È possibile identificare le avvisaglie di una malattia terribile come l’Alzheimer molti anni prima che si manifesti in modo conclamato.
Pur avendo un impatto devastante, una diagnosi di demenza non è necessariamente una una condanna senza appello. Il problema si presenta quando la malattia viene diagnosticata in ritardo. Perché in questo caso i trattamenti sono di scarsa o nessuna utilità.
E purtroppo è quel che accade il più delle volte. Per tale motivo, essere in grado di identificare i soggetti a rischio prima che la situazione si comprometta irrimediabilmente fa una grande differenza. Ed è proprio su questo fronte che giunge il monito di un’équipe di ricercatori, autori di uno studio pubblicato sull’autorevole rivista Science Translational Medicine.
Nel quadro a tinte fosche dell’Alzheimer e delle malattie neurodegenerative in generale, il suddetto studio scientifico apre un piccolo spiraglio di luce. Un nuovo esame del sangue, infatti, potrebbe permettere di prevedere il rischio di sviluppare quelle patologie con decenni di anticipo rispetto alla diagnosi ufficiale. Così sostengono i ricercatori, che considerano tale scoperta un enorme passo avanti nel trattamento di questa particolare tipologia di pazienti.
Dopo aver analizzato l’intero set di proteine di 10.981 soggetti, utilizzando i dati raccolti nell’arco di 25 anni, gli scienziati hanno scoperto 32 proteine che, se rilevate a livelli anormalmente alti o bassi nel sangue, sono associate a un rischio più elevato di sviluppare l’Alzheimer in un momento futuro. Ciò che ha incuriosito gli esperti è che molte di queste proteine non sembrerebbero direttamente coinvolte nel funzionamento del cervello. Molte di quelle identificate erano infatti collegate alla regolazione del proteoma del cervello.
Altre proteine evidenziate nello studio, invece, svolgono un ruolo importante nel sistema immunitario. Ciò suggerisce che c’è una qualche reazione o carenza del sistema immunitario che aumenta le probabilità che l’Alzheimer inizi a stabilirsi nel cervello. Tale scoperta corrobora altri studi che avevano già puntato in questa direzione, dimostrando che l’insorgenza della malattia non è dovuta a qualcosa che accade esclusivamente nel cervello. Tanto per rendere l’idea, la causa dell’Alzheimer può anche provenire dall’interno della bocca.
All’ultima Conferenza Internazionale della Alzheimer’s Association, un gruppo di ricercatori ha proposto di introdurre nuove linee guida per la diagnosi di Alzheimer, con particolare attenzione ai biomarcatori dei pazienti che vengono identificati e interpretati attraverso esami del sangue. E non mancano altri studi che confermano le potenzialità di questo metodo.
Nel 2022, per esempio, alcuni scienziati hanno dimostrato che è possibile rilevare precocemente la malattia sempre attraverso un esame del sangue. E uno studio pubblicato sulla rivista scientifica Brain ha puntato l’attenzione su un esame del sangue in grado di diagnosticare i casi di Alzheimer con notevole anticipo: fino a 3 anni e mezzo prima.
Vale la pena di ricordare che la demenza è un termine generico usato per designare un insieme di malattie, come l’Alzheimer, che sono caratterizzate da cambiamenti cognitivi che possono essere associati a perdita di memoria, mutamenti del linguaggio e disorientamento nel tempo o nello spazio.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità stima che ci siano 47,5 milioni di persone affette da demenza in tutto il mondo e prevede che questo numero possa raggiungere i 75,6 milioni entro il 2030 e quasi triplicare entro il 2050, arrivando a 135,5 milioni. Tale previsione si basa in gran parte sull’aumento del numero dei casi di demenza negli Stati a basso o medio reddito.
Di conseguenza, la demenza rappresenta una delle principali sfide del settore sanitario per le generazioni presenti e future. Spesso ignorata o incompresa, nonostante la sua diffusione, questa malattia colpisce gli individui e le loro famiglie da un capo all’altro del mondo e risulta essere una delle principali cause di disabilità. Si tratta di un serio problema che interessa sia i Paesi ad alto reddito che le regioni svantaggiate, dati gli ingenti costi che comporta per i sistemi sanitari. Malgrado il grado di emergenza, tuttavia, molti governi ancora non riconoscono la demenza come una priorità.
L’Oms, dal canto suo, in un rapporto intitolato “Demenza: una priorità per la sanità pubblica” definisce la demenza come un grave criticità per la sanità pubblica. E invita a uno sforzo globale e duraturo volto a promuovere misure e rispondere alle sfide legate all’aumento della sua diffusione. L’Oms sottolinea inoltre l’importanza del trasferimento delle conoscenze e delle buone prassi tra i Paesi, avvertendo che nessuno Stato, settore o organizzazione può superare da solo le sfide legate a questa malattia.
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