Gli operatori di mercato e le banche sono già in allerta: una nuova terribile crisi immobiliare si sta abbattendo sull’Europa.
Ricordate la crisi dei mutui subprime dell’ormai lontano 2008, quando dall’America si scatenò un terremoto capace di far tremare il sistema economico internazionale, e con Lehman Brothers crollò un intero castello fatto di finanziamenti non coperti da adeguate garanzie? Ecco, dopo il Covid e la guerra in Ucraina, rivivremo uno choc molto simile…
Operatori di mercato e banche non hanno dubbi e sono già in massima allerta: la crisi immobiliare in Europa è imminente. La parola chiave è “svalutazione“. Ecco cosa potrebbe accadere nei prossimi mesi.
Dopo i continui aumenti dei tassi d’interesse da parte della Bce, gli addetti ai lavori temono un’ondata di svalutazioni con l’effetto di una vera e propria catastrofe per il settore immobiliare. Il timore di una crisi immobiliare era dovuto agli inizi dal continuo aumento dei costi di indebitamento, a seguito dell’aumento dei tassi BCE.
Ultime stime alla mano, la perdita di valore si attesterebbe a poco meno di 150 miliardi di dollari, 148 per l’esattezza. Le società immobiliari, tanto per rendere l’idea, detengono qualcosa come 165 miliardi di dollari di obbligazioni, in scadenza fino al 2026. Ecco allora che le banche stanno già correndo ai ripari, riducendo la loro esposizione al settore immobiliare sulla scia dell’aumento dei costi del credito (con tassi annuali nominali superiori al 4%), il che implica un totale di interessi su un mutuo pari al 45-50% del credito stesso.
Tra le principali cause di questo mix esplosivo c’è la bolla sul prezzo di case e affitti, complice l’iper-inflazione e l’aumento dei costi dei mutui ipotecari. Le cronache recenti dei quotidiani ci hanno raccontato il crollo dei valori degli uffici nella City di Londra come a Berlino, con la British Land che ha perso ufficialmente il suo posto nel FTSE 100 dopo più di due decenni, e la proprietà del distretto finanziario di Canary Wharf a Londra che è stata declassata a “spazzatura“.
Non appena il mercato ha sentito puzza di bruciato, gli operatori hanno cominciato a fare dietrofront dagli investimenti immobiliari. Risultato: il prezzo dei palazzi di uffici a Parigi, Berlino e Amsterdam – solitamente richiestissimi – è sceso di oltre il 30% nel giro di 12 mesi. Non solo: se i fondi battono la ritirata, i proprietari indebitati sono costretti a vendere asset e tagliare i dividendi per prepararsi al peggio. Se la situazione debitoria non viene alleggerita, infatti, in sede di rifinanziamento i tassi saranno inevitabilmente più alti.
Un recente campanello d’allarme è suonato con il crollo della società immobiliare svedese Samhallsbyggnadsbolaget, che ha perso oltre il 90% dal suo massimo valore storico. Un debito pari a 8 miliardi di dollari, impiegato per mettere su un portafoglio di oltre 2.000 proprietà, ha portato al declassamento della società a titolo junk, nonostante le manifestazioni di interesse da parte di aziende come la Brookfield Asset Management.
E quello svedese non è certo un caso isolato: secondo gli esperti di Bloomberg, la maggior parte delle obbligazioni immobiliari con qualifica “High Grade” fa capo a società declassate a “junk” di recente. Avanti di questo passo, non sarà improbabile un’esplosione della bolla entro la fine di quest’anno. Le conseguenze di uno scenario di svalutazione continua si faranno sentire anche – e soprattutto – nelle case dei comuni cittadini. La crisi immobiliare potrebbe infatti portare ad una riduzione del valore degli immobili commerciali nel Vecchio Continente dell’ordine del 40%, secondo i calcoli dell’analista di Citigroup Inc. Aaron Guy.
Ma c’è anche chi considera quest’ultima stima troppo ottimistica: Max Berger, gestore del portafoglio crediti di DWS Investment GmbH, avverte che molte delle valutazioni immobiliari dovranno essere rivedute al ribasso. Di qui la ragione per cui in molti hanno già deciso di rinunciare a ulteriori investimenti nel settore, come accaduto per il fondo presso MAPFRE Asset Management (e parliamo di 40 miliardi di euro!).
E in assenza di nuovi capitali freschi, i debiti renderanno necessari ulteriori debiti, con un aumento dei costi per via dell’aumentato rischio. Nelle circostanze date, i proprietari saranno costretti a fornire anche il 50% di capitale aggiuntivo, a fronte di un potenziale tasso di rifinanziamento del 6%, cifra mai raggiunta negli ultimi due decenni. Resta da vedere se i proprietari riusciranno nel lungo periodo a onorare gli impegni con le banche e i fondi di credito privati che praticano tassi del genere. Il rischio di insolvenza è sempre dietro l’angolo.
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