È facile dire la cosa sbagliata quando cerchiamo di aiutare le persone a gestire emozioni dolorose e si rischia di peggiorare la situazione.
Il processo di ascolto e supporto di qualcuno che sta attraversando un momento di dolore emotivo è qualcosa di molto delicato e spesso ci si ritrova a navigare in acque sconosciute. Tentare di alleviare il dolore di qualcuno può essere una sfida complicata e talvolta, anche con le migliori intenzioni, finiamo per dire la cosa sbagliata.
Che si tratti di amici, familiari o persino professionisti, le parole possono essere un’arma a doppio taglio: possono offrire conforto o, se scelte in modo errato, possono aggravare il dolore. Le dinamiche del conforto sono state a lungo studiate dagli esperti di psicologia delle relazioni e oggi si sa qualcosa in più sui modi in cui la nostra mente funziona in queste situazioni. Di seguito esploreremo alcuni dei motivi per cui questo accade e discuteremo di strategie per comunicare con empatia e sensibilità, nel tentativo di offrire un vero supporto.
Partiamo dalle cose meno peggiori che si possono dire. Quando una persona comincia a raccontare i suoi problemi, la cosa più importante da fare è semplicemente ascoltare. Cercare di rassicurare fin da subito la persona preoccupata gli farà avere la percezione che non capiamo il suo disagio e il risultato sarà solo peggiorare il suo stato d’animo.
Qualcosa di ancora peggiore è cercare di distrarre la persona dai pensieri negativi. La nostra mente non riesce a distogliere l’attenzione così facilmente dalle preoccupazioni e forzare una persona a pensare ad altro potrebbe anche provocare la sua irritazione.
Nessuno vuole sentirsi giudicato, specialmente da un amico che si presta a dare conforto. Dire cose come “i tuoi sentimenti sono sbagliati” o “dovresti provare sentimenti diversi” può sembrare non solo offensivo, ma anche profondamente ingiusto. La cosa più importante, dal punto di vista dell’aiuto, è che criticare è semplicemente inutile, non porterà nessun frutto.
Le persone che si sentono criticate tendono ad alzare una barriera con l’esterno e rifiutare qualsiasi tipo di confronto. È molto più utile mostrare empatia e continuare a fare domande per capire la causa di quel malessere, piuttosto che etichettarlo come sbagliato o inaccettabile. Ricordiamoci sempre che i sentimenti degli altri sono legittimi semplicemente perché esistono, e che non ci spetta giudicarli.
Dire alle persone come comportarsi, specialmente se gli dici di rilassarsi o calmarsi, non è una tecnica di conforto efficace. È vero che a volte sembra impossibile non dire alle persone di rilassarsi o calmarsi, soprattuto quando ci sembra che quelle preoccupazioni siano così infondate o che non meritino tutta quella preoccupazione.
Tuttavia, chiunque sia stato preoccupato una volta in vita sua sa quanto è frustrante sentirsi dire “calmati“. Non ha mai funzionato e non funzionerà mai perché questo comportamento è l’opposto del conforto. Se potessero rilassarsi, si rilasserebbero. Se potessero calmarsi, si calmerebbero. Sentirsi dire cose banali come queste dà l’impressione di essere trattati come si farebbe con i bambini.
Allo stesso modo, un’altra cosa da non fare con chi sta male è dirgli come dovrebbe sentirsi. Frasi come “Dovresti essere arrabbiato con lui”, “Non so perché lo ami. Dovresti lasciarlo” o “Dovresti sentirti fortunato” sono tra le cose peggiori che si possano dire per aiutare qualcuno. Di fatto, non sono aiuti, ma semplici ordini senza alcun fondamento agli occhi della persona che sta male. Quando le persone si sentono in un certo modo, non vogliono sentirsi dire di provare un altro sentimento. Se potessero semplicemente spegnere alcuni sentimenti e accenderne altri, lo farebbero. Quindi, dirgli come sentirsi non è utile.
Minimizzare o ridicolizzare i sentimenti di qualcuno può creare un profondo senso di disconnessione. Dire cose come “Oh, non è un grosso problema” o insultare la fonte dei sentimenti dell’altra persona, come un ex partner, può rendere la situazione ancor più dolorosa. È importante riconoscere che quello che un amico sta sentendo è reale e significativo per lui o lei, e non dobbiamo fare nulla che possa sembrare un tentativo di minimizzare o denigrare quei sentimenti.
È anche molto importante evitare commenti che possano far sentire l’altra persona incompetente o inferiore. Commenti come “È colpa tua se ti senti così” o “Non puoi continuare a turbarti così” possono sembrare non solo insensibili, ma anche dannosi. Rischiano di distruggere in pochi secondi tutti i progressi fatti nel periodo di recupero e far ripiombare la persona in una spirale di malessere e recriminazioni verso se stessi.
Essere compassionevoli significa riconoscere che ognuno di noi ha diritto ai propri sentimenti e che non dobbiamo mai ridimensionarli o renderli insignificanti.
Se qualcuno sta attraversando un divorzio, un lutto, una perdita di lavoro o qualcosa del genere, raccontare lunghi aneddoti su esperienze simili vissute in prima persona non è veramente d’aiuto. In generale, le persone che si trovano in una situazione di difficoltà, hanno bisogno di essere ascoltate, non di ascoltare.
Se si può raccontare una storia breve che mostra solidarietà con l’altra persona, dimostrando che di aver vissuto qualcosa di simile e che per questo sei pronto a sostenerla, può essere efficace. Ma parlare di se stessi non è solidale. Il supporto emotivo attivo riguarda mettere da parte te stesso ed essere disponibile per un’altra persona.
Infine, c’è l’opposto del denigrare o minimizzare le preoccupazioni altrui: l’eccessiva apprensione nei confronti di chi sta male. Chiamare continuamente qualcuno che sta male, chiedergli continui aggiornamenti, arrivare in casa sua senza invito sono cose che possono avere l’effetto opposto rispetto a quello di aiutare.
Chi sta male ha anche il diritto e il dovere di trovare la forza da solo e mostrare un eccessivo assistenzialismo può avere danni sui processi di ripresa della persona. Oltre a questo, la persona che sta male può anche vivere l’eccessiva intrusione dell’altro come un’invasione dei propri spazi, finendo per stare ancora più male di prima.
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