La scienza fa passi da gigante anche nello studio delle demenze: ecco cosa si sa dei fattori che possono predire un suo arrivo in tarda età
Si parla di demenza quando il soggetto vive un declino lento ma progressivo della funzione mentale, quindi delle capacità di pensiero, di memoria, di apprendimento e di giudizio. Di fatto i primi sintomi si manifestano proprio in questo modo, con difficoltà a livello di elaborazione del pensiero e di linguaggio; si notano, però, anche cambiamenti di personalità e comportamenti insoliti ed inadatti alla situazione specifica. La demenza, nei paesi industrializzati, colpisce circa l’8% degli ultrasessantacinquenni e, dopo gli ottant’anni, sale oltre l 20%.
Si tratta di una condizione patologica decisamente invalidante non solo per chi la vive in prima persona, ma anche per la sua famiglia: diventa infatti necessario controllare sempre di più il parente che ne soffre, poiché man mano che i sintomi avanzano le sue funzionalità mentali regrediscono e potrebbe venir meno la sua sicurezza. Poiché, secondo alcune proiezioni condivise proprio dal Ministero della Salute, nei prossimi 30 anni i casi di demenza potrebbero triplicarsi, vediamo oggi cosa si sa dei fattori che potrebbero aiutare a prevederla e quindi quali sono quelli su cui si può agire per contrastarla.
La demenza, solitamente, si manifesta a partire dai 65 anni ed in modo molto blando: se i primi sintomi sono controllabili e leggeri, con l’andare avanti del tempo la situazione si fa sempre più complicata. Si tratta di una patologia che non fa parte dell’invecchiamento normale e, quindi, non va considerata come scontata o inevitabile: lavorando sui fattori di rischio si può diminuire anche di molto la probabilità di svilupparla.
Quando si palesano i primi sintomi riferibili alla scarsa capacità di memoria e al disorientamento generale della persona, è bene rivolgersi subito al suo medico di fiducia, il quale saprà analizzare la situazione e consigliare qualche approccio di cura o in ogni caso contenitivo della situazione. Al momento, infatti, non esiste una terapia del tutto risolutiva ma si può solamente monitorare e gestire i sintomi: il processo neurodegenerativo caratteristico della demenza non è regredibile, al momento. L’intervento sul paziente che soffre di demenza, però, avviene attraverso la terapia del linguaggio, la stimolazione cognitiva, la terapia comportamentale ed occupazionale nonché la fisioterapia e alcuni farmaci specifici.
A portare avanti questo importantissimo studio è stata l’Università di Oxford, la quale sulla rivista BML Mental Health ha condiviso i risultati di questa ricerca, concentrata sull’analisi di un metodo utile a calcolare la propria probabilità di ammalarsi di demenza. Il metodo si chiama UKBDRS e si basa su undici fattori, per lo più modificabili, che sembra favoriscono l’insorgenza di demenza in età avanzata. I ricercatori, però, sottolineano che lavorando su questi fattori di rischio si possono evitare addirittura il 40% dei casi: conoscerli è quindi fondamentale per poterci iniziare a lavorare.
Lo studio ha coinvolto due gruppi di persone tra i 50 anni e i 73 anni, con un totale di 220.762 individui con età media sotto i 60 e 2.934 con età media di 57 anni. I ricercatori hanno stilato una lista di 28 fattori, già associati a un più alto rischio di sviluppare la demenza, ed hanno poi scartato quelli meno rilevanti, concentrandosi su quelli invece più influenti. Da 28 si è quindi arrivati ad 11 fattori predittivi per qualsiasi tipo di demenza: sesso maschile, vivere da soli, ipercolesterolemia, ipertensione, svantaggio economico, depressione precedente o attuale, ictus precedente, età, istruzione, diabete e demenza nei genitori.
Un ruolo importante, poi, è quello che i ricercatori hanno attribuito al gene APOE. Si tratta di un gene primariamente coinvolto nella produzione di una proteina che aiuta nel trasporto del colesterolo e di altri grassi: anch’egli è un fattore di rischio per le demenze, csì come l’età più avanzata. Si nota, però, che se su certi fattori non ci si può fare niente, su altri invece si ha un grande margine di intervento come sull’ipercolesterolemia e sul diabete, controllabili con uno stile di vita adeguato e sano.
I ricercatori sostengono che questo approccio predittivo potrebbe essere usato come strumento di screening iniziale: chi viene identificato come un soggetto ad alto rischio potrebbe godere di altri esami più specifici per analizzare nel profondo la situazione. Secondo i ricercatori, inoltre, tale punteggio potrebbe essere reso ancora più accurato mediante l’introduzione nello screening di una risonanza magnetica cerebrale e di test cognitivi specifici. Di fatto, i numeri sono chiari: chi ha tutti questi fattori ha una probabilità tre volte maggiore di una persona della stessa età ma senza alcun fattore di rischio di sviluppare la demenza.
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