Dimenticare il figlio in auto: sicuri che sia una cosa che succede sempre e solo a genitori irresponsabili e distratti?
Può essere spiacevole da sentirsi dire, ma il fatto è che cose del genere possono succedere e meccanismi del genere li sperimentiamo ogni giorno. Attenzione all’amnesia dissociativa.
È successo ancora. Stavolta a Roma, nella zona della Cecchignola. Lei si chiamava Stella, aveva poco più di un anno. È morta in macchina, dove l’aveva lasciata il padre, un carabiniere adesso indagato per il tragico evento. Doveva portarla all’asilo nido dei figli dei dipendenti dell’Arma. Ma la piccola non ci è mai arrivata, il genitore si è dimenticato che era ancora in macchina.
Tragedie come queste, che sconvolgono le vite di genitori e famiglie, si sono sentite già diverse volte negli ultimi anni. Negli ultimi venticinque anni il triste conteggio parla di undici piccole vittime di quella che viene chiamata la “sindrome del bambino dimenticato”. Per cercare di arginarla, dal 2018 è entrato in vigore il cosiddetto Decreto seggiolino: la legge che ha reso obbligatorio l’uso del seggiolino anti abbandono in macchina fino a 4 anni di età.
Solitamente in incidenti di questo tipo ricorrono sempre, come nella trama di una storia già vista, queste caratteristiche: un genitore che, già molto stanco e stressato, cambia qualcosa nello schema abituale della sua routine quotidiana.
E così finisce per “girare a vuoto” dimenticando di portare il figlioletto o la figlioletta all’asilo, proseguendo poi la propria giornata come se invece ce lo avesse portato. Dunque va regolarmente al lavoro, fino a quando non si consuma il dramma, cioè la morte del bimbo dimenticato nel seggiolino collocato nel sedile posteriore dell’auto.
Notizie del genere sconvolgono suscitando in chi le apprende reazioni veementi, che vanno dallo stupore alla rabbia e all’indignazione. La prima reazione, in genere, è quella di additare immediatamente il “colpevole”: lo “snaturato” genitore che si è dimenticato il figlio in auto.
Da qui in poi la macchina del giudizio spietato si attiva inesorabilmente. Convinti che a noi una cosa del genere non capiterà mai e poi mai, scarichiamo sul malcapitato il carico da novanta bollandolo magari come “mostro” da punire severamente.
Come può un genitore che ama il proprio figlio dimenticarselo in macchina? Deve essere per forza una persona avaloriale, un genitore assente, che se non maltratta come minimo è inadeguato al suo ruolo di genitore. E così via tranciando giudizi su giudizi che però, come accade sempre, nascondono il terrore che una cosa del genere possa capitare a chiunque. Anche a noi.
Perciò cerchiamo di esorcizzarla scaricando la colpa all’esterno, demonizzando un capro espiatorio. Illudendoci che solo in casi assolutamente eccezionali (dunque a un mostro, a un genitore snaturato e insensibile) possa succedere qualcosa del genere.
Ma non è affatto così. Per quanto a tutti noi piaccia sentirci “brave persone”, chi ha perso il figlio in maniera tanto tragica non è affatto un mostro, ma una persona che amava la propria creatura, che cercava di prendersi cura di lei al meglio che poteva. Purtroppo però è incappato in un fenomeno ben conosciuto: l’amnesia dissociativa. Si tratta di un momentaneo vuoto di memoria, una specie di black out che fa girare a vuoto la memoria.
Con l’amnesia dissociativa le funzioni della memoria e della coscienza si disconnettono. Come se una mano invisibile avesse schiacciato il tasto di spegnimento di una parte della nostra corteccia cerebrale, disattivandola temporaneamente e facendoci perdere letteralmente per strada una porzione della giornata. Un sentiero interrotto, un frammento perso la cui durata che può variare da pochi minuti a parecchie ore.
Per quanto possa essere spiacevole sentirselo dire, il fatto è che un meccanismo come questo accompagna praticamente tutte le nostre giornate. Basterebbe solo pensare a quante volte inseriamo, come si dice, il pilota automatico e ripetiamo i gesti più abitudinari in maniera meccanica, rivolgendo il pensiero a mille altre cose ma non certo al gesto che stiamo compiendo in quel preciso momento.
Mai capitato di perdersi in mille altri pensieri mentre qualcuno ci sta parlando? Di giungere sul posto di lavoro senza assolutamente ricordarsi che strada abbiamo percorso? Oppure di non trovare qualche oggetto che eppure siamo certissimi di aver messo nel solito posto? O ancora di dimenticare il caffè sul fuoco o il ferro da stiro acceso? Sono tutte piccole amnesie, giri a vuoto che di solito ci succedono a causa della stanchezza, dello stress, della to-do list, dei mille pensieri che affollano la nostra mente.
Provvidenzialmente, nella stragrande maggioranza dei casi queste amnesie momentanee non hanno conseguenze gravi: una volta pulito il fornello ricarichiamo la caffettiera e il caffè, salvo altre dimenticanze, in pochi minuti giunge a destinazione: nella nostra tazza. Ma non sempre l’esito è così felice, come mostrano le tragedie dei bimbi dimenticati in auto.
È importante ribadire però che siamo davanti a un meccanismo neurologico, scientificamente dimostrato. Gli psicologi infatti ce lo ricordano: c’è una stretta relazione tra un forte stress e la compromissione della memoria. In questo caso i corticosteroidi – meglio noti come gli ormoni dello stress – vanno a sopprimere l’attività neurale collegata alla memoria e all’apprendimento.
Per questo motivo è una pia illusione pensare che a noi non potrebbe capitare mai: il logorio della vita moderna, coi suoi ritmi sfiancanti e stressanti risparmia ben poche persone. Nei casi dei piccoli morti in macchina è successo che il genitore, sovrappensiero mentre svolgeva le sue azioni di routine, abbia saltato un passaggio fondamentale senza averne coscienza. Anzi, era del tutto convinto di aver seguito sempre lo stesso schema, salvo rendersi conto del passaggio a vuoto quando ormai era troppo tardi, a tragedia consumata.
Non ci stanchiamo di ripeterlo: bisogna resistere alla tentazione di “mostrificare” questi genitori. Il classico giro a vuoto può colpire anche il genitore più presente, sensibile e premuroso col proprio figlio. Forse invece che additare i singoli sarebbe il caso di fare una profonda riflessione sullo stile di vita di una società che genera stress a ciclo continuo.
Al punto che basta davvero poco per finire nel meccanismo dell’amnesia dissociativa. Può essere sufficiente cambiare qualcosa nello schema quotidiano con cui si accompagnano i figli a scuola. Può essere che a occuparsi di questo compito sia sempre uno dei due genitori e che quella tragica volta invece sia toccato all’altro portare il figlioletto all’asilo. Invertire quest’ordine abituale può rivelarsi fatale, ma è solo un esempio.
Il dito puntato sugli altri serve a gran poco: la sua unica utilità è quella di proteggere noi dal timore che una cosa del genere possa sconvolgere anche le nostre vite. Una strategia di difesa dunque. Ma di un’utilità malsana, costruita com’è sulle spalle di genitori che hanno già un macigno da portare. E potrebbe non bastare una vita intera per sgravarsi da un simile fardello. Perché dunque appesantirlo ulteriormente?
Più utile e sano invece cercare di adottare strategie per limitare il rischio che questo meccanismo si attivi. Magari cercando di ridurre, per quel che possiamo, le situazioni stressanti, staccando quando possiamo. Ma sarebbe necessaria anche una riflessione pubblica sulla condizione di stress molto diffusa nei genitori, lasciati spesso senza supporto a doversi giostrare tra i ritmi frenetici del lavoro e la crescita dei figli, senza momenti di sosta, assorbiti da una routine sfiancante.
Un altro rimedio molto concreto sono appunto i seggiolini anti abbandono, muniti di dispositivi di segnalazione che rilevano la presenza del bimbo nel sedile posteriore dell’auto. Come detto, dal 2018 sono obbligatori per legge.
La tecnologia, come in altri casi, può aiutare a salvare delle vite. Ma non può diventare un alibi per evitare di affrontare i problemi. È anche indispensabile creare le condizioni sociali per cui assolvere i doveri ordinari, quelli relativi alla nostra vita quotidiana, non diventi un compito insopportabile, generatore di una stanchezza e di uno stress insostenibili.
Domande indubbiamente scomode, visto che mettono in questione il nostro stile di vita. Ma che quantomeno non scaricano su alcuni poveri genitori già affranti dal dolore il peso di una tragedia familiare che li segnerà per sempre.
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