Qualcuno può ingannare il partner pur di avere un figlio? Se questo succede e viene provato in tribunale, cosa comporta? Cosa dice la legge.
La nascita di un figlio è qualcosa di davvero meraviglioso, un evento in grado di cambiarti la vita e di arricchirla. Ci sono milioni di coppie in tutto il mondo che si uniscono proprio allo scopo di dare vita ad una nuova famiglia e accogliere uno o più figli. Ci sono però anche i casi in cui la nascita non è programmata e può capitare anche dopo un solo rapporto occasionale.
Questo probabilmente perché la coppia, in preda alla folle passione che li ha travolti, non ha preso sufficienti precauzioni per evitare che accadesse. C’è però da considerare anche il fattore casualità, poiché in un caso come questo tutto sembra convergere verso quel risultato: non è detto infatti che con un solo rapporto, anche senza protezioni e persino nel periodo più fertile della donna, si riesca procreare.
Vi basti pensare, infatti, che vi sono coppie che programmano questo evento, ci mettono tutti i mezzi possibili a disposizione affinché accada e impiegano mesi o addirittura anni prima di riuscire a concepire un figlio. Già questo vi potrebbe fare capire che l’inganno da parte della donna o dell’uomo (anche se sono soprattutto gli uomini ad accusare le donne in queste circostanze) per avere il figlio non solo è difficile da realizzare, ma è quasi impossibile da dimostrare.
Ponendo tuttavia il caso in cui l’uomo riesca a dimostrare che la compagna, la moglie o la partner occasionale lo abbia ingannato non sottraendosi nel momento clou dell’amplesso, bucando il preservativo, fingendo di prendere la pillola anticoncezionale o di avere l’anello anticoncezionale, cosa dice la legge a riguardo? Quale sarebbe la pena inflitta alla donna che si è macchiata di questo inganno?
Gli uomini che non vogliono prendersi la responsabilità di una nascita perché non avevano programmato di diventare genitori o perché hanno avuto un figlio con una donna con cui non vogliono condividere la loro vita, tendono a recitare la parte delle vittime (come se nel concepimento non avessero avuto alcun ruolo). La madre, nel caso in cui ritenga di non avere la possibilità materiale di occuparsi del bambino che sta per nascere ha a disposizione due scelte: abortire fino al terzo mese di gravidanza o lasciare il neonato alle cure dell’ospedale in cui è nato.
Ma qualora la donna decida di portare a termine la gravidanza e di riconoscere il figlio come suo, il padre quali obblighi ha? Sono gli stessi anche se ritiene oppure dimostra di essere stato ingannato? In tal senso il nostro ordinamento è chiarissimo, non prevede casi in cui il padre può disinteressarsi oppure occuparsi in maniera saltuaria del figlio per un semplice motivo: di primaria importanza è la tutela del figlio.
Dunque non ha importanza quali siano state le circostanze che hanno portato al concepimento del bambino e nemmeno quali siano i rapporti tra i genitori, ciò che conta è che entrambi si prendano cura del bambino. Dunque se la madre non decide di disconoscerlo dopo il parto, il padre è obbligato a riconoscerlo e a prendersi cura di lui finché questo non sarà in grado di farlo autonomamente.
A maggiore tutela dei diritti del figlio, l’ordinamento prevede che la paternità venga riconosciuta anche in caso di assenza di test ematico che lo confermi. Qualora il presunto padre si rifiuti di sottoporsi al test del dna per accertare la paternità del figlio, il giudice valuterà il rifiuto come una prova sufficiente a stabilire la consaguineità. Si parte in questo caso dal presupposto che qualcuno sicuro di non essere il padre del bambino non ha alcun motivo di rifiutarsi di sostenere il test del dna.
La legge prevede dunque che un padre debba riconoscere il figlio e che sia obbligato al mantenimento economico. Nel caso in cui manchi nell’assolvimento di questo dovere, la madre può denunciarlo e richiedere che un tribunale lo obblighi a pagare la propria parte di spese utili al mantenimento e all’istruzione del figlio.
L’assenza di un impiego, inoltre, non è una scusa sufficiente per fare mancare al figlio il sostentamento dovuto. La legge infatti prevede che il padre debba fare tutto quanto in proprio potere per assicurare al questo tutto ciò che gli necessita, persino accettare un lavoro umile e modesto. L’impossibilità di dare sostegno economico al figlio dunque dovrà essere giustificata da un impedimento effettivo e insindacabile allo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa.
Viene stabilito inoltre che nei periodi in cui il padre è alla ricerca di lavoro o nel caso in cui non possa effettivamente procurarselo, l’obbligo del mantenimento del bambino ricada sulle spalle dei nonni paterni. Si tratta di un’ulteriore misura di tutela nei confronti del bambino, il quale verrà lasciato sotto la tutela della sua famiglia naturale finché ci saranno le condizioni economiche e sociali (la tutela può essere tolta in caso di maltrattamenti e incuria) per garantirgli condizioni di vita dignitose.
Scappare da queste responsabilità può avere un costo ingente per il padre. Qualora infatti la donna con cui ha avuto il figlio non lo denunci, può essere il figlio, una volta diventato maggiorenne, a farlo. In questo caso, una volta accertata la paternità, il figlio potrà chiedere il risarcimento dei danni materiali (ovvero di tutte quelle spese che il padre avrebbe dovuto affrontare nel corso dei suoi primi 18 anni di vita) e di quelli morali dovuti all’assenza della figura paterna durante gli anni dello sviluppo.
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