Il bullismo è pericolosissimo per il benessere psicologico dei figli. Ci sono 3 modi per proteggerli dalle violenze dei bulli.
Anche i genitori possono fare moltissimo per dare ai figli strumenti e risorse per potersi difendere. Oltre naturalmente ad assicurare la loro presenza, vicinanza e supporto in situazioni come queste, più diffuse di quanto si crede.
Il bullismo: un fenomeno inquietante, fatto di violenza fisica e psicologica, che riempie spesso le cronache dei giornali. Ciclicamente i mass media riferiscono infatti episodi di quotidiana prevaricazione che vedono soccombere ragazzi vittime di discriminazione, emarginazione e derisione da parte di loro coetanei.
I contorni di questo fenomeno, secondo gli studi, sono assai più ampi di quanto comunemente si crede. Da uno studio del Censis del 2016 è emerso che addirittura il 52% dei ragazzi tra gli 11 e i 17 anni sarebbe stato vittima di un comportamento violento o irrispettoso.
Numeri ancora più alti li riportava un’indagine di Save The Children nel 2019 su 2 mila studenti delle scuole superiori che mostrava come in Italia più di 3 ragazzi su 5 fossero stati vittime dei bulli che li avevano discriminati, emarginati o derisi. Una percentuale ancora più elevata di ragazzi e ragazze – 9 su 10 – aveva affermato di essere stata diretta testimone di episodi di violenza diretta contro dei loro compagni. Un altro studio del Ministero dell’Istruzione del 2021 riportava invece un 22% di studenti delle scuole superiori che aveva subito una qualche violenza da parte dei bulli.
Bullismo, un fenomeno molto diffuso
È da 50 anni che gli psicologi si occupano del bullismo, che cominciò a essere studiato nel 1973 dal norvegese Then Olwens che però allora lo chiamava “mobbing”. Da allora il fenomeno è apparso in costante aumento.
Non mancano peraltro le vittime illustri del bullismo. Tra queste si contano personaggi come Steven Spielberg, Barack Obama, Rihanna, Miley Cyrus, la principessa Kate Middleton, Madonna, Bill Clinton. In comune hanno il fatto di essere stati bullizzati ai tempi della scuola e di aver subito diversi episodi di violenza.
Anche il noto sociologo Zygmunt Bauman ha ricordato, nel suo libro-intervista Nati liquidi, di essere stato bullizzato «in modo costante, quotidiano» durante gli anni di scuola in Polonia, a Poznanń, la città natale dalla quale fuggì durante la guerra. Il bullismo, dice di aver capito allora Bauman, è essenzialmente una «questione di esclusione».
Col loro comportamento aggressivo e antisociale è come se i bulli dicessero alla loro vittima: «Non sei come noi, non sei dei nostri, non hai diritto di partecipare ai nostri giochi, non giochiamo con te, se ti ostini a voler prendere parte alla nostra vita non stupirti se ti buschi botte, calci, offese, umiliazioni, mortificazioni».
Perché i bulli se la prendono coi più deboli
I bulli, spiega Bauman, cercano di costruire un “noi” designando un nemico indicato come “inferiore” a loro. Perciò alimentano una piccola comunità – una gang – fondata sulla violenza, la sopraffazione, la ricerca di un capro espiatorio. Per il celebre sociologo di origine polacca le motivazioni con cui i bulli scelgono le loro vittime sono variabili, vanno e vengono nel tempo.
Tutto nasce, secondo Bauman, da un «disagio esistenziale» di fondo che «importunamente esige di essere alleviato, sfogando la pressione accumulata e prevenendone un ulteriore accumulo. Il bisogno di bullismo, e soprattutto di suoi oggetti e moventi, esiste da sempre e non finirà mai».
I luoghi preferiti dai bulli per vessare le loro vittime sono i luoghi di aggregazione, ma anche il tragitto da scuola a casa e perfino le aule e i corridoi degli istituti scolastici. Al di là delle cause e delle motivazioni del bullismo, resta il fatto che parliamo di un fenomeno estremamente pericoloso per la salute psicofisica dei giovani e dei giovanissimi che vengono coinvolti.
È il benessere dei nostri figli a essere minacciato. Il bullismo non va sottovalutato. Perciò diventa importante riflettere per cercare di capire se è possibile prevenire un fenomeno come questo.
3 consigli antibulli per proteggere i nostri figli
La tendenza a diventare vittima dei bulli può anche dipendere dalle caratteristiche del bambino, ma anche da come i genitori intervengono nell’educazione del figlio. Secondo gli psicologi dell’infanzia i genitori possono fare molto per proteggere i figli dal bullismo.
E come? Ad esempio facendo maturare in loro delle risorse protettive che consentiranno al figlio di affrontare attivamente le situazioni difficili, anziché limitarsi a subirle.
In particolare, secondo la psicologa dell’infanzia Serena Costa, ci sono 3 consigli importantissimi per proteggere i figli dai bulli. Ecco quali sono.
1. Non sostituirsi al figlio
A un genitore viene naturale cercare di proteggere i propri figli. Debolezza, fragilità, vulnerabilità, mancanza di autonomia e indipendenza del resto sono le caratteristiche dell’infanzia.
Da sempre mamme e papà proteggono dunque i loro figli, che ancora non sono in grado di badare a sé. Ma al tempo stesso devono anche aiutarli gradualmente a crescere, supportandoli lungo il percorso che li porta a formarsi una personalità capace di reggere l’”urto” col mondo reale, esattamente come li hanno accompagnati finché non erano in grado di muoversi con le loro gambe.
Per questo un errore da non fare è quello di “sostituirsi” ai figli nei momenti in cui questi devono affrontare qualche difficoltà. E questo vale per ogni circostanza della vita quotidiana in cui il bambino è chiamato a risolvere qualche problema: dai compiti a casa fino ai bisticci coi fratellini, passando per le scarpe da allacciare alle domande di qualche adulto.
Sono tutte piccole “crisi” dalle quali è bene che il bimbo risponda con le proprie forze, in modo da fortificare e consolidare la propria personalità. Viceversa, se il genitore tende a sostituirsi a lui per sgravarlo da ogni sforzo, non fa confermare al figlio la fragilità che vede in lui.
Supportare, non sostituire il figlio
Sostituendosi al figlio è come se gli si lanciasse un messaggio implicito: “Non sei capace di farcela da solo, bisogna che qualcuno intervenga al posto tuo per risolvere i problemi”. L’intenzione è lodevole – proteggere il figlio dai pericoli – ma il risultato è pessimo: il genitore che si sostituisce al figlio non lo aiuta a crescere sicuro e capace di affrontare da solo gli “attacchi” potenziali da parte dei compagni. Questo, attenzione, non significa ignorare quanto accade e lasciarlo da solo a fronteggiare le difficoltà. Il figlio però va supportato, non sostituito.
Oggi va molto di moda quella che qualcuno ha chiamato una sorta di «pedagogia della sterilizzazione». Si cerca insomma di evitare ogni rischio, ogni pericolo anche minimo al bambino, per il quale si ricerca una totale sicurezza. Così facendo però si rischia di trascurare il fatto che la vita non è una passeggiata. La vita è fatta anche di difficoltà e di lotte, di sforzo e di impegno. Per vivere bisogna sforzarsi. Per questo per evitare ai figli di diventare vittime dei bulli occorre dare anche loro risorse e strumenti per difendersi efficacemente nell’eventualità di un “attacco”.
2. Accrescere l’autostima del figlio
Il genitore può – e deve – senz’altro aiutare il figlio a trovare delle soluzioni per uscire dalle crisi che deve affrontare. Trovare soluzioni per le proprie difficoltà ha ricadute benefiche sulla sua autoefficacia, vale a dire sulla percezione del figlio di essere all’altezza delle situazioni che deve fronteggiare.
Ma per non cadere nel vortice dei bulli è fondamentale anche avere una buona autostima. In altre parole occorre avere una percezione positiva e realistica di sé. Questo significa essenzialmente avere una chiara visione di quali sono i propri pregi e i propri difetti, quali sono i propri diritti ma anche i propri doveri. Insomma, il figlio deve maturare la percezione chiara della propria dignità di persona meritevole di amore e rispetto, ma anche che la stessa dignità e lo stesso rispetto vanno riconosciuti pure agli altri compagni.
Questa duplice sensazione, che coinvolge al tempo stesso sé e gli altri, permette al bambino di reagire davanti alle ingiustizie, che sia lui ad averle subite oppure altri bambini. Soprattutto il figlio viene aiutato così a farsi una “scorza dura”: uno scudo protettivo che gli permetterà di capire che quello che gli viene detto – o che vede fare – da altri bambini non è la verità su di lui.
In questo modo la sua immagine di sé verrà protetta nel momento in cui sarà “sotto attacco” da parte dei bulli. Grazie alla “scorza” le loro azioni e i loro commenti violenti non andranno a intaccarlo interiormente, preservando la sua autostima. Insomma, lo scudo serve ad assorbire senza farsi travolgere la negatività e l’aggressività dei bulli. Un po’ come sanno fare i pugili che si rivelano ottimi incassatori. Danno prova di eccezionale resistenza riuscendo a cavarsela anche nelle situazioni più difficili, uscendo sempre dall’angolo.
3. Prendere sul serio le emozioni del figlio
Come detto prima, il figlio non deve vedersi sostituire dai genitori, ma deve sapere di poter contare sul loro supporto incondizionato davanti all’aggressività dei bulli. In altre parole, deve potersi fidare di loro nel momento in cui avrà bisogno di chiedere aiuto.
Quando la situazione degenera in atti di bullismo veri e propri, i bambini si trovano nella condizione di non poter reagire da soli. In questa situazione la presenza e l’intervento adeguato di una persona adulta si rivelano di fondamentale importanza.
Però per potersi rivolgere a un adulto i bambini devono avere fiducia in loro, devono sentire di potersi fidare degli adulti. E questa fiducia si costruisce se prima di tutto sentono che i genitori si interessano alla loro “casa emotiva”, al mondo delle loro emozioni, che non viene minimizzato o ignorato, ma preso molto sul serio e valorizzato dagli adulti.
In altri termini, bisogna “connettersi emotivamente” coi figli. Il bambino così percepirà la vicinanza e l’interesse dei genitori per il suo benessere. Come fare? Sempre la psicologa dell’infanzia Serena Costa consiglia innanzitutto di osservare e ascoltare tanto i figli, andando anche al di là dei comportamenti che non si comprendono, chiedendosi quale sia l’emozione che li ha generati.
L’importanza di “connettersi” emotivamente col bambino
Si tratta di fare un esercizio di empatia per provare a sentire l’emozione che può aver provato il bambino, mettendosi come nei suoi panni, senza però dimenticare la propria posizione di genitore. Il genitore deve mantenere cioè un certo distacco tra la propria emotività e quella del figlio. Senza farsi travolgere o confondere i piani, che vanno distinti.
Questo esercizio di empatia, spiega la psicologia, serve al genitore per de-centrare la sua attenzione spostando il focus sul figlio, interrogandosi prima di tutto su cosa prova il bambino, su cosa ha scatenato quel comportamento.
Non è detto che sempre ci si riesca. Ma questo sforzo manifesta già il desiderio del genitore di essere vicino al figlio e di occuparsi del suo benessere emotivo. I segnali da osservare sono anche come il bambino esprime le sue emozioni. Se è libero di esprimerle o se invece è bloccato o tende a negarle, le reprime o ha un giudizio negativo su di sé. In questo modo sarà più facile capire se il bambino si sente ascoltato, compreso e supportato dai genitori.
In arrivo una legge contro il bullismo
Peraltro tra non molto dovrebbe arrivare anche una legge antibullismo. Per quanto possa sembrare strano, il cyberbullismo è reato ma non il bullismo. Una lacuna – già rilevata da diverse sentenze della Cassazione – che presto dovrebbe essere colmata da un progetto di legge licenziato dalla commissione Giustizia di Montecitorio, in attesa di essere approvato da Camera e Senato.
Le pene previste vanno da 1 anno a 6 anni e 6 mesi per i bulli maggiorenni. Mentre per i minori si potrà arrivare all’affidamento ai servizi sociali o a una comunità in caso di fallimento del percorso educativo. Il testo varato dalla commissione Giustizia prevede anche la confisca dei dispositivi informatici usati per bullizzare le vittime. Rischiano anche gli adulti che non avranno vigilato sui minori violenti.
Con la nuova legge sia vittime che aggressori saranno supportati psicologicamente. Infatti secondo uno studio del 2013 condotto dall’Association for Psychological Science i danni psicologici del bullismo si ripercuotono, oltre che sulle vittime, anche sui bulli stessi.
Dalla ricerca è emerso che anche i prevaricatori, come i ragazzini che hanno bullizzato, hanno più probabilità di soffrire una volta raggiunta l’età adulta. Anche loro avranno più probabilità di fallire a scuola e anche di perdere il lavoro. I bulli avrebbero anche una maggiore propensione a diventare tossicodipendenti e criminali, a differenza dei giovani adulti che non sono stati mai coinvolti in fenomeni di bullismo, sia nella parte della vittima che in quella del carnefice.