Sono diversi i segnali a cui prestare attenzione per riconoscere fin da subito un partner potenzialmente violento.
Spesso però una comunicazione sbagliata dei media e le dinamiche psicologiche che si instaurano in un rapporto di coppia malato rendono le vittime delle violenze meno consapevoli degli abusi subiti.
Uomini violenti, imparare a riconoscerli fin da subito, dagli esordi della relazione, è realmente una questione di vita o di morte. Come mostra l’omicidio di Giulia Tramontano, la 29enne in attesa del primo figlio dal compagno, un barman di classe, reo confesso del delitto.
Un’uccisione brutale, avvenuta al settimo di gravidanza della donna, che ha sconvolto l’opinione pubblica spingendo a chiedersi se ci siano segnali, comportamenti, caratteristiche in grado di identificare un uomo potenzialmente violento.
Se riconoscere un comportamento aggressivo è relativamente facile per chi è estraneo alle dinamiche di coppia violente, la cosa è meno scontata di quanto sembri per la donna coinvolta in una relazione di questo genere.
Tanto più che, avvertono psicologi e educatori, la violenza fisica è preceduta da una violenza psicologica che inizia molto prima e non è meno dannosa di schiaffi e maltrattamenti. Perciò non è così facile riconoscere subito i segnali di pericolo che dovrebbero allarmare una donna. Infatti il partner talvolta si dimostra aggressivo dopo anni dall’inizio della relazione, anche quando la storia sembrava andare benissimo e lui, in linea di massima, si era sempre comportato in maniera impeccabile.
Ma è proprio in quella “linea di massima” che bisogna scavare a fondo. Anche elementi di contorno, i classici dettagli, possono essere rivelatori (il diavolo, si dice spesso, si nasconde proprio nei dettagli). Le donne vittime di violenza raccontano spesso di uno schiaffo volato una volta durante un litigio, di una certa tendenza all’irascibilità e al sospetto, all’intolleranza.
I primi campanelli d’allarme sono proprio questi: la prepotenza del partner, la propensione ad alzare la voce, l’ossessione del controllo. Tutte spie di una mancanza di rispetto che spesso le donne vittime di violenza non hanno il coraggio e la forza di contrastare, trovandola spesso normale da parte del loro uomo. Ma normale non lo è per nulla.
Non aiuta in questo senso nemmeno la copertura del tema della violenza da parte dei media, che non semplificano certo il compito a chi cerca di captare i segnali di violenza ancora latenti nella coppia. Da una parte infatti si insiste troppo sulla spettacolarizzazione del fatto di violenza in sé, mentre dall’altra emerge uno scarso rispetto per la donna, rappresentata come una vittima completamente inerme.
Il rischio è che davanti a immagini troppo forti e lontane dalla loro realtà concreta – fa osservare Laura Adolfi di CHIAMA chi AMA di Bologna, sportello informativo per le donne vittime di violenza – le donne facciano fatica a ritrovarsi. Non è sempre facile, per le donne che vivono realmente un rapporto di coppia violento, identificarsi ad esempio nei volti insanguinati delle campagne antiviolenza mandate in onda in tv.
Campagne dai toni così forti, paradossalmente, suscitano una reazione meravigliata alla quale segue lo scetticismo («Possibile che possa succedere anche a me? No, il mio uomo non è così violento!»). Ossia una reazione difensiva davanti a un messaggio troppo radicale.
Il paradosso, spiega Adolfi al social magazine The Wom, è che vedere in televisione il rischio del potenziale fatto estremo (l’omicidio) non aiuta a maturare la consapevolezza che potrebbe davvero accadere anche a te. Possibile? Sì, spiega la collega Giovanna Casciola: «Chi viene ogni giorno picchiata non ha voglia di vedersi rappresentata in modo così vittimistico: vuole dimenticare e non vuole sentirsi ri-vittimizzata; ha bisogno di sensibilità e di una voce che con delicatezza le ricordi che una salvezza è possibile».
Meno che meno si riconoscono in una comunicazione come questa gli uomini “leggermente” violenti, quelli che si fermano “solo” alla violenza verbale e agli insulti e che anzi magari si sentono pure “assolti” perché non hanno (ancora) varcato la soglia che separa dalla violenza fisica.
Un altro luogo comune che non aiuta a combattere la violenza sulle donne è la convinzione che l’uomo violento abbia necessariamente l’aria del criminale. Per nulla: può anzi ammantarsi di perbenismo, avere un ottimo lavoro, vestirsi in maniera elegante e piacere alle mamme. Insomma, il rassicurante mito della «brava persona» è ingannevole come non mai. Sotto le spoglie di quello che gli americani chiamano un «nice guy» può tranquillamente nascondersi un animo violento.
Non è facile rendersi conto di vivere accanto a un uomo violento. Possono entrare in gioco infatti meccanismi psicologici come la vergogna, il senso di colpa e di autopunizione che portano verso la negazione dei comportamenti violenti. Spingendo di conseguenza a minimizzarli o a non vederli proprio.
Tra i primi segnali a cui prestare attenzione c’è una certa difficoltà del partner nella gestione delle emozioni. Alcuni uomini si tengono tutto dentro senza condividere con la compagna le loro difficoltà davanti alle frustrazioni della vita. Col rischio di esplodere improvvisamente in maniera del tutto inaspettata. C’è chi magari si trincera dietro uno snervante muro di silenzio perché non ama che la fidanzata traffichi troppo con lo smartphone.
Questo non vuol dire che ogni irrigidimento finirà per tradursi necessariamente in un episodio di violenza. Ma quando la chiusura verso l’altro finisce per essere la sola forma di comunicazione si può legittimamente sospettare che il partner possa essere un paranoico che si alimenta di sospetti e diffidenze a ciclo continuo.
Viceversa, l’apertura al dialogo e all’ascolto – senza per questo rinunciare a discutere dei problemi di coppia – delimita una zona di sicurezza. Quando c’è la capacità di comunicare in maniera razionale e rispettosa le discussioni interne alla coppia ne rafforzano l’unità. Le discussioni non vanno mai evitate. Ma devono avvenire in una cornice ben precisa costruita, appunto, sui pilastri del dialogo, dell’ascolto del punto di vista dell’altro, del rispetto e della stima.
Un altro segnale preoccupante può essere l’intolleranza del partner a ogni frustrazione, anche le più piccola, incluse quelle che non riguardano la vita di coppia. Per esempio un campanello d’allarme dovrebbe scattare quando lui, poniamo, si innervosisce in maniera esagerata con la cassiera del supermercato per la sua presunta “lentezza” (quando invece la malcapitata sta solo facendo meglio che può il suo lavoro). O ancora: se insulta un’anziana che gli fa “perdere tempo” perché osa attraversare la strada a una velocità inferiore, per forza di cose, allo sprint di Usain Bolt.
Questi piccoli incidenti vanno considerati come le crepe che annunciano un terremoto futuro di grande portata. Sono tutti micro segnali, indicatori che dovrebbero mettere sul chi vive l’interessata: perché quell’aggressività e quella violenza immotivate prima o poi rischiano di colpire anche lei.
Si fa presto infatti a passare dalla colpevolizzazione della “malasorte” a quella della compagna. L’intolleranza esagerata per le piccole frustrazioni quotidiane è una sorta di miccia pronta a innescarsi e a esplodere.
Anche quando nella vita di coppia si fanno largo bugie, manipolazioni e distorsioni sistematiche della realtà entriamo in una zona ad alto rischio. Sono tutti comportamenti tipici del “gaslighting”, una forma di subdola manipolazione psicologica dove si cerca di ingannare la propria vittima con false informazioni allo scopo di farla dubitare di sé, delle sue memorie e delle sue percezioni.
Come avviene appunto nell’opera teatrale a cui questa pratica deve il nome: Gaslight, del 1938, dove un marito cerca di far impazzire la moglie affievolendo le luci delle lampade a gas, cercando di convincerla che è lei a inventarsi le cose o a ricordare male. Col risultato che la poveretta comincia a perdere gradualmente l’equilibrio emotivo.
Attenzione dunque al partner che umilia, critica eccessivamente, sminuisce, offende con parolacce. Idem con l’uomo che vuole avere sempre ragione, non dà possibilità di parlare, non si scusa mai né ammette un qualunque torto. Anche chi gioca con la mente, confondendo con argomentazioni troppo sottili e contorte, è da monitorare con attenzione: in questo modo mira infatti a farsi dare sempre ragione dal partner.
Se la violenza psicologica si è già addentrata nella vita di coppia, il consiglio degli psicologi è quello di prestare ascolto alle proprie sensazioni e a quella sottile voce interiore che invita a scappare via prima che scoppi la violenza.
La migliore soluzione, in casi come questi, è la fuga. Anche se c’è timore della solitudine e della mancanza di alternativa (i “freni” che spesso impediscono di scappare o di chiedere aiuto). Nel nostro Paese, grazie al cielo, non mancano associazioni di aiuto e reti di solidarietà femminile. Ma un rapporto di coppia segnato dalla violenza e dalla mancanza di rispetto non è amore. L’amore vero non è certo quello che allunga la mano sull’altro per umiliarlo e ferirlo.
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