La cattiva notizia: esodo senza sosta, gli scienziati continuano a lasciare l’Italia, le ragioni dietro la fuga dei cervelli dal nostro Paese
In Italia si parla tanto di fuga di “cervelli“, ricercatori, studiosi, professionisti e persone di talento che scappano dall’Italia verso l’estero perché nel nostro Paese non sono adeguatamente valorizzati. Di fronte a un sistema ingessato e a scarse possibilità di carriera, nonostante il talento, oltre che a stipendi bassi, molti giovani ma anche meno giovani preferiscono andarsene. Le destinazioni sono i Paesi che sappiano valorizzare il talento.
Di questo problema si discute da anni e i vari governi hanno provato ad introdurre delle misure per favorire il rientro dei talenti in Italia, tra incentivi e tassazione agevolata. Si è trattato, tuttavia, di interventi di corto respiro che non hanno dato l’esito sperato. Anche perché il problema è molto più profondo e strutturale.
La tendenza della fuga dei cervelli è ancora in atto e sembra destinata non solo a continuare ma addirittura a peggiorare, soprattutto per quanto riguarda ricercatori scientifici e scienziati. Ecco tutto quello che bisogna sapere.
Continua la fuga dei ricercatori scientifici e degli scienziati dall’Italia, che non hanno mai smesso di abbandonare il nostro Paese. Se l’università italiana, infatti, è ancora in grado di offrire un’ottima formazione scientifica, è la possibilità di fare carriera ad essere bloccata da un sistema ancora molto rigido e dominato dal nepotismo, oltre che dagli scarsi investimenti.
Così, scienziati italiani di grande talento e sicuro successo che si sono formati in Italia, e sui quali l’Italia ha investito del denaro per farlo studiare, vanno a fare la fortuna degli altri Paesi. Sappiamo tutti, infatti, quanto la ricerca scientifica sia assolutamente fondamentale non solo per lo sviluppo accademico ma anche per la crescita industriale di un Paese.
Insomma, senza ricerca scientifica, fondamentale per il sapere e la cultura, non c’è nemmeno crescita economica. Si resta piccoli tra giganti che vanno avanti. Mentre in Italia la preoccupazione maggiore è tutelare le rendite di posizione piuttosto che lavorare per lo sviluppo futuro del Paese. Da qui, la fuga degli scienziati e di tanti altri cervelli.
Sia chiaro, la mobilità scientifica, il trasferimento degli scienziati all’estero, è un fenomeno positivo. Fare esperienze nelle università e nei centri di ricerca di altri Paesi permette di fare importanti esperienze, di entrare in contatto con altri scienziati, di crescere professionalmente. Il problema dell’Italia è che molti ricercatori che se ne vanno molto difficilmente ritornano in patria. Mentre le università del nostro Paese non attirano ricercatori e studiosi dall’estero, se non in casi eccezionali. Un problema serio che limita gli scambi e le opportunità.
Inoltre, mentre diversi Paesi in forte crescita e con importanti investimenti nella ricerca scientifica cercano di recuperare i loro talenti emigrati all’estero, l’Italia non sembra porsi troppo il problema, tanto da non avere nemmeno una banca dati pubblica degli scienziati espatriati. Le istituzioni italiane hanno mostrato e continuano a mostrare sostanziale disinteresse verso i ricercatori italiani che lavorano all’estero.
Alcune risposte all’esodo degli scienziati italiani verso l’estero ha provato a darle il volume, edito da Il Mulino, “Ricercare altrove. Fuga dei cervelli, circolazione dei talenti, opportunità“, uno studio condotto dalla professoressa Chantal Saint-Blancat, sociologa dell’Università di Padova. Uno studio pubblicato nel 2017 ma le cui conclusioni sono ancora oggi attuali. La professoressa Saint-Blancat ha indagato il mondo degli scienziati, dei ricercatori, dei dottorandi e dei docenti italiani che si sono trasferiti all’estero, esaminando le loro motivazioni.
Nello specifico, la studiosa ha intervistato 2.420 scienziati italiani che vivono e lavorano in Europa, specializzati in fisica, matematica e ingegneria. Le domande hanno riguardato le ragioni che hanno spinto questi ricercatori a lasciare l’Italia, il loro inserimento negli ambienti universitari all’estero, le condizioni di lavoro, l’organizzazione, la loro soddisfazione nella realizzazione professionale e i servizi per il sostegno al lavoro e alla famiglia. Quest’ultimo punto ha riguardato soprattutto le ricercatrici, con i paragoni e le differenze rispetto all’Italia.
Al di là delle questioni strettamente legate a carriera, stipendio, organizzazione e servizi, quello che hanno sottolineato gli scienziati intervistati nello studio è il fatto di non sentirsi adeguatamente considerati in Italia. Tutti gli scienziati hanno affermato che l’Italia non vede in loro una risorsa per lo sviluppo del Paese, anche se potrebbero esserlo. Questo è, forse, l’aspetto di maggiore frustrazione per i ricercatori, oltre agli aspetti pratici e alle opportunità di carriera.
L’università italiana forma ottimi ricercatori ma offre loro poche opportunità di carriera ed è indietro nell’internazionalizzazione della ricerca scientifica. Aspetti questi su cui c’è ancora tanto da lavorare.
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