A volte le persone che dovrebbero esserci più vicine sono le prime che ci feriscono senza pietà. Come fare a capirlo.
Occhio alle relazioni tossiche dalle quali faremmo bene a girare bene al largo. Perché rischiano di farci davvero tanto male.
Ci sono persone a cui tutto sembra rimbalzare addosso, come si dice. Persone capaci di farsi scivolare addosso qualsiasi cosa, come se fossero impermeabili agli urti della vita. Forse è solo apparenza o forse hanno imparato a corazzarsi bene.
Comunque sia, sono ben pochi quelli che possono vantare una simile impermeabilità. In generale noi esseri umani – esseri sociali, fatti per vivere insieme ai nostri simili in un rapporto misto e paradossale fatto al tempo stesso di cooperazione e competizione – siamo tutt’altro che indifferenti alle influenze esterne. Anzi, siamo più simili a spugne emotive.
Psicologi come Daniel Goleman – autore del libro “Intelligenza emotiva” – parlano appunto di «permeabilità». È quel fenomeno per cui, improvvisamente, finiamo per assorbire dagli altri una sorta di carica emotiva. Come spugne appunto. E quanto abbiamo assorbito, a seconda del nostro grado di permeabilità, può stravolgere da cima a fondo il nostro stato d’animo.
Fin da quando siamo bambini siamo al centro di una rete di influenze e condizionamenti che, inevitabilmente, incidono sul nostro modo di percepire le cose della vita. Genitori, insegnanti, amici, mass media, poi i colleghi, gli affetti più intimi, ecc. Tutti ci condizionano, nel bene e nel male, con la loro particolare prospettiva.
Non c’è praticamente momento della nostra vita in cui non siamo in relazione con qualcuno. Gli scambi e le occasioni di rapportarsi con gli altri sono numerosissimi, come le reazioni che possono nascere da questi scambi. Non c’è giorno in cui il nostro umore non possa essere condizionato dagli altri. E non sempre in maniera positiva.
Parole e atteggiamenti non sono solo parole e atteggiamenti. Hanno tutto il peso dei fatti, con ricadute tangibili su di noi. Possono provocarci ferite interiori, a volte profondissime, aprendo in noi spaccature dolorosissime. È anche vero che possono sanare un’intimità ferita, darci gioia. Una parola buona a volte può fare miracoli.
Ma la realtà è che la vita non manca di persone che, con parole e atteggiamenti, possono intossicare i rapporti interpersonali, in particolare se il clima tossico si è instaurato in famiglia o tra amici. Anche nei rapporti più stretti ci sono esempi di manipolazioni, critiche, menzogne, invidie, possessività, ambiguità, falsità, ecc.
Sono ben pochi quelli che possono dirsi immuni al fenomeno della permeabilità. Anche se è utile ricordare che parole e gesti degli altri possono ferirci soltanto se gli permettiamo di farlo.
Comunque sia, è un fatto che non è per nulla raro incontrare chi col suo comportamento subdolo cerca di sminuirci e ridicolizzarci soltanto per il gusto di farci del male, di ferirci, aprendo crepe nella nostra autostima. Magari è proprio chi ci sta accanto.
Ecco perché può essere di vitale importanza riconoscere i tratti caratteriali di queste persone dannose, dalle quali è meglio girare al largo. Scopriamo quali sono gli atteggiamenti in grado di ferirci emotivamente.
Come ha fatto notare lo scrittore britannico G. K. Chesterton, il vero amore non è mai acritico. Ma la critica dell’amore serve a farci evolvere verso il meglio, non a sminuirci. In altre parole, la critica deve costruire, non distruggere. Un conto è essere critici, un altro essere ipercritici.
Chi critica per sminuirci non fa certo una critica costruttiva. La critica distruttiva ci fa sentire giudicati e incompresi, abbatte la nostra autostima. E attenzione anche alle “buone intenzioni” nel campo della critica. Perché a volte il messaggio che arriva, anche se lanciato a fin di bene, può essere devastante se il destinatario capisce di non essere all’altezza o di non essere amato abbastanza né accettato per quello che è.
E ad ogni modo criticare di continuo non serve a nulla se non a interporre una distanza psicologica tra il critico e il criticato. Quest’ultimo infatti, senza sentirsi accettato, supportato e compreso, tenderà ad allontanarsi sempre più dal primo.
Senza calore umano le relazioni si congelano. Non è un caso che nel punto più basso del suo Inferno Dante abbia collocato una immagine potentissima come quella del Cocito: un gigantesco lago ghiacciato, perfetto contraltare del fuoco dell’amore, il solo capace di riscaldare i nostri cuori.
In altri termini, il distacco emotivo è l’equivalente di un muro virtuale, che separa anziché unire. Un muro che può essere innalzato in tanti modi. Magari col silenzio punitivo, senza una chiara motivazione. Il trattamento del silenzio è una delle forme più subdole e crudeli di violenza psicologica.
Interrompere le comunicazioni spinge la persona ignorata di proposito a coltivare una serie infinita di dubbi, di scrupoli che lo portano a “ruminare” cercando delle ragioni plausibili per la propria esclusione. Finendo regolarmente per ricavare una lunga serie di pecche, di “colpe” presunte. Un simile lavorio è potenzialmente devastante per la psiche.
Col silenzio punitivo il messaggio implicito arriva molto chiaramente a destinazione: «Non provo interesse per te». Ma ignorare i conflitti e le tensioni non risolve nulla. Semplicemente vengono celate, nascoste sotto un tappeto. Per questo prendere una distanza emotiva non aiuta a trovare una soluzione ai problemi, ma finisce soltanto per aumentare la distanza interrompendo tutte le linee di comunicazione.
Il disprezzo è un tipo prodotto di quella che qualcuno ha chiamato l’idea-vampiro: un misto di istintualità animalesca e di premeditazione tutta umana che fa molto più male dell’odio o del rifiuto, che sono sentimenti passeggeri e momentanei. Il disprezzo invece manifesta una volontà premeditata, razionale e calcolata di escludere la persona. Senza parlare della totale mancanza di rispetto per i suoi sentimenti e le sue idee.
Come si presenta il disprezzo? Sotto mille forme e sfumature. Può esprimersi sotto forma di insulto becero (ad esempio: «sei un’idiota» o «sei ridicolo/ridicola»). Ma ci sono anche le forme più sottili di disprezzo come il sarcasmo (che non a caso deriva dal greco sarkazein, che indica l’azione di lacerare le carni, strappate via e fatte a brandelli). Il sarcasmo è una forma di ironia aggressiva che, con la scusa della battuta arguta e geniale, anche con pretese da intellettuali, ci colpisce come una pugnalata nell’autostima, in particolare se il sarcasmo si prolunga nel tempo.
Anche il disprezzo scava un fossato tra le persone, distanziandole emotivamente. Peggio ancora se chi ci disprezza è la persona che dovrebbe essere il nostro principale alleato, la prima fonte di sostegno. Che disprezzandoci si rivela invece essere il nostro principale nemico.
Ogni relazione, di qualunque tipo essa sia, vede coinvolte due persone. Ognuna delle due ha bisogni emotivi che la relazione deve in qualche modo nutrire. L’egocentrismo – o egoismo che dir si voglia – distrugge questa bidirezionalità della relazione.
Se uno dei due protagonisti della relazione si abbandona a atteggiamenti egocentrici, la controparte va incontro a un prosciugamento emotivo. Come capita quando si chiede e si riceve senza dare mai nulla in cambio. In questo modo l’altra parte rischia una sorta di «salasso emotivo». Uno svuotamento su cui, a lungo andare, si innesterà una relazione tossica dalla quale sarà indispensabile affrancarsi.
Gli psicologi la chiamano «manipolazione incriminante». Tra gli atteggiamenti che separano invece di unire è uno dei più nocivi. È l’atteggiamento costantemente giudicante tipico di chi cerca di manipolare l’altro con l’arma del senso di colpa, col ricatto morale.
Il trucco, se vogliamo chiamarlo così, è quello di sfruttare il senso del dovere per forzare la persona a fare la volontà del manipolatore, lasciandola pure con la scomoda sensazione di essere una persona cattiva. Attenzione, perché chi agisce in questa maniera non vuole stabilire una relazione di amore con noi, ma di dominio. Cerca di soggiogarci facendo leva sul senso di colpa.
Il manipolatore incriminante potrà atteggiarsi indifferentemente da giudice o da vittima. Nel primo caso per farci sempre notare, in maniera quasi ossessiva, ogni nostro errore. Nel secondo caso per lasciare a noi la parte del carnefice (l’importante è farci sempre passare per la cattiva o il cattivo di turno).
Orecchie ben alzate dunque, perché chi usa queste tattiche finisce per rendere opprimente e angosciante la relazione. Mentre l’amore è forza rigeneratrice e vitale, che ci “passa” letteralmente vita. Dandoci slancio e respiro, non una sensazione di soffocamento.
Chi ama non schiaccia, non opprime. Non ferisce, semmai vuole aiutarci a guarire dalle ferite che tutti ci portiamo dietro. Non vuole farci prigionieri o tenerci sotto scacco psicologico. Vuole crescere e volare insieme a noi, sulle note di una splendida armonia. Come recitano i versi di una bellissima poesia di Rilke, due persone che si amano possono vicendevolmente dirsi che «tutto quello che ci tocca, te e me, insieme ci prende come un arco che da due corde un suono solo rende».
Una persona che ama può accettare che l’altra corda dell’arco suoni male? Può rassegnarsi al fatto che il suono della persona amata risulti falsato e sminuito? Se è disposta ad accettarlo semplicemente vuole suonare in splendida solitudine, senza di noi, che al massimo ai suoi occhi potremo essere un comprimario o una comprimaria. Ma è ancora amore? Lo è mai stato? Sono domande da farsi.
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