Si fa presto a dire pensione anticipata. Ecco tutte le opzioni a disposizione di chi intende mettersi a riposo prima del previsto.
Mai come in questo momento il tema delle pensioni è in cima all’agenda delle preoccupazioni del governo. L’Italia, si sa, è in una situazione difficile, stretta tra il rigore imposto dall’Unione europea, il problema della denatalità e del progressivo invecchiamento della popolazione, i conti pubblici sempre più compromessi e un’economia che stenta a ripartire. Non a caso le ultime riforme del sistema pensionistico – e quelle in agenda per il prossimo futuro – vanno in direzione di un progressivo innalzamento dell’età pensionabile, unito a un incentivo a continuare a lavorare il più a lungo possibile.
Quanto appena detto non toglie, tuttavia, che si possa ancora, a determinate condizioni, andare a riposo prima – o anche molto prima – del previsto. In particolare, in certi casi (naturalmente piuttosto rari) possono bastare solo 20 anni di contributi. È uno dei tanti paradossi del sistema previdenziale italiano, con il quale molti cittadini devono volenti o nolenti fare i conti. Vediamo più nel dettaglio chi sono questi lavoratori “fortunati“.
Le “baby pensioni” del XXI secolo
Non tutti sanno che il sistema previdenziale italiano contempla una serie di misure per andare in pensione anticipata con non più di 20 anni di contributi versati. Ma, per assurdo che possa sembrare, ci sono altri paletti che impediscono a chi ha una carriera trentennale alle spalle di centrare i requisiti per anticipare la quiescenza. Com’è possibile? Il fatto è che il nostro meccanismo previdenziale sostanzialmente si regge sulle due misure pilastro, mentre le altre sono solo disposizioni in deroga ai requisiti vigenti (per cui non possono essere considerate come criteri fissi per poter lasciare il lavoro).
Le due misure suddette a cui i contribuenti devono necessariamente fare riferimento sono la pensione di vecchiaia ordinaria e la pensione per maturata anzianità contributiva. La prima si centra una volta raggiunta la giusta età pensionabile, ovvero 67 anni di età con almeno 20 anni di contributi versati. La seconda, invece, non prevede limiti anagrafici perché consente di andare in pensione una volta maturata la giusta anzianità in termini contributi. Per gli uomini, lo ricordiamo, serve un minimo di 42 anni e 10 mesi di contributi per la pensione anticipata, mentre per le donne occorrono 41 anni e 10 mesi. Tutte le altre misure previdenziali contemplate dal sistema e attualmente in vigore sono misure in deroga ai requisiti vigenti. per cui bisogna capire bene come sfruttarle. Certo è che non riguardano la generalità dei lavoratori, ma solo una minoranza appartenente a determinate categorie.
Dalla pensione anticipata…
Entriamo ancor più nei dettagli della questione. Esiste una misura, la cosiddetta pensione anticipata contributiva, la quale consente di uscire dal lavoro a 64 anni di età e con solo 20 anni di contributi. Ma a beneficarne possono essere solo i soggetti che hanno iniziato a lavorare dopo il 31 dicembre 1995 e che sono definiti “contributivi puri”. Basta anche un solo contributo versato prima di quella data, anche figurativo, da riscatto o volontario, per perdere lo status di “contributivo puro”. Il lavoratore può inoltre accedere alla pensione anticipata contributiva solo a una condizione: che abbia maturato alla data di decorrenza il diritto a una pensione di importo pari a 2,8 volte l’assegno sociale, cioè sopra 1.210 euro al mese.
…al lavoro a oltranza
La Legge di bilancio 2023 messa a punto dal governo Meloni ha riconosciuto l’incentivo per i lavoratori che, pur avendo maturato tutti i requisiti minimi per accedere alla pensione anticipata flessibile, decidono di proseguire con l’attività professionale. Quota 103, in particolare, scatta con il raggiungimento di 62 anni d’età e 41 di contributi. Ebbene, in una recente circolare l’Inps ha chiarito che il datore di lavoro deve versare la contribuzione a proprio carico, venendo esonerato dal versamento della contribuzione che sarebbe stata trattenuta al lavoratore, poiché quest’ultima è erogata per il dipendente, aumentando l’imponibile fiscale e il netto in busta paga.
Dato che il beneficio in questione poteva essere richiesto dal 1° aprile 2023, i lavoratori che hanno presentato la domanda di rinuncia dell’accredito contributivo entro il 31 luglio scorso, avendo perfezionato i requisiti di accesso alla pensione entro quella data, possono chiedere che la rinuncia produca effetto a partire dalla prima decorrenza utile di Quota 103. La data del 1° aprile 2023 vale per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria, alle forme sostitutive ed esclusive e alla gestione separata Inps. Per i dipendenti della Pubblica amministrazione la rinuncia produceva effetti dal 1° agosto; in tutti gli altri casi, invece, dal primo giorno del mese successivo.