L’indiscrezione circola da giorni e sta facendo tremare tutti i lavoratori della Penisola: nel 2004 le buste paga subiranno a quanto pare un drastico taglio. Ecco cosa sappiamo al riguardo.
Se potessi avere mille lire al mese, cantava quel tale. Il mito dello stipendio fisso come garanzia di sicurezza e solidità non è tramontato, pur con tutti i cambiamenti intervenuti tra il XX e XXI secolo. Oggi però anche la mitica busta paga fa i conti con l’incertezza. Almeno qui in Italia, dove si mormora di una decurtazione in arrivo il prossimo anno per tutti i lavoratori stipendiati. Ma è davvero così? Cerchiamo di capire come stanno effettivamente le cose.
Premessa: come noto, viviamo in tempi di grande insicurezza a tutti i livelli: dalla geopolitica all’economia, passando per il cambiamento climatico e la situazione sanitaria globale. Va da sé che, in un contesto del genere, le variabili che possono incidere sugli stipendi sono numerose. Nel caso specifico dell’Italia, il rischio concreto è che, almeno per alcuni lavoratori, la busta paga nel 2024 risulti più bassa rispetto a quest’anno. Il punto è: perché?
La palla in mano al governo sulle buste paga
In realtà, il futuro delle buste paga dei lavoratori italiani dipenderà dalle decisioni che il governo guidato da Giorgia Meloni prenderà con la legge di Bilancio 2024. Certo è che ad oggi le risorse a disposizione per la prossima manovra finanziaria appaiono limitate. E, nello specifico, una riconferma dello sgravio contributivo nella misura entrata in vigore a luglio appare decisamente improbabile.
Il riferimento è allo “sconto” sui contributi che nel 2023 si è tradotto in un aumento fino a 100 euro sullo stipendio netto. Per la precisione, a luglio scorso è entrato in vigore uno sgravio del 4% che è andato ad aggiungersi a quelli del 2% e 3%, introdotti a inizio anno. Per dirla in cifre, nel secondo semestre di quest’anno i lavoratori sono tenuti a versare sull’importo imponibile dello stipendio il 2,19% (o l’1,80% nel caso dei dipendenti pubblici) di contributi fino a uno stipendio di 1.923 euro, grazie a uno sgravio del 7% che corrisponde a un aumento netto di massimo 96,03 euro, e il 3,19% (2,19% per i dipendenti pubblici) fino a uno stipendio di 2.692 euro, grazie a uno sgravio del 6% che equivale a un aumento netto di massimo 98,56 euro.
Come accennato, appare al momento improbabile che tali agevolazioni possano essere prorogate al 2024, visto che per finanziarle servirebbero circa 10 miliardi di euro: un budget che al momento – almeno stando alle stime dell’ultimo Documento di Economia e Finanze (Def) – non è nella disponibilità del governo. Ed è difficile che emergano novità di qui all’approvazione della nota di aggiornamento al Def, entro la fine di settembre (ma mai dire mai…).
L’ipotesi di uno sgravio solo parziale
Per tutti i motivi sopra elencati, l’ipotesi che si sta facendo strada è quella di uno sgravio solo parziale, per esempio pari al 3% e al 2% rispettivamente per gli stipendi fino a 1.923 e 2.692 euro. Il che si tradurrebbe in una decurtazione, rispetto al secondo semestre del 2023, di circa 54,87 euro nel primo caso e 65,70 euro nel secondo. Fermo restando che questa penalizzazione potrebbe essere poi compensata da altri benefici in arrivo con la riforma fiscale.
Il governo si accinge infatti a rivedere le imposte che si applicano sugli stipendi e vanno di conseguenza a incidere sull’importo netto. Per il momento sappiamo che le aliquote Irpef dovrebbero passare da quattro a tre, con un’estensione della prima fascia (con l’imposta al 23% del reddito) a beneficio di chi guadagna di meno. Ma sono previste novità significative anche sul fronte della tredicesima, che potrebbe essere detassata, con un conseguente importante aumento del netto. Idem per gli straordinari, ma solo per i redditi più bassi, ovvero al di sotto di una soglia ancora in via di definizione.
La principale incognita è data, come sempre, dalle risorse a disposizione. Il rischio concreto, peraltro evidenziato proprio in questi giorni dalla Ragioneria di Stato, è che la perdita nelle casse dell’Erario non sia sostenibile. E se a conti fatti le risorse a disposizione risulteranno troppo limitate, il governo potrebbe essere costretto a scelte drastiche, compreso un doloroso taglio ad almeno parte degli stipendi.
Ma intanto meglio guardare il bicchiere mezzo pieno: ad agosto si prevedono buste paga più pesanti per i lavoratori statali, visto che scatta il taglio del cuneo per circa un milione e 200 mila dipendenti pubblici. Alcune categorie riceveranno inoltre gli aumenti previsti da tempo: è il caso dei dipendenti dei ministeri, delle agenzie statali, delle authority e del mondo della scuola. Ad maiora…