Paolo Maldini rompe il silenzio andando a toccare uno dei tasti più dolenti della storia del calcio italiano: lo fa, però, con il suo stile unico!
Vi sono uomini e campioni che per quanto abbiano legato il loro nome e la loro storia professionale ad un club, sono una sorta di patrimonio mondiale dell’umanità.
Vi sono riusciti non soltanto grazie ad un infinito talento, ma anche e soprattutto, per merito di un’immagine che ha sempre trasmesso all’esterno serietà, professionalità, determinazione, coraggio, coerenza, forza.
E quando si parla di Paolo Maldini non ci si può sbagliare. La sua maglietta è una e una soltanto. Ha le strisce rossonere. Nei giorni dedicati alla scomparsa di Silvio Berlusconi e al racconto della vita del Cavaliere, non si è potuto non parlare del suo Milan trionfatore in Italia, in Europa e nel mondo. Del Milan di Arrigo Sacchi, Fabio Capello e di altri ancora. Di quel Milan Paolo Maldini ha rappresentato una delle colonne storiche.
Tassotti, Costacurta, Baresi, Maldini, una linea difensiva tutta italiana, una delle più forti della storia del calcio. Paolo Maldini ha respirato il Milan fin da bambino quando ha assistito ai trionfi in maglia rossonera del suo celebre papà Cesare. Ha sfidato il naturale, e solito, scetticismo iniziale, quando si raccontava che era “soltanto” un figlio d’arte. Avrebbe dovuto dimostrare sul campo il suo reale valore, facendo magari qualcosa in più, giusto per cancellare qualsiasi dubbio.
E qualcosa, in campo, effettivamente lo ha dimostrato: 7 scudetti, 1 Coppa Italia, 5 Supercoppe italiane, 5 Champions League, 5 Supercoppe europee, 2 Coppe Intercontinentali, 1 Coppa del Mondo per club. Può bastare?
Paolo Maldini, dal trionfo all’addio
26 trofei in quasi venticinque anni di carriera con la maglia rossonera. La sua storia recentissima ha parlato di lui raccontando di una dolorosa separazione. Da pochi giorni, infatti, l’ex fuoriclasse rossonero non è più un dirigente del Milan.
Dopo un incontro con Gerry Cardinale, proprietario della società rossonera, Paolo ha constatato come non vi fossero più le condizioni per proseguire il rapporto e pertanto è stato sollevato dal suo incarico di capo dell’area tecnica. Lo scudetto del 2022, tanto bello quanto inatteso, porta in calce una firma ben precisa. La sua. La carriera dell’ex campione milanese ha vissuto sempre su due, perfetti, binari paralleli: il Milan e la Nazionale.
Con la maglia azzurra ha soltanto sfiorato i successi più grandi. I rigori di Pasadena, nel 1994 al Mondiale USA, gli hanno tolto la soddisfazione più grande, mentre David Trezeguet, con il golden goal, ha spento la speranza di vincere il Campionato Europeo del 2000. Ma nell’infinita carriera azzurra di Paolo Maldini vi è anche l’aver vissuto lo scandalo di Corea-Italia, durante il Mondiale 2002.
Per la prima volta l’ex fuoriclasse azzurro ha raccontato quella partita, le strane sensazioni provate e un’eliminazione che ancora brucia nei ricordi dei protagonisti. Lo ha fatto nella trasmissione radiofonica Muschio Selvaggio, condotta da Fedez.
Paolo Maldini rompe il silenzio
Per inquadrare quella partita del Campionato del Mondo nippo-coreano basta citare soltanto un nome: Byron Moreno, l’arbitro ecuadoriano che ha diretto l’incontro.
Un nome ed un volto che Paolo Maldini non ha mai dimenticato. Quella direzione di gara scandalosa condita da cervellotiche segnalazioni di fuorigioco, un paio di reti annullate e un cartellino rosso a Francesco Totti che ancora grida vendetta. Un fischiare a senso unico a favore egli asiatici che ha poi portato alla quasi inevitabile sconfitta. Un’eliminazione ancora più cocente per Paolo Maldini perché quella partita ha segnato il suo addio alla Nazionale. La maniera peggiore per chiudere una splendida avventura. A Fedez ha ricordato come alcune situazioni gli avessero fatto presagire come stesse accadendo qualcosa di strano.
Un episodio che ha visto protagonista Damiano Tommasi è stato per lui quasi illuminante. L’ex terzino azzurro ha raccontato come nel 2002 la stretta di mano riguardasse soltanto i capitani e la terna arbitrale. Damiano era solito stringere la mano all’arbitro ma, in quell’occasione, Byron Moreno si è rifiutato.
Ricordo negativo ne richiama fatalmente un altro e Paolo ha raccontato come già l’ingresso allo stadio abbia rappresentato un serio problema per l’eccessiva rigidità del protocollo coreano. Non tutti i giocatori italiani, infatti, avevano al collo il pass e questo ha creato un serio problema, tanto che per accedere agli spogliatoi è stata necessario scatenare “una rissa“.
Quella partita ha rappresentato l’addio definitivo di Paolo Maldini alla Nazionale. Nel 2004 Giovanni Trapattoni gli ha chiesto di far parte della comitiva azzurra. La risposta dell’ex campione è stata: no. Quando nel 2006 Marcello Lippi gli ha riproposto il medesimo ruolo e quindi di far parte della spedizione che avrebbe poi visto l’Italia laurearsi Campione del Mondo a Berlino, Paolo Maldini ha detto nuovamente di no.
L’occasione di vincere un mondiale con l’Italia, seppure con un ruolo dirigenziale, gli è passata davanti, ma non è stata colta. Si vede che nel dorato destino di Paolo Maldini i trionfi dovessero avere soltanto due colori: il rosso e il nero.