Confessiamolo: le brutte notizie, in qualche modo, ci attirano. Ma da dove nasce questa oscura attrazione? Ecco qual è la possibile spiegazione.
Spesso ci si lamenta che i media diano solo cattive notizie. In tv e sui giornali sempre e solo tragedie, catastrofi di ogni tipo, guerre, delitti, crimini inenarrabili, storie di corruzione e delinquenza, ecc. Niente di più vero e sarebbe da stolti negarlo. Ma è davvero tutta colpa dei media? I giornalisti creano veramente dal nulla questa fame di notizie negative o, forse, non fanno altro che assecondare, anche se magari accentuandola, una domanda proveniente dal pubblico?
È un interrogativo che potrebbe apparire ozioso, perfino scontato, se non fosse per la presenza del fenomeno chiamato in gergo “doomscrolling“: la ricerca compulsiva di cattive notizie in rete. Andare in cerca di bad news sui nostri cellulari è diventata una comune abitudine quotidiana per tanti di noi. Le tensioni dei recenti anni di pandemia, le ansie legate alla guerra in Ucraina e alla crisi ecologica hanno colpito e reso fragile la psiche di tutti.
E così, oltre all’onnipresente bombardamento mediatico, ci si mette anche l’abitudine di scrollare il telefonino per cercare ossessivamente eventi di cronaca negativi, come crimini, incidenti, calamità naturali. Già nel 2020 il New York Times, per mano dello scrittore Brian X. Chen, aveva definito quello che potremmo anche chiamare un collezionismo delle sventure come l’esperienza di un «affondare lentamente dentro sabbie mobili emotive, abbuffandosi di notizie cupe e negative».
Doomscrolling: cosa vuol dire e che cos’è
Una sorta di bulimia del negativo bene espressa dal neologismo doomscrolling, composto da doom (sventura, destino infelice) e da scrolling, cioè «scorrimento». Il problema, faceva notare Chen, è che questa abitudine di andare alla ricerca di pessime notizie si combina col tempo sempre più prolungato passato da ognuno di noi davanti allo schermo del telefonino (aumentato almeno del 50% secondo alcune stime).
Per questo gli esperti nel campo della salute temono che il doomscrolling, combinato con la dipendenza dallo schermo dello smartphone, possa avere un impatto molto negativo sul nostro benessere mentale e fisico. Rendendoci sempre più arrabbiati, ansiosi, depressi, improduttivi e, al tempo stesso, sempre meno emotivamente connessi con i nostri cari e pure con noi stessi.
I risultati di una ricerca canadese sulla ricerca di cattive notizie in rete
Ma perché andiamo sempre a caccia di cattive notizie? Il fenomeno del doomscrolling non è nuovo. Già una decina di anni fa se ne occuparono Marc Trussler e Stuart Soroka, due ricercatori della canadese McGill University. Il gruppo di ricerca condusse un esperimento unico chiedendo a 100 studenti universitari di controllare i siti online di notizie politiche nazionali e internazionali scegliendo quelle che ritenevano più interessanti.
Usando la tecnologia di tracciamento oculare (eye-tracking) i ricercatori hanno poi studiato gli articoli per i quali gli studenti si erano dimostrati più sensibili. Lo scopo dell’esperimento era quello di determinare se, potendo scegliere, le persone leggessero buone o cattive notizie.
Bene, i risultati dell’esperimento hanno fatto emergere che l’attenzione dei partecipanti si orientava verso storie negative su corruzione, ingiustizia, ipocrisia, ecc., piuttosto che concentrarsi su notizie neutre o positive. Inoltre, gli studenti più interessati all’attualità e alla politica erano anche quelli più propensi a scegliere le cattive notizie. Tuttavia, a domanda diretta, queste stesse persone affermavano di preferire le buone notizie e che i media, al contrario, si concentravano troppo su quelle negative.
Perché siamo così attratti dalle pessime notizie
Al termine dell’esperimento, per spiegare questa attenzione selettiva i ricercatori hanno invocato il cosiddetto pregiudizio della negatività (“negativity bias”). In altre parole, la tendenza a dare più peso alle informazioni negative rispetto a quelle positive dato l’impatto maggiore, sia a livello psicologico che emotivo, del primo tipo di notizie.
Alcuni ipotizzano, spiegano gli autori dello studio, che la propensione verso il negativo derivi paradossalmente dall’inclinazione umana verso un moderato ottimismo, che rende più attraenti le informazioni negative perché più vantaggiose per la conservazione della specie.
In un certo senso dunque, contrastando la tendenza innata dell’essere umano che lo spingerebbe a essere leggermente ottimista, le brutte notizie sarebbero considerate come potenzialmente più utili. In sostanza, la morale è più o meno questa: meglio prepararsi al peggio per farsi trovare pronti in ogni evenienza. Una strategia per stare alla larga dai pericoli maggiori.
Del pregiudizio della negatività si è occupato anche John T. Cacioppo, psicologo dell’Università dell’Ohio. Nel suo esperimento, Cacioppo ha mostrato ai volontari immagini che inducono sentimenti positivi (come una Ferrari o una pizza), sentimenti negativi (come un volto mutilato o un gatto morto) o sentimenti neutri (un piatto, un asciugacapelli). Intanto registrava le reazioni del cervello a quegli eventi, o l’attività elettrica della corteccia che riflette l’entità del processo di elaborazione delle informazioni in atto.
Anche i risultati dello studio di Cacioppo mostrano che il cervello reagisce con più forza agli stimoli che considera negativi. Perciò i nostri atteggiamenti sono più influenzati dalle notizie negative. «Il cervello è più sensibile alle notizie spiacevoli e i nostri atteggiamenti sono più fortemente influenzati dalle notizie negative che dalle buone notizie». Anche Cacioppo sembra sposare la tesi della strategia di sopravvivenza e difesa. La nostra capacità di soppesare gli input negativi si è evoluta così a fondo, spiega l’esperto, per tenerci lontani dai pericoli.
Il costo del doomscrolling
Come detto, si tratta soltanto di ipotesi. All’atto pratico resta che quando leggiamo le notizie sul giornale o in internet siamo poco attratti dalle storie buone o dai fatti di cronaca positivi. In definitiva se in tv sentiamo parlare principalmente di cattive notizie lo dobbiamo, in parte, anche a questa vecchia tendenza umana. Una predisposizione che oggi, nell’era di internet, ha preso il nuovo nome di doomscrolling. Ovvero la propensione a cercare ossessivamente cattive notizie online.
Oltretutto siamo pure più propensi a condividere con gli altri queste bad news. Ma non è tutto: quello che leggiamo sui giornali e vediamo in televisione può far aumentare il nostro pregiudizio negativo. Tanti ad esempio hanno paura del terrorismo a dispetto del fatto che «il numero di persone uccise da gruppi armati di questo tipo negli ultimi 20 anni negli Stati Uniti è inferiore al numero di americani morti nello stesso periodo nelle loro vasche da bagno», spiegano gli psicologi sociali John Tierney e Roy Baumeister. Cosa che non stupisce, visto che per definizione la paura è una passione che non fa rima con obiettività, raziocinio, senso della realtà.
D’altronde, come visto, concentrarsi prima di tutto e soprattutto sui problemi invece che sulle buone notizie presenta dei vantaggi, come evitare altre perdite, ad esempio. Peccato solo che questa strategia abbia anche lo svantaggio di un costo psicologico. Secondo Baumeister infatti servono almeno quattro notizie positive per “bilanciare” una notizia negativa, ovvero per farcela dimenticare.
L’impatto negativo sulla salute dello scrolling delle disgrazie
Una ricerca pubblicata sulla rivista Health Communication suggerisce che l’impulso compulsivo che ci spinge a navigare sul web spulciando tra le cattive notizie possa essere anche dannoso per la salute mentale e quella fisica. Gli studiosi definiscono il doomscrolling (o doomsurfing) come quella tendenza masochistica che spinge a «continuare a navigare o scorrere le cattive notizie, anche se quelle notizie sono tristi, scoraggianti o deprimenti». Una pratica letteralmente esplosa, hanno scoperto i ricercatori, dall’inizio della pandemia.
Lo studio ha rilevato che il 16,5% delle circa 1.100 persone intervistate ha mostrato segni di un consumo di notizie «gravemente problematico» che le ha portate ad avere livelli maggiori di stress, ansia e cattive condizioni di salute.
Il Guardian riporta un commento di Bryan McLaughlin, professore associato e autore principale dello studio, oltre che ricercatore presso la Texas Tech University. L’esperto ha affermato che le news a ciclo continuo, 24 ore su 24, possono portare a un «costante stato di massima allerta» in alcune persone, facendo loro sembrare il mondo un «posto oscuro e pericoloso».
In altre parole, lo tsunami di news 24h funziona da rinforzo che esaspera e alimenta l’innato pregiudizio della negatività. Come se lo mandasse in cortocircuito. Perciò, continua McLaughlin, rischia di «svilupparsi un circolo vizioso» che porta i patiti del doomscrolling verso un imbuto dove «invece di isolarsi, vengono attirati ulteriormente, ossessionati dalle notizie e controllano gli aggiornamenti 24 ore su 24 per alleviare il loro disagio emotivo».
Così, un po’ come se fossero drogati dalle cattive notizie, vanno alla ricerca di ulteriori “dosi” di news per alleviare il disagio interiore. Ma come si sa, il gioco non funziona e il meccanismo rischia di avvitarsi su se stesso. Infatti scrollare ossessivamente i fatti di cronaca sul cellulare, conclude l’esperto texano, «non aiuta, e più si controllano le notizie, più iniziano a interferire con altri aspetti della loro vita».
La diffusione di una nuova forma di pessimismo
Lo scrolling delle disgrazie potrebbe anche avere a che fare con quello stato d’animo collettivo che in tempi non sospetti il filosofo Augusto Del Noce ha definito il «millenarismo negativistico» delle nuove generazioni. Un sentimento basato sull’attesa tipicamente millenaristica di qualcosa di assolutamente nuovo, di un evento inedito nella storia. Alla quale però si accompagna non la promessa di un avvenire migliore, ma una sfiducia generalizzata verso tutto e tutti che si trasforma in attesa della fine, sotto forma di sensazione di una catastrofe imminente.
Ecco dunque nascere un binomio tra millenarismo e negativismo, un pessimismo in attesa dell’apocalisse che, come è facile da intuire, genera uno stato d’ansia pervasivo. Certo, Del Noce si riferiva alle giovani generazioni protagoniste della contestazione studentesca del ’68, poi deluse dalla caduta delle utopie e dei miti salvifici come quello della tecnoscienza, oltre che angosciate dalla possibilità di una devastazione atomica.
Generazioni però ormai entrate, adesso, nell’età della vita in cui si è in pensione o nonni da tempo. Da allora ne è passata di acqua sotto i ponti. Ma la fiumana del tempo non sembra aver spazzato via, anzi, la sensazione di una catastrofe prossima ventura, di una spada di Damocle perennemente sospesa sopra le nostre teste. Oggi le paure assumono volti differenti (ma per altri versi anche molto simili, in fondo, a quelli di mezzo secolo fa). Come la pandemia, la guerra in Ucraina e il pericolo di un altro conflitto mondiale con l’impiego di armi nucleari. Ma anche la profezia di una catastrofe ecologica, la precarietà del lavoro, i salari bassi, ecc.
Pregiudizio della negatività: e se fosse solo un effetto ottico?
Tante crisi e paure all’orizzonte, forse troppe per un’umanità sempre più confusa, che sembra vagare senza direzione sulla terra sotto un cielo senza promesse. Se non quella, più simile però a una minaccia, di cadere sopra le nostre teste.
Un po’ come credeva Abraracourcix, il capo gallo del villaggio di Asterix. Come noto, la sua unica paura era quella che il cielo gli cadesse sopra la testa. Un timore esorcizzato con la sua tipica frase: «Che cada è certo, ma di sicuro non domani».
Del resto, per non sprofondare in un pessimismo senza speranza si potrebbe dire, come notava qualche uomo saggio, che forse siamo vittime di un effetto ottico dovuto al fatto che il positivo e il negativo, il bene e il male, hanno due logiche differenti.
Quando il male cresce, infatti, aumenta la sua apparenza. Il negativo è assordante, fa rumore, fa chiasso, fa di tutto per farsi notare. Il bene invece va alla sostanza delle cose, cresce in silenzio e nella discrezione come le foreste rigogliose. Anche per questa differenza di “crescita” il negativo ci attrae maggiormente. Ma si tratta, appunto, di un effetto ottico che avvantaggia – solo apparentemente – il nulla.
Chissà, magari cambiare le lenti attraverso le quali guardiamo la realtà potrebbe farci bene. Magari potrebbe salvarci anche dall’abbuffata di negatività e dalla sconnessione con la realtà che rischiano di rovinare le nostre esistenze.