Dietro al “no” sistematico a certi piatti potrebbe esserci una patologia rara scoperta solo da pochi anni, scopriamo di cosa si tratta.
Si tratta di un disordine di cui ci si è accorti in tempi relativamente recenti, con sintomi specifici che identificano un rapporto conflittuale col cibo e l’alimentazione.
Si sa che da bambini si è più “schizzinosi” coi piatti a tavola o, meglio, più “selettivi”. A volte trasformandosi in piccoli sezionatori impegnati a scartare con chirurgica precisione gli ingredienti sgraditi, poco importa se per cucinare quel piatto così elaborato c’è voluto un bel po’ di tempo.
La selettività a tavola è una caratteristica tipica dell’infanzia che solitamente con la crescita svanisce gradualmente lasciando spazio, con la maturità, a uno spirito più ecumenico verso il cibo. Col progredire dell’età si fanno largo di solito vedute più ampie a riguardo dei sapori, si sperimentano gusti più sofisticati, ecc. Già da adolescenti, in genere, il catalogo degli alimenti permessi è ben più vasto di quello dei cibi proibiti.
Ma non sempre è così: c’è chi persiste ostinato nel suo sistematico rifiuto di alcuni piatti. Ma può non essere una stramberia, quanto una vera e propria malattia. Dal 2013 è stata catalogata come un disturbo dell’alimentazione: il suo nome è Arfid, disturbo evitante-restrittivo dell’assunzione di cibo (Avoidant restrictive food intake disorder).
Naturalmente bisogna saper distinguere: un conto è essere schizzinosi e fare capricci a tavola, un altro è soffrire di un disturbo alimentare. Ovviamente per saperlo dovremo consultare uno specialista, senza avventurarci nel fai da te (una ricetta buona solo per provocare disastri).
Chi soffre di Arfid evita di mangiare, manifestando disinteresse e scarso appetito. Oppure esclude dei piatti in base al loro aspetto, all’odore, al sapore. Più comunemente si manifesta evitando appunto un certo tipo di alimenti, selezionati magari per colore (mangiando solo cibi bianchi, o rossi, per esempio) o per la consistenza (solo gli alimenti cremosi o quelli croccanti, sempre per fare un esempio pratico).
O ancora, non manca chi vuole mangiare soltanto porzioni molto piccole di cibo o chi ha paura di mangiare per timore di incorrere dopo il pasto in reazioni negative già sperimentate in passato (reazioni allergiche, vomito, soffocamento).
Così codificato, questo disturbo è entrato ufficialmente nel Dsm-5, la “bibbia” internazionale della psichiatria (o, meglio, il manuale standard della psichiatria internazionale che classifica i disturbi mentali). Un ingresso recente, come si è visto. E ora arriva un’ulteriore scoperta, ovvero che tra i disturbi psichiatrici associati al cibo l’Arfid è quello più trasmissibile per via ereditaria. Si parla perfino del 79% dei casi.
A una conclusione del genere è giunta una ricerca apparsa sulla rivista Jama Psychiatry e condotta dalla dottoressa Lisa Dinkler (Karolinska Institutet, Svezia). Lo studio è avvenuto sui gemelli, come è abituale negli studi legati alla genetica. Nel primo caso i gemelli provenivano dallo stesso uovo fecondato, con gli stessi geni al 100% dunque. Nel secondo caso invece si trattava di fratelli nati insieme ma provenienti da due diverse uova fecondate, che quindi hanno in comune circa la metà dei geni (mentre il resto viene plasmato dall’ambiente, dagli eventi e dalle esperienze di vita).
Secondo la dottoressa Dinkler la prevalenza di Arfid «va dall’1 al 5 per cento della popolazione ed è diffusa almeno quanto l’autismo e il disturbo di deficit/iperattività (Adhd)». I dati utilizzati nella ricerca provengono dallo “Studio svedese su bambini e adolescenti gemelli” che raggruppa le statistiche sulla salute psichiatrica e lo sviluppo di tutti i gemelli nati in Svezia a partire dal primo luglio 1992. Tra i nati tra il 1992 e il 2010, circa 34 mila individui, la ricercatrice ne ha individuati 682 con diagnosi di Arfid – che ha conseguenze differenti da quelle procurate da anoressia nervosa, bulimia o da un disturbo dell’immagine del corpo.
Dall’indagine è emerso che la prevalenza dell’Arfid è maggiore tra i maschi (2,4%) rispetto alle femmine (1,6%). I problemi provocati da questo disturbo dell’alimentazione e che sono stati rivelati risultano, nell’ordine:
Mettendo a confronto la prevalenza dell’Arfid tra gemelli identici e fraterni in riferimenti ai rispettivi genitori e parenti stretti si è giunti all’evidenza di un 79% di rischio dovuto alla trasmissione di fattori genetici. Si tratta di un dato di notevole portata, ben superiore a quelli fatti registrare dall’anoressia (48-74%), dalla bulimia (55-61%) e dal binge eating (il disturbo da alimentazione incontrollata, da non confondere con la bulimia: 39-57%).
Il tasso di ereditabilità dell’Arfid, è la conclusione dei ricercatori svedesi, si trova sul medesimo livello dell’autismo, della schizofrenia e dell’Adhd. C’è da dire che trattandosi di un disturbo ancora relativamente “giovane” i confini diagnostici dell’Arfid appaiono ancora non ben delineati.
Finora si è scoperto, spiegano gli esperti, che l’Arfid condivide alcuni sintomi comuni a patologie molto differenti tra loro, come i disturbi alimentari e quelli d’ansia, e i disturbi dello spettro autistico. Per tracciare un profilo più chiaro saranno necessari altri studi e altre ricerche, attualmente in corso.
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