Stilata anche quest’anno la classifica dei Paesi più infelici al mondo in base alla classifica Hami: ecco dove si trova l’Italia.
Ci sono notizie che non vorremmo mai leggere e informazioni che preferiremmo non avere mai. Sono ormai anni che l’andamento delle situazione economica e geo-politica mondiale è fonte di cattive notizie.
Dal 2020 ad oggi abbiamo assistito e vissuto una lunga e costante crisi economico-sociale di cui al momento non riusciamo a vedere la fine. Non vi è dubbio che questa situazione sia generalizzata e che dunque tutto il mondo stia vivendo un periodo infelice, tuttavia ci sono Paesi che più di altri stanno patendo condizioni complesse.
Sarebbe facile fare subito riferimento alla questione Ucraina. Ovviamente il Paese est europeo si trova in una situazione estrema: l’assedio delle truppe russe continua da un anno e mezzo senza soluzione di continuità e pare che il conflitto sia destinato a durare a lungo.
Le prospettive in tal senso sono tutt’altro che rosee e quando il conflitto giungerà al termine ci sarà bisogno di ricostruire, il che prolungherà ulteriormente il periodo di crisi economico-sociale. Uno scenario che ovviamente si presenta in ogni Paese teatro di guerra o di conflitti interni.
L’essere in pace non corrisponde sempre a vivere in un Paese “felice“. Per quanto riguarda la felicità di uno Stato si calcola attraverso un’analisi della condizione economica al suo interno, dunque valutando il tasso di inflazione, quello di disoccupazione e l’indice economico.
Questi tre valori consentono infatti di stabilire qual è il tasso di povertà all’interno di un Paese e dunque di capire quale percentuale delle popolazione fatichi ad avere il minimo indispensabile per vivere in maniera decorosa.
Il concetto di Misey Index, o indice di sofferenza, è stato coniato dall’economista Arthur Okun negli anni sessanta su richiesta dell’allora presidente degli Stati Uniti d’America Lyndon Johnson.
Lo scopo di questa richiesta era quello di ottenere uno strumento che potesse fotografare in maniera chiara e semplice lo stato economico del Paese e dunque quello di soddisfazione della popolazione americana. L’indice viene stabilito sommando il tasso di disoccupazione e quello d’inflazione.
Nel corso degli anni, però, sono emerse criticità sulla reale valenza dell’indice di miseria originario. Secondo molti studiosi, infatti, il tasso di disoccupazione avrebbe un influenza molto più forte rispetto a quello dell’inflazione, dunque dare pari valenza ai due fattori creerebbe un’immagine non esatta della sofferenza e delle difficoltà di un Paese.
La prima modifica sostanziale a questo strumento di valutazione è stata apportata dal professore di Economia di Harvard Robert Barro, che ha aggiunto ai due fattori originari anche il tasso d’interesse e la previsione breve tra il pil e la previsione di crescita economica del Paese.
Basandosi sul lavoro di Okun e Barro, il professor Steve Hanke ha deciso di applicare il misery index su scala globale, inserendo nell’analisi anche i Paesi al di fuori degli Stati Uniti d’America. Nella sua analisi, Hanke calcola l’indice di povertà del Paese basandosi su tre indicatori: tasso d’interesse, tasso di disoccupazione e tasso d’inflazione.
Adesso che abbiamo compreso quali sono i criteri alla base dei quali viene stilata la classifica dal professor Hanke, vediamo quali sono i Paesi che stanno vivendo un periodo molto complicato e quelli invece che, nonostante l’inflazione e i problemi di questo momento storico, si trovano in una situazione di stabilità e relativa tranquillità.
Stando alla classifica annuale redatta dal professor Hanke, il Paese più infelice al mondo in questo momento è lo Zimbabwe con un indice di miseria di 414.7. A quanto pare ad influire su questo risultato è stata la pessima gestione politica dello scorso anno che ha portato il tasso d’interesse delle banche al 131,8% e quello d’inflazione al 243,8%. Una situazione apparentemente disperata ma che potrebbe già migliorare con il prossimo governo, visto che le elezioni si terranno tra un paio di mesi.
Poco sopra lo Zimbabwe ci sono solo Paesi appartenenti al così detto “Terzo Mondo“:
In fondo a questa speciale classifica (che considera 157 Paesi) ci sono quegli Stati la cui economia è florida ed in cui il tasso di infelicità è minore. All’ultimo posto c’è la Svizzera con un indice di miseria di 8.518. Nel 2022 il Paese elvetico ha fatto registrare un tasso d’interesse per i prestiti bancari del 2,646% e registrato un’inflazione del 2,84%.
Poco sopra troviamo il Kuwait, il Giappone, l’Irlanda e sorprendentemente anche Niger, Malaisia e Taiwan. Non figura nelle prime dieci posizioni la Finlandia, generalmente considerato il Paese più felice al mondo, che occupa addirittura la posizione 109.
Arriviamo adesso alla posizione che ci interessa maggiormente, ovvero quella in cui si trova il nostro Paese. L’Italia non figura né tra i Paesi con il peggiore indice di miseria né tra quelli con il migliore. Nel 2022 il Belpaese si è piazzato oltre la metà della classifica, finendo nella parte felice – il 92° posto – ma ancora troppo in basso per considerlo tra quelli in cui si vive meglio.
L’indice di miseria dell’Italia è di 26.451. Ad influire negativamente sulla posizione è stato principalmente l’alto tasso di disoccupazione che a dicembre 2022 era salito al 7,8%. Un dato che non giunge nuovo e che tutti gli italiani conoscono bene.
Da anni, infatti, i governi che si sono succeduti hanno cercato una soluzione a questo problema senza riuscirci. La speranza è che la riforma del lavoro a cui sta lavorando il governo Meloni possa se non risolvere, quantomeno migliorare la situazione.
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