Li chiamano “dumb phone”, letteralmente “telefoni stupidi”. Si stanno diffondendo soprattutto tra la Generazione Z e i Millennials.
Un paradosso, o meglio un ritorno al passato in un mondo a misura di smartphone sempre più sofisticati e connessi, ormai diventati vere e proprie protesi esistenziali dalle quale risulta impossibile separarsi.
Cos’è un dumbphone? Il Dizionario di Cambridge lo definisce «un telefono mobile “very basic” che non può connettersi e internet». È un neologismo nato dall’unione di dumb (stupido, sciocco, ottuso, ma anche ammutolito, muto, senza parole) e phone.
Questi telefonini, conosciuti anche come feature phone o flip phone, sono dispositivi con funzionalità estremamente limitate se confrontate a quelle di un iPhone. Praticamente permettono soltanto di fare o ricevere telefonate e SMS. Se va bene con un dumbphone si può ascoltare la radio e scattare foto piuttosto semplici. Di sicuro non danno modo di connettersi a internet o di usare le app.
Insomma, telefonini essenziali che più essenziali non si può: il livello base della telefonia mobile, quanto a coinvolgimento la differenza con gli smartphone è abissale. I dumbphone tagliano alla radice tutte le tentazioni delle piattaforme dei social media che mediamente occupano 7 ore al giorno (quasi come una giornata di lavoro) a oltre il 50% dei teenager. È il dato di una ricerca condotta su Real Research (app di sondaggi online) su una platea di oltre 40 mila partecipanti all’indagine.
Per fare un esempio, l’indistruttibile e essenziale Nokia 3310, mitico protagonista di un’infinità di meme che ne celebrano la resistenza a prova di bomba, rientrerebbe appieno nella categoria dei “dumb phone”, molto simili ai primi telefonini diffusisi verso la fine degli anni ’90.
Schermo di dimensioni ridotte, tastiera fisica e non digitale con pulsanti di grandi dimensioni e ben distanziati: sono le caratteristiche esteriori di questi dispositivi mobili che stanno conoscendo una seconda giovinezza.
Negli Usa le vendite di dumbphone sono aumentate nel 2022 e ogni mese gli utenti ne acquistano decine di migliaia di pezzi. «Constatiamo una crescita del 5% per il mercato dei flip phone», dichiara a Euronews Next Lars Silberbauer, Chief Marketing Officer di Nokia Phones e HMD Global (il produttore di Nokia). Nell’ultimo anno la quota di mercato dei telefonini flip è raddoppiata, aggiunge Silberbauer. E anche in Europa si assiste a una ripresa di questo mercato.
Quali sono le cause di questo ritorno al passato? Una fiammata di nostalgia canaglia? O un’ondata di neoluddismo, di avversione per la tecnologia? C’è probabilmente anche un po’ di tutto questo. Ad esempio tra i Millennials (i nati tra il 1980 e il 1996), che da un po’ di tempo non sono più la generazione più giovane.
Come tutti, anche i Millennials devono fare i conti col tempo che inesorabilmente passa. E invecchiando cominciano a lasciarsi andare a operazioni nostalgia idealizzando un passato dove la vita era più semplice e spensierata e le cose meno complicate. «La gente vuole tornare ai primi anni 2000 o agli anni ’90, penso che sia un ricordo di un’epoca più felice, un’epoca in cui le cose erano un po’ più semplici», sottolinea Silberbauer.
Al tempo stesso la Generazione Z (nati tra il 1997 e il 2010), i nativi digitali che hanno preso il posto dei Millennial, appaiono affascinati da un passato che non hanno vissuto. Così hanno cominciato a riesumare i videogiochi retrò, con la grafica pixellata e dai tratti un po’ goffi, che ha conquistato una schiera di appassionati. E coi videogame del passato sono tornati in auge anche i “telefonini di base” con un limitatissimo range di funzioni e capacità.
Ma non c’è solo la nostalgia a spingere questa tendenza a rispolverare dispositivi mobili più semplici e spogli. A quanto pare c’è anche il desiderio di disintossicarsi dalla dipendenza verso la tecnologia. Il ritorno alla semplicità si accompagna alla voglia di evitare le distrazioni provocate dal diluvio di notifiche incessanti, 24h, tra mail in arrivo a ogni ora del giorno e della notte e l’infinità di ore passate su social media (sempre più rissosi peraltro).
In sostanza, si tratta della reazione di una generazione che non ci sta a trasformarsi in Hikikomori da smartphone. C’è tanta voglia insomma di sottrarsi al meccanismo infernale delle notifiche infinite, che si accompagna al desiderio di una comunicazione più semplice, focalizzata sul presente e meno sconnessa dal proprio ambiente circostante, senza la pulsione che impone di controllare lo smartphone ogni tre per due.
Che il rischio di una ‘hikikomorizzazione‘ sia tutt’altro che un’ipotesi peregrina lo mostrano la diffusione di diverse pratiche malsane legate all’uso smodato dei dispositivi mobili. Come ad esempio il phubbing (altro neologismo nato dall’unione di phone e snubbing, cioè «snobbare»). Il phubbing indica quella tendenza a ignorare completamente la persona che abbiamo di fronte per armeggiare col nostro amato smartphone.
E che dire dell’inquietante fenomeno degli smombies? Anche questa parola nasce dalla fusione di due termini: smartphone e zombie. Gli smombies sono gli zombie col telefonino, i morti viventi del nuovo millennio che camminano per strada completamente assorti nella contemplazione dello smartphone.
E così totalmente assorbiti, tra schermo da scrollare, notifiche di WhatsApp da visualizzare, vocali da ascoltare o registrare, video da guardare, rischiano di inciampare, di scontrarsi con altri, fare incidenti. Un fenomeno pericoloso anche per la circolazione stradale, tanto che in alcune città del mondo (a Honolulu ad esempio) questo comportamento viene multato.
In altri posti hanno pensato perfino a corsie appositamente riservate al passaggio degli smombies (è capitato ad Anversa, in Belgio, ma anche nella città cinese di Chongqing) o a installare appositi semafori luminosi per avvisare chi tiene lo sguardo costantemente rivolto verso il basso che è giunto il momento di attraversare la strada. Ma ci sono anche le app salvavita per gli smombies.
Phubbing e smombies sono fenomeni che appaiono strettamente legati alla nomofobia (anche questo un neologismo nato dalla combinazione di no mobile e fobia). Ovvero l’ansia o la paura che coglie quando siamo impossibilitati a usare il cellulare.
Anche se non ufficialmente riconosciuta dalla classificazione diagnostica questo termine (coniato per la prima volta nel 2008 da uno studio del governo britannico) indica il disagio associato all’uso smodato del telefonino. Con sintomi come ansia, nervosismo, irritabilità, sudorazione, battito cardiaco accelerato, problemi a concentrarsi e difficoltà a levare gli occhi dal cellulare.
Oltre alla voglia di emanciparsi dalla dipendenza alienante e nevrotica da questi dispositivi c’è anche da mettere in conto la crescente preoccupazione per la privacy e per la propria sicurezza online.
Non è un mistero per nessuno che gli smartphone siano da tempo entrati nel mirino di un esercito di hacker e truffatori che mettono a serio rischio la sicurezza digitale degli utenti. Da questo punto di vista i dumbphone, offline e senza app installate, riducono drasticamente i rischi.
Un altro vantaggio offerto dai flip phone è la maggiore durata della batteria. Grazie alla gamma ridotta di funzionalità, le batterie di questi telefonini possono durare tranquillamente giorni o anche settimane, a differenza degli smartphone che costringono a ricaricare anche più di una volta al giorno.
Come ricorda sempre Silberbauer, con i dumbphone «è possibile scegliere le funzionalità che si desiderano e avere un telefono con una batteria che dura 31 giorni, in modo da poter ricaricare il dispositivo 12 volte all’anno».
Naturalmente i dumbphone sono anche più economici degli smartphone di fascia alta, fatto che li rende particolarmente appetibili per chi vuole comunicare senza spendere un patrimonio. I telefonini più “leggeri” non sembrano però destinati a rimpiazzare completamente gli smartphone.
Soddisfano le esigenze di un mercato differente. In diversi optano poi per un uso bilanciato e alternato dello smartphone e del dumbphone. Usando magari quest’ultimo come secondo telefono per le situazioni in cui hanno voglia di disconnettersi temporaneamente senza rinunciare del tutto alle funzionalità dello smartphone (connessione a internet, app e funzionalità multimediali avanzate).
Nokia vende i suoi dumbphone con diversi sistemi operativi. Tra i quali KaiOS, che permette di accedere a una «versione leggera di WhatsApp, di cui alcune persone hanno bisogno», spiega Silberbauer. Un’altra novità introdotta da Nokia a gennaio di quest’anno sono i telefoni riparabili. In un paio di minuti, grazie a un piccolo cacciavite possiamo riparare da soli il telefonino cambiando schermo, prese di ricarica e batteria.
Il modello di business di Nokia sembra andare dunque in controtendenza rispetto a quello della cosiddetta “obsolescenza programmata”, che fa cambiare un cellulare ogni singolo anno ai consumatori destinando allo scarto il vecchio modello.
Una pratica – quella dello scarto sistematico dei vecchi prodotti – che magari farà guadagnare le aziende, ma che in compenso fa male all’ambiente. È quanto emerge dai dati della Commissione europea. Solo in Europa ogni anno i telefonini gettati via, invece che essere riparati, producono circa 35 milioni di tonnellate di rifiuti e 261 milioni di tonnellate di emissioni di CO2.
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