La Big Apple New York, il cuore pulsante della superpotenza a stelle e strisce, è in pericolo? Sì, affermano gli scienziati.
A preoccupare è un fenomeno evidenziato da una recente ricerca e che nel giro di qualche decennio potrebbe portare New York al collasso.
La Grande Mela rischia di andare sott’acqua? New York come Venezia? Ebbene, sì. Anno dopo anno New York, la città simbolo del capitalismo rampante e del potere di Wall Street, sta sprofondando. Lentamente, ma inesorabilmente, sotto il peso dei propri mastodontici grattacieli.
Come a dare una inattesa realizzazione a una delle tante “icone della fine”, per dirla come il filosofo Andrea Tagliapietra che qualche anno fa aveva pubblicato un libro – dove peraltro in copertina, quando si dice il caso, si vede la Statua della Libertà affondare in un mare tempestoso – sulla crescente diffusione, nel mondo occidentale, di immagini (soprattutto cinematografiche, ma non solo) annunciatrici di un’apocalisse collettiva.
Pensiamo solo alla disperazione di George Taylor (interpretato da un indimenticabile Charlton Eston) ne Il Pianeta delle scimmie quando scopre i ruderi della Statua della Libertà. Accorgendosi così che il pianeta su cui si trova, regredito alla barbarie, non è altro che la Terra dopo l’autodistruzione del genere umano.
Uno scenario da film? Senz’altro, ma guai a sottovalutare la verità delle immagini e il loro potere, se non premonitore, in un certo senso profetico. Comunque sia, è un fatto che la metropoli di New York si sta gradualmente infossando. Come un Atlante costretto a portare il peso del mondo, di anno in anno il peso – o la maledizione – dei suoi colossali grattacieli, sta facendo sprofondare la Big Apple.
In più, a peggiorare ulteriormente il quadro, rendendola ancora più vulnerabile ai disastri naturali, congiura anche l’innalzamento del livello degli oceani, una minaccia anche per tante altre coste in tutto il pianeta. Come dicevamo, New York City sta sprofondando con inesorabile lentezza, a un ritmo di 1-2 millimetri ogni anno, come una goccia che lentamente scava la pietra.
A fotografare lo stillicidio della Grande Mela è stato uno studio dell’Us Geological Survey, condotto in collaborazione con l’Università di Rhode Island e recentemente pubblicato sulla rivista Earth’s Future. Dalla ricerca è emerso che a causare il graduale sprofondamento della più popolosa metropoli americana (oltre 8 milioni di persone) è il peso ormai insopportabile delle sue numerosissime costruzioni, tra edifici e grattacieli.
Insomma, sono le frecce di cemento armato e acciaio puntate verso il cielo, simbolo dello slancio e dello spirito di conquista della prima superpotenza mondiale, a far collassare New York. Come ha fatto notare lo storico Jean Gimpel, gli entusiasmi di popoli giovani, lanciati alla conquista del mondo, si esprimono spesso in costruzioni smisurate e colossali. Come le cattedrali medievali e i grattacieli degli Stati Uniti del XX e XXI secolo.
Comunque sia il peso della gloria (curiosamente kabod, il termine ebraico che indica la gloria, significa anche peso) adesso viene a chiedere il conto. Stando alle stime degli esperti, il peso totale dei grattacieli e delle costruzioni di New York è di 764 miliardi di chilogrammi distribuiti su una superficie pari a circa 800 chilometri quadrati. Per rendere l’idea, è come se sul terreno di New York alloggiassero 140 milioni di elefanti.
Un peso elefantiaco, appunto, che sta schiacciando la metropoli più famosa al mondo. I geologi hanno spiegato, sulla base di dati ottenuti coi rilevamenti satellitari, che il sottosuolo di New York è composto da materiali diversificati: dal mix di argilla e sabbia ai soldi strati di scisto.
Tom Parson, il geofisico che ha capeggiato il team di ricercatori dell’Us Geological Survey, spiega che la compressione esercitata dai grattacieli è tanto maggiore quanto più è soffice il terreno dove poggiano. Il punto non è tanto che sia stato un errore edificare queste colossali costruzioni a New York. Soltanto bisogna avere ben presente che costruire un edificio comporta sempre una spinta che abbassa il terreno.
Gli esperti invitano a non fare allarmismi, almeno non nell’immediato. Ma quello che è certo è che il lento bradisismo della Big City per eccellenza è un processo in atto che fa aumentare il rischio di inondazioni.
Al tempo stesso New York deve fare dunque i conti con due movimenti speculari e opposti: da un lato il periodico abbassamento del proprio terreno, dall’altro il crescente innalzamento del livello delle acque marine.
Una minaccia che lungo la costa atlantica del Nord America è 3-4 volte più alta rispetto alla media globale, fanno notare gli scienziati che entro il 2100 prevedono una subsidenza tra 500 e 1.500 mm a causa degli effetti isostatici post-glaciali.
Inutile dire che New York non è l’unica città a rischiare inondazioni a causa dell’inasprirsi dei mutamenti climatici. È una sorte che condivide con moltissime altre città costiere (non escluse quelle italiane).
A rischiare di più al momento è Lower Manhattan, il quartiere che ospita il cuore finanziario e culturale della Big Apple: è qui infatti che si trova Wall Street, con la New York Stock Exchange, la maggiore borsa valori del mondo. In meno di 80 anni rischia di andare sott’acqua, ricorda il New York Post.
Per cercare di mitigare gli effetti di questo processo di graduale sprofondamento, il geofisico Klaus Jacob, professore emerito del Lamont-Doherty Earth Observatory presso la Columbia University, propone una soluzione suggestiva: trasformare New in una moderna Venezia.
«Se vogliamo mantenere in funzione i grattacieli e altri edifici, dovranno diventare mini isole che si trovano nell’acqua», spiega Jacob. «Dovranno essere serviti non da taxi su ruote, ma da barche anfibie. Le chiatte dovranno venire a raccogliere la spazzatura. E abbiamo bisogno di più linee ferroviarie sopraelevate che colleghino tra loro i vari edifici».
E in generale, afferma Jacob, tutte le infrastrutture (elettricità, gas, vie di comunicazione) dovranno essere impermeabilizzate.
Tanto più che Lower Manhattan non è l’unica area a rischio nel Tri-State (il termine informale che in questo caso indica l’area che circonda New York City, e include parti di New York, del New Jersey e del Connecticut). L’acqua minaccia, spiega al New York Post il geofisico della Columbia University, anche «Long Island, Staten Island, Brooklyn, Queens, il Bronx» e la «Hudson Valley fino a Troy… direi che qualsiasi cosa a 20 piedi sopra il livello del mare e al di sotto è un rischio estremo».
In futuro oltretutto, a causa del cambiamento climatico, tempeste e uragani sono destinati a diventare sempre più intensi. New York ne ha già fatto le spese con le inondazioni causate dall’uragano Sandy (2012) e dall’uragano Ida nel 2021.
Il che si traduce in mareggiate sempre più alte e forti, per fronteggiare le tali, il Corpo degli ingegneri dell’esercito propone di investire 52 miliardi di dollari nella costruzione di dighe costiere. Ma il timore di Jacob è che questo approccio «frammentario» sia soltanto una soluzione tampone per un problema che forse non domani, ma sicuramente tra qualche decennio (in particolare dal 2100), diventerà tremendamente serio.
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