Assistere un familiare non autosufficiente è un impegno stressante che rischia di far ammalare anche chi presta assistenza.
Uno studio dell’Istituto Superiore di Sanità porta alla luce gli aspetti preoccupanti di un impegno dove i soggetti curanti forse non sono sufficientemente supportati nel loro sforzo. Al quale spesso e volentieri pagano un prezzo pesante in termini di salute psicofisica.
Col termine caregiver si intende generalmente, nel mondo anglosassone, colui che si prende cura di persone dalla limitata autonomia. Come nel caso di una malattia o di una disabilità, ma anche nei confronti di anziani o di bambini in tenera età.
Quello del caregiver è un impegno gravoso e stressante. Assistere un proprio familiare anziano o disabile è un compito che può sopraffare dal punto di vista fisico e emotivo. Motivo per cui la legge italiana con la legge 104 concede a questi soggetti lavoratori il diritto di ottenere permessi e congedi straordinari retribuiti.
I permessi legge 104 consentono al caregiver di assentarsi dal lavoro per 3 giorni al mese, fruibili in maniera frazionata o continuativa. Durante i tre giorni di assenza dal lavoro il lavoratore ha comunque diritto alla piena retribuzione.
Grazie ai congedi straordinari invece il caregiver può assentarsi dal lavoro per una durata massima di 2 anni nel corso della sua carriera lavorativa. Anche il congedo può essere frazionato o usato in maniera continuativa. E anche in questo caso al lavoratore spetta l’intera retribuzione, anche se sarà penalizzato sul piano contributivo e delle ferie.
Tutte agevolazioni, come detto, che il legislatore ha concesso ai caregiver, sottoposti a uno stress psicofisico molto significativo. È lo stress che deriva dal fatto di doversi prendere cura di un familiare non autosufficiente a causa di una malattia cronica o di una disabilità. Una fatica che mette a repentaglio anche la salute degli stessi caregiver familiari.
È uno scenario preoccupante confermato, una volta di più, dai dati emersi da uno studio pilota dell’Istituto Superiore di Sanità. L’indagine è stata presentata all’Iss in occasione del convegno su Stress, salute e differenze di genere nei “caregiver” familiari, organizzato dal Centro di riferimento per la medicina di genere in collaborazione con il Centro per le Scienze comportamentali e salute mentale.
Un primo dato che fa riflettere è il fatto che a essere più esposte alle ricadute negative dello stress da caregiving familiare sono le donne. A causa del progressivo invecchiamento delle popolazioni occidentali, la figura del caregiver (o assistente) familiare, detta talvolta anche “carer“, è destinata a essere sempre più necessaria. Alcune stime parlando addirittura di un incremento dell’85% nei prossimi decenni.
Come dicevamo, prendersi cura di una persona autosufficiente è un’attività che ha ricadute sul piano psicofisico. Lo chiamano burden (cioè carico) del caregiver: una vera e propria sindrome che si manifesta sotto forma di stanchezza e esaurimento emotivo nel soggetto che presta le cure. Che rischia così, a sua volta, di esserne bisognoso se non supportato.
Il burden del caregiver e il sovraccarico che ne consegue non è affatto da sottovalutare. Al contrario, questa sindrome presenta manifestazioni psicofisiche del tutto analoghe a quelle del burnout. Oltre alla sensazione di stanchezza e esaurimento emotivo, già ricordate, il burden del caregiver può far calare le difese immunitarie e portare a sviluppare ansia, depressione, irritabilità. Ma non mancano nemmeno i problemi di appetito, le flessioni dell’umore, le difficoltà a prestare attenzione, a concentrarsi, a ricordare.
Gli assistenti familiari colpiti da questa sindrome da sovraccarico psicofisico si ammalano più facilmente, sono soggetti a disturbi del sonno e gastro-intestinali. Spesso sono costantemente preoccupati, presentano i classici disturbi da somatizzazione. Il caregiver stressato tende infatti a sentirsi eccessivamente coinvolto, schiacciato da una responsabilità che sente di non poter delegare. Al punto che spesso arriva a sentirsi in colpa per i peggioramenti o i problemi della persona assistita.
In questo caso è il caregiver stesso, spesso e volentieri, ad aver bisogno di cure mediche. Si innesca così una sorta di circolo vizioso dove il caregiver diventa una sorta di “vittima secondaria” della malattia o della condizione di disabilità della persona oggetto delle sue cure.
In generale dunque la sindrome del burden del caregiver è un lento e logorante stillicidio quotidiano che produce un generale decadimento della qualità della vita.
Un quadro che trova conferma nei risultati ottenuti dalla ricerca pilota presentata all’ISS. Gli autori dello studio hanno somministrato dei questionari a 201 campioni nella regione Lazio. Gli esiti dello studio sono stati sintetizzati una nota divulgata dallo stesso Istituto Superiore di Sanità. Dalla quale emerge quanto lo stress rappresenti un fattore di rischio per lo sviluppo di sintomi depressivi.
Come anticipato, a far registrare livelli più alti di stress sono state le donne: il 34%, contro il 14% degli uomini. La salute delle donne è dunque esposta a maggiori livelli di rischio, con almeno un disturbo (nel 64% dei casi, contro il 42% degli uomini) manifestatosi dopo aver iniziato la propria attività di caregiving. Inoltre nel 67% dei casi (rispetto al 53% degli uomini) la salute attuale delle donne che assistono la persona non autonoma non è buona.
Non è tutto: c’è un’altra differenza rilevante tra uomini e donne, dato che le seconde hanno la tendenza ad avere un regime alimentare meno regolare di quello degli uomini (44% contro il 33%). Un dato che va in controtendenza rispetto al trend della popolazione generale, dove sono le donne ad avere un’alimentazione più regolare. Confermata invece la tendenza maschile a consumare maggiormente sostanze alcoliche (38% negli uomini contro il 22% nelle donne)
Come spiega Marina Petrini, responsabile dell’evento, il convegno si prefigge lo scopo di «accrescere nei “caregiver” familiari la consapevolezza dei possibili rischi per la salute associati allo stress da carico assistenziale, considerando anche le differenze di salute genere-specifiche».
Dal canto suo Elena Ortona, Direttrice del Centro di riferimento per la medicina di genere, ricorda che evidenziare «le differenze di sesso e genere nello stato di salute dei caregiver familiari è fondamentale perché sono prevalentemente le donne ad assumersi il ruolo di cura e assistenza in famiglia, ma anche perché le disuguaglianze di genere possono causare a loro volta disuguaglianze di salute».
La presenza di un tale “gender gap”, prosegue la dottoressa Ortona, dovrebbe spingere le politiche sociosanitarie regionali a programmare interventi mirati nei confronti dei caregiver familiari che tengano in considerazione – al fine di prevenire le malattie associate allo stress – le differenze emerse dai dati tra uomini e donne.
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