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La “meditazione della morte” che può rivoluzionare la tua vita: pochissimi la conoscono

Può un “corso di morte” rendere la vita più degna di essere vissuta? Chi l’ha frequentato assicura di sì: ecco perché.

Vivere una vita migliore grazie alla “meditazione della morte”. Se l’idea vi sembra bislacca o paradossale, sappiate che c’è chi la pensa diversamente – soprattutto dopo aver provato con mano questa originale pratica. Ripetere una frase dentro di sé – “Potrei morire oggi, potrei morire oggi” – è il primo passo di un percorso di consapevolezza che ha aiutato Lina Bertucci, di Manhattan, che da 15 anni pratica la meditazione tibetana, ad apprezzare ogni momento della sua vita. Ma andiamo per ordine.

La “meditazione della morte” è una pratica con antiche radici buddiste e sempre più diffusa. (Grantennistoscana.it)

Riflettere sulla propria morte può sembrare a molti di noi folle o morboso, ma Lisa assicura, parlando con il New York Post, che questa pratica ha trasformato il suo rapporto con le persone, i luoghi e le cose di questo mondo. Pian pian ha imparato a rilassarsi nei sentimenti di terrore e tristezza che il pensiero della morte evoca, facendo lenti respiri profondi mentre si assesta nelle emozioni scomode, diminuendo così il loro potere di indurre paura. Curiosi di saperne di più?

Il potere terapeutico della meditazione sulla morte

“Con la meditazione sulla morte impariamo a pensare a quando non ci saremo più in un modo molto diretto e siamo ispirati a vivere la vita al massimo”, dice Lisa Bertucci, una 50enne che vive a Chelsea. Si tratta di una pratica meditativa con antiche radici buddiste e sempre più diffusa, almeno oltreoceano, che vede i partecipanti contemplare la propria morte per iniziare a condurre una vita appagante e superare la paura della mortalità. “Pensi, ‘Sì, potrei non tornare a casa dal lavoro oggi. Come voglio vivere? Come voglio trattare le persone e come voglio essere trattata?'”, aggiunge Lisa.

La meditazione della morte, pratica fortemente radicata nell’antica tradizione buddista. (Grantennistoscana.it)

Ufficialmente questo esercizio mentale prende il nome di “contemplazione sulla morte e l’impermanenza” ed è stato proposto per la prima volta dal defunto monaco buddista Geshe Kelsang Gyatso. “Dire: ‘È possibile che io possa morire oggi’, risveglia una consapevolezza che ci aiuta a diventare persone più responsabili, amorevoli e senza paura, che non sono pigre nel rincorrere i piaceri e gli obiettivi del momento”, continua Bertucci. “Ci insegna a non affezionarci così tanto alle cose perché nulla è permanente“. Nel suo caso, la “meditazione della morte” l’ha aiutata a diventare una persona più amorevole, gentile, paziente e premurosa.

La pratica di meditare sulla morte, fortemente radicata nell’antica tradizione buddista, viene ora insegnata in molti corsi a New York e Los Angeles, accessibili anche tramite Zoom. Per 20 dollari a sessione, insegnanti esperti accompagnano i partecipanti verso una sorta di “inconscia consapevolezza”, facendoli uscire dalle loro menti per approdare a uno stato onirico di pace sulla morte. Bryan Melillo, 53 anni, dice che le sue lezioni sono incentrate sulla liberazione dalla mente e sul raggiungimento di un livello ultraterreno di pace interiore. “Aiuto ad alleviare le paure e parte del mistero su ciò che accade quando muori. Faccio sentire il cuore libero dalla mente e insegno a lasciar andare”.

Gli auto-elogi funebri e altre storie

Marifel Catalig, 40 anni, dice che i suoi corsi sulla morte “affermano la vita”. Il costo varia da 55 a 120 dollari a sessione, e lo scopo è quello di ispirare i partecipanti a riflettere sul loro passato e futuro prima che tutto finisca. “Lavoro sul respiro per stabilire una connessione con se stessi nella meditazione, dopo di che introduco l’idea della morte”. Catalin ha all’attivo anche pratiche di meditazione più all’avanguardia, che comprendono per esempio la scrittura e la lettura di auto-elogi funebri e lo “shrouding”, l’atto di fasciarsi in un lenzuolo bianco, come una mummia: un’attività che lui stesso definisce “profonda”.

“Conduco sessioni di meditazione sulla morte per aiutare ad accendere una luce interiore – spiega ancora Catalig -. Accendere un fuoco che spinge a prendere il pieno controllo della propria esistenza e chiedersi: ‘Cosa sto facendo della mia vita? Sono grato o dispiaciuto? Sono soddisfatto? Se no, come posso migliorare le cose?'”.

“Siamo in grado di morire gioiosamente e pacificamente senza un attaccamento serrato alle cose del mondo”, dice Lisa Bertucci. (Grantennistoscana.it)

Questa particolare forma di meditazione è stata salutata sui social media come una pratica spiritualmente arricchente. Su TikTok #DeathMeditation ha raggiunto l’incredibile cifra di 2,5 milioni di visualizzazioni, con insegnanti e allievi che pubblicizzano i benefici di questo tipo di esperienza. E sta anche guadagnando il plauso digitale delle persone con forti ansie intorno alla triste certezza della morte, nota anche come tanatofobia. È una paura che ha raggiunto un picco febbrile sulla scia dell’epidemia di Covid-19. “La morte non è un grosso problema”, conclude Bertucci. “Siamo in grado di morire gioiosamente e pacificamente senza un attaccamento serrato alle cose del mondo”.

Enrico DS

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