Lo avresti mai detto che non sono i soldi e l’amore a renderci davvero felici? Ecco la risposta a uno dei quesiti più importanti di sempre.
Lo sappiamo, è un tema abbastanza impegnativo. Indaghiamo la felicità nel momento esatto in cui sappiamo autodeterminarci come personalità individuali, capaci di fare le loro scelte nella vita. E da quel momento in poi andiamo alla ricerca della felicità, un sentimento così sfuggente, da sembrare a volte davvero irraggiungibile.
Quante volte, infatti, ci siamo sentiti insoddisfatti nella nostra vita e infelici per poi renderci conto, molto più in là, che in realtà eravamo felici e non lo sapevamo? In quel caso, però, subentrano anche i rimpianti per una vita lontana dalle proprie aspettative che ha incancrenito il nostro umore, prigioniero del tempo che scorre e che scade. Ma cos’è allora la felicità?
Alla scoperta della felicità: da Epicuro a Totò, come si è evoluto il pensiero?
Già nell’antica Grecia alcuni filosofi hanno provato a rispondere a questa domanda. Per Epicuro, la felicità si ottiene stando bene con noi stessi. L’imperturbabilità e l’assenza di dolore sono fondamentali per accedere ai piaceri naturali e necessari, come bere e mangiare il giusto. Grazie a questo “semplice” stato di grazia terreno, possiamo essere liberi dalla paura, soprattutto quella della morte, e quindi felici.
Vivere con poco e goderne, consente all’uomo di ridimensionare le proprie paure e preoccupazioni e di rallentare, altresì, la spasmodica e affannosa ambizione che a volte ci logora dentro. Rimanendo sempre in Grecia, Aristotele si contrapponeva alla visione epicurea. Per il filosofo metafisico per eccellenza, infatti, la felicità ha a che fare con la scelta.
In altre parole, si deve sempre preferire la virtù al vizio che ci corrompe e ci allontana da una sorta di stato di beatitudine in vita, l’unico mezzo che ci fortifica contro il male. E per raggiungere una simile condizione, dobbiamo seguire la sapienza, ovvero la più alta delle virtù. Insomma, ci si deve impegnare ogni giorno per perseguire uno stile di vita sano, votato proprio al potenziamento delle migliori qualità che ogni essere umano possiede. “Esercitare liberamente il proprio ingegno. Ecco cos’è la vera felicità“.
Accontentarsi, dimenticare o innalzarsi: cosa rende felice l’uomo?
Facendo un importante salto temporale, Giacomo Leopardi ha fornito un’illuminante spiegazione della felicità. Per il poeta, infatti, la felicità esiste solo nel passato e nel futuro, ecco perché sembra così sfuggente: è impossibile da attuare nel momento presente. Sarà solo nel ricordo di quello che è stato e nella fibrillazione di quello che sarà che saremo felici. La cessazione di un dolore preesistente o l’attesa di un piacere futuro sono i soli strumenti che ci garantiscono una tregua momentanea dalla vita, fatta invece di dispiacere.
Per Friedrich Nietzsche, invece, la felicità consiste nell’essere vivo. Accontentarsi non deve essere mai e poi mai la parola d’ordine. Si deve piuttosto superare ogni limite e realizzarsi in quanto uomo attraverso le avversità che la vita ci pone davanti. Amputare le proprie debolezze e ricercare un’esistenza che non sia monotona ci rende vivi, a differenza del benessere che spesso ci appiattisce. Stare bene, non soffrire ed essere ricchi è più una semplice fortuna che non la vera felicità.
Ecco perché anche se si possiede ricchezza e libertà ci si sente comunque incompleti. Insomma, la frase fatta secondo cui “i soldi non fanno la felicità” non è in sé e per sé sbagliata. Anche se è pur vero che senza soldi e un’adeguata indipendenza economica è impossibile realizzarsi completamente come individuo. Avere la disponibilità economica, quindi, ci consente sì di vivere con meno preoccupazioni, ma non è detto che sia garanzia di felicità, una spinta, invece, più spirituale per il filosofo tedesco.
Per Totò, invece, il principe della risata, la felicità ha meno slanci mistici, come ha spiegato lui stesso intervistato da Oriana Fallaci nel 1963. “Vi sono momenti minuscoli di felicità, e sono quelli durante i quali si dimenticano le cose brutte. La felicità, signorina mia, è fatta di attimi di dimenticanza“. È l’assenza di preoccupazioni momentanea a darci un po’ di quiete e quindi di felicità.
Essere felici è possibile? Lo studio di Harvard fa il punto della situazione
Nel 1938, l’Harvard University iniziò uno degli studi più longevi sulla felicità osservando 724 uomini durante tutto il corso della loro vita. L’Harvard study of adult development si è posto come obiettivo stabilire cosa rendesse realmente felici i partecipanti all’esperimento che provenivano anche da differenti background economici, sociali e culturali. Giusto per rendere l’idea, hanno preso parte allo studio sia gli studenti universitari di Harvard che i residenti dei quartieri più poveri di Boston.
E così, man mano che crescevano e da giovani adulti diventavano uomini, i ricercatori hanno raccolto informazioni sulla loro salute, facendo affidamento anche sulle famiglie dei partecipanti rispetto anche alle emozioni che provavano o allo stato d’animo predominante, arrivando a una conclusione inaspettata.
Più che i soldi o l’amore travolgente e romantico da romanzo di formazione, stare insieme e coltivare i propri affetti rende davvero felici le persone . Ovviamente, molto dipendeva dai tratti specifici e personali dei 724 partecipanti. Eppure, tutti hanno dimostrato un incredibile legame tra felicità e affetti personali, a dimostrazione del fatto che nessuno si salva da solo e che è l’amore sincero, profondo e disinteressato per l’altro a riempire un’esistenza che allora sarebbe vuota, insensata e incompleta.
Ma non finisce qui. Un altro aspetto davvero interessante emerso dallo studio poneva l’accento proprio sull’invecchiamento. Maturando, e forse diventando anche più saggi, si dava meno importanza ai fallimenti del passato. Insomma, diventavano un’inezia rispetto alle cose più importanti della vita, in questo caso le relazioni sociali e personali con altri esseri umani che possano accompagnarci il più possibile in un cammino tortuoso e non sempre facile.
Anche la genetica ci mette lo zampino nella ricerca della felicità?
Tuttavia, anche la genetica può fare la differenza in alcune circostanze. Nel 2012, infatti, una ricerca condotta su una coppia di gemelli e pubblicata sul ‘Journal of neuroscience, psychology and economics’ aveva dimostrato come chi possedesse Alleli lunghi più del gene 5-HTTLPR, il cui compito è trasportare nel nostro corpo la serotonina, ovvero l’ormone della felicità, era più felice.
Ma non finisce. Nel 2005, invece, uno studio (Lyubomirsky, Sheldon, Schkade) sempre su una coppia di gemelli aveva già chiarito come solo il 50% della felicità dipendesse dai geni. L’altro 50% era suddividere tra intenzioni personali (40%) ed eventi esterni (10%). In ogni caso, però, abbiamo visto come sia davvero difficile stabilire cosa sia la felicità e a volte ci vuole una vita intera per essere felici. Ma se hai qualcuno al tuo fianco che ti vuole bene radicalmente ed è disposto a condividere la propria esistenza con te, stai sperimentando sicuramente dei piccoli momenti di felicità.