Incredibile scoperta quella della stimolazione notturna del cervello. Ecco in cosa consiste e che effetti sembra avere su Parkinson e Alzheimer
Parkinson ed Alzheimer sono due delle malattie neurodegenerative più temute da tutti: si tratta di patologie multifattoriali che, se ai loro primi stadi si manifestano con sintomi leggeri e che consentono di vivere una quotidianità del tutto normale, con l’andare del tempo peggiorano e si fanno sempre più invalidanti. Al momento, né per l’una né per l’altra, esistono cure efficaci in grado di contrastare l’avanzare della malattia e quindi i suoi sintomi: ci sono però ottimi riscontri dalla stimolazione notturna del cervello.
Sebbene pensiamo che mentre dormiamo il nostro cervello è fermo immobile e riposa con noi, in realtà non è così: proprio durante le ore di sonno, l’ippocampo e la neocorteccia si scambiano informazioni da conservare a lungo termine; è il consolidamento della memoria. Proprio sulla base di questo importante processo, gli studiosi hanno cercato di capire come si potesse sfruttarlo per ipotizzare approcci terapeutici o comunque conservativi nei pazienti che soffrono di Parkinson e Alzheimer: ecco lo studio, le sue applicazioni e qual è la verità.
Come abbiamo anticipato, durante le ore di sonno l’ippocampo e la neocorteccia elaborano le informazioni da stoccare a lungo termine: è questo il momento durante il quale si formano i ricordi più profondi, quelli che vanno a formare la nostra biblioteca mentale. A confermarlo è anche Itzhak Fried, neurochirurgo dell’Università della California di Los Angeles, il quale a giugno ha pubblicato un studio su Nature Neuroscience che potrebbe svoltare gli approcci terapeutici su Parkinson e Alzheimer.
Gli studiosi hanno infatti scoperto che questo processo può essere hackerato: stimolando il lobo frontale in modo che sia in sintonia con le onde elettriche che percorrono l’ippocampo mentre si dorme, il team ha migliorato la precisione della memoria responsabile della capacità di riconoscere ciò che si è già incontrato nei pazienti con epilessia.
Di fatto, quindi, gli studiosi sono speranzosi della possibilità, in un futuro non troppo lontano, di poter applicare questa stimolazione notturna del cervello anche a chi soffre di Alzheimer e Parkinson. Non è nuovo l’interesse al sonno di chi cerca di guarire determinate patologie legate alla conservazione della memoria: già Freud ne aveva capito i collegamenti e cercava di espanderli. Oggi, gli studiosi hanno compreso che il fulcro della memoria è l’ippocampo, il quale emana delle onde ad altra frequenza che pare servano per la memoria a lungo termine.
La neocorteccia, che invece regola il movimento e la parola, emette onde più prolungate e lente: secondo un neuroscienziato della New York University, Gyorgy Buzski, è proprio la sincronizzazione tra le onde ad alta e a bassa frequenza che va a creare i ricordi durante il sonno. L’approccio degli scienziati è proprio questo: vogliono capire se, migliorando la sincronia tra le onde dell’ippocampo e quelle della neocorteccia, migliora di conseguenza il consolidamento della memoria durante il sonno.
Fried e il suo gruppo di studio hanno quindi preso in analisi delle persone affette da epilessia che non rispondevano ai farmaci e che, per altre motivazioni, avevano degli elettrodi impiantati in alcune aree del cervello, che gli consentivano di monitorare l’attività cerebrale delle zone dedite al sonno e alla memoria.
Lo studio ha analizzato soprattutto l’elettrodo che misurava le onde vicine all’ippocampo e quello che misurava lo stimolo del lobo frontale. Fornendo specifiche stimolazioni notturne, hanno notato che la memoria migliorava dopo solo una seduta, ma non solo: dopo la stimolazione, il cervello era più coordinato e migliorava quindi anche il sonno.
Ad oggi, quindi, siamo a un buon punto della comprensione dei processi di consolidamento della memoria durante il sonno e, soprattutto, del modo in cui si può intervenire per consolidarli e renderli più efficaci in persone con epilessia. Ciò che gli studiosi vogliono capire con certezza, ora, è se questo è utile anche su soggetti sani, in modo da prevenire eventuali malattie neurodegenerative o da migliorarne le capacità.
Si parla poi della possibilità di andare ad eliminare i ricordi spiacevoli e quelli che creano dolore, procedimento che potrebbe utile per alleviare la sindrome da stress post traumatico: si sollevano però questioni etiche, soprattutto relative all’impianto di elettrodi nel cervello, che vanno al di là della mera scienza.
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