Uno studio americano dimostra che la solitudine può portare ad una patologia molto grave, che colpisce solo in Italia circa 300.000 persone.
Che cos’è la solitudine? Spesso quando una persona sta per i fatti suoi si usa dire: “È una persona solitaria, gli piace stare solo“. È vero che ci sono individui più legati alla propria intimità, ma la solitudine non è una condizione che porta piacere a lungo andare. In inglese esistono due diverse accezioni del termine solitudine: da un lato si parla di solitude, come un momento di raccoglimento e intimità, dall’altro di loneliness, intesa come isolamento, nell’accezione negativa del termine. In effetti, la solitudine potrebbe essere vista come il risultato di questa dualità, dove spesso il lato più vicino alla depressione sovrasta l’altro. La solitudine, quindi, è una condizione mentale che può rivelarsi costruttiva, se ben gestita, o portare a stati depressivi.
Diverse evidenze scientifiche dimostrano sempre di più che l’impatto della solitudine sulla salute sia particolarmente significativo. Le autorità sanitarie degli Stati Uniti l’avevano bollata come epidemia. Altri studi parlano del rapporto con la salute del cuore. La Società americana degli Psicologi invece ricorda come la solitudine uccida più dell’obesità. Inoltre uno studio ha dimostrato che essere e sentirsi soli è anche tra i fattori di rischio di una grave malattia neurodegenerativa.
La solitudine può portare a una grave malattia neurodegenerativa
La malattia che la solitudine potrebbe comportare è il Parkinson. Gli esperti del Florida State University College of Medicine di Tallahassee negli Stati Uniti hanno analizzato i dati di quasi mezzo milione di persone. Questa è la prima ricerca in assoluto che si concentra sul legame tra solitudine e malattia. I ricercatori hanno attinto ai dati della Biobanca Britannica. Si tratta di un database con le informazioni sulla salute di centinaia di migliaia di cittadini del Regno Unito che sono monitorati per anni. Dopo 15 anni lo studio ha rilevato che su 491.603 partecipanti 2.822 hanno sviluppato il Parkinson. Incrociando i dati, gli esperti hanno scoperto che chi ammetteva di sentirsi solo aveva un rischio di sviluppare la malattia superiore del 37%.
Questo valore resta identico anche se si tiene conto degli altri fattori di rischio di Parkinson, come: età, fumo di sigaretta, vita sedentaria, sovrappeso o obesità, diabete, un episodio di ictus, malattie cardiovascolari, depressione, ansia, familiarità e situazione socio-economica. L’età media di esordio della malattia è intorno ai 60 anni. Nel 5% dei casi i pazienti invece sono decisamente più giovani, addirittura ventenni. Prima di questa età è estremamente rara. Sopra i 60 anni colpisce 1-2% della popolazione, mentre la percentuale sale al 3-5% quando l’età è superiore agli 85.
Quindi si può affermare che c’è un legame tra solitudine e Parkinson, la risposta è sì. Essere soli innalza le probabilità di sviluppare questa malattia neurodegenerativa, anche senza altri fattori di rischio.