda ancora oggi l’immagine del capitano della nave che cerca di osservare una strada di salvezza da una carta nautica tutta strappata, di ricomporla in mezzo alla tempesta come se fosse un puzzle.