Ci sono 7 cose a cui dire no per vivere meglio e uscire alla grande dal grigiore quotidiano. Alla fine potremmo scoprirci più liberi.
Spesso infatti ci facciamo bloccare da abiti mentali e abitudini che ci impediscono di crescere davvero come persone e di farci sbocciare, chiudendoci alla vita. Ecco quali sono i sette “no” che ci faranno stare meglio.
Alzarsi al mattino, andare a lavorare, mangiare, dormire. E così, a ripetizione, ogni giorno. Sappiamo tutti che il tran tran e la routine quotidiana si accompagnano a presenze poco gradite: la noia e la monotonia associate a tutto ciò che è ripetitivo e meccanico.
È duro da ammettere, ma questa è una realtà che coinvolge praticamente tutti, salvo forse una sparutissima minoranza che riesce a non annoiarsi proprio mai. Se trovi questo discorso familiare però c’è un’altissima probabilità che anche tu sia rimasto bloccato nel girone infernale della routine, dove la condanna sembra quella di essere costretti a muoversi un po’ come i criceti, con la loro ruota che gira sempre allo stesso modo.
Le 7 cose a cui dire no per migliorare la nostra vita
C’è poco da fare: la monotonia della vita quotidiana è un avversario ostico, di quelli che ti lavorano ai fianchi. Ma quello che è certo è che da questa lotta non possiamo tirarci indietro.
Per quanto difficile da spezzare, la noia è un avversario che dobbiamo affrontare. A volte sembra come di affondare lentamente nelle sabbie mobili. E più si lotta, più si rischia di rimanere invischiati nella melma.
Ma non è detto che sia sempre così. Per allentare la presa e provare a migliorare la nostra vita possiamo provare a mettere in pratica alcuni semplici accorgimenti. In particolare ci sono 7 cose dalle quali cominciare per cambiare (in meglio) qualcosa nella nostra routine quotidiana, scopriamole insieme.
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Indugiare come se non ci fosse un domani
Perdere tempo in attività inutili, stare sempre ad indugiare. Chi può dire di esserne esente? Il giochino è semplice: cerchiamo di sfuggire alle frustrazioni presenti nella realtà (che non mancano mai) per mezzo di piccoli piaceri. Così ci adagiamo in un letto di sogni. Magari guardandoci la nostra serie preferita di Netflix al posto di attività meno piacevoli come lavare i piatti o portare giù la spazzatura.
Peccato che così facendo le frustrazioni – essendo dati reali, non prodotti di fantasia – non solo restano lì e non diminuiscono affatto: aumentano ancora. E con loro aumentano i nostri tentativi di fuga nel mare delle distrazioni, che si fanno sempre più intense. Insomma, rischia di innescarsi il classico circolo vizioso che alla fine ci farà perdere un mucchio di tempo dietro ad attività inutili e improduttive.
Ogni volta ci ripetiamo che «stavolta sarà diverso». Ma la realtà è che i buoni propositi si rivelano insufficienti. Continuiamo a cadere nello stesso errore. Ancora e ancora, come se fossimo “programmati” per perdere tempo a bighellonare. Serve un cambio di mentalità: quell’attività, anche se divertente, ti fa soltanto perdere tempo. Non ti aiuta a portare a termine le cose. Ti trattiene in un limbo dove l’inconcludenza è la regola generale. Rimandando ora quei compiti meno desiderabili, non fai altro che aumentare lo stress e le preoccupazioni che successivamente si presenteranno inevitabilmente a presentarti il conto.
Oggi non va molto di moda dirlo, ma la parola chiave per uscire da questo vicolo cieco c’è: si chiama disciplina. Intendiamoci: non si tratta di organizzare la propria vita come se fossimo in caserma. Ma di imparare a gestire il proprio tempo, quello sì. È tutta una questione di gestione del tempo.
Possiamo provare a organizzare i nostri compiti secondo orari ben precisi, magari suddividendoli in compiti più gestibili. Ma soprattutto dobbiamo imparare a sapere dire di no quando si affaccia il pensiero della procrastinazione che invita al solito cincischiare ozioso. Prima che la nostra mente vada alla deriva inseguendo le fantasie cominciamo subito ad agire. Ricordandoci che smettere di indugiare non significa autofustigarsi, ma vivere meglio senza cadere nel circolo vizioso che ci porta ad accumulare dosi sempre crescenti di frustrazioni.
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Bando al perfezionismo
Anche se può sembrare strano, il secondo nemico da combattere è spesso legato al primo. Non sempre infatti indugiare sulle cose e procrastinarle sine die sono abitudini legate a una scarsa capacità di autocontrollo.
Infatti rimandare a un domani – che peraltro non ha mai voglia di arrivare – quello che dovremmo e potremmo fare oggi può essere benissimo l’effetto collaterale di un eccesso di perfezionismo. Nel profondo, stiamo rimandando quel compito importante perché abbiamo paura di rovinare le cose, di non farle bene. Anzi, di non farle alla perfezione.
Un conto è infatti fare le cose bene, cercare di farle al meglio. Un altro è ricercare l’assoluta perfezione. Il perfezionismo diventa una forma mentis che porta a pensare troppo, macchinando compulsivamente senza decidersi mai, sempre alla ricerca del pelo nell’uovo. C’è poco da fare: l’ossessione di fare le cose “per bene” ci impedisce di progredire, di fare un passo in avanti.
Il paradosso è che fissando standard teorici talmente elevati da risultare praticamente irraggiungibili, il perfezionista prepara la strada al suo più grande timore: il fallimento. Ma bisogna essere sinceri: quaggiù sulla terra la perfezione semplicemente non è raggiungibile, salvo aiuti celesti (del resto imprevedibili). Possiamo prendere la perfezione come una tendenza al costante miglioramento, come ideale-limite.
Insomma, una cosa è la tendenza al perfezionamento, un’altra è il perfezionismo. A volte dimentichiamo che il bene e la felicità non sono il frutto di nostre “conquiste” meticolosamente pianificate per conseguire l’ottimo e la perfezione. Quasi sempre sono il frutto di azioni apparentemente inutili, dalle quali nulla vogliamo conseguire. O, meglio, di azioni volute per sé indipendentemente dalle loro conseguenze. La felicità ci viene data come dono, non come conquista. Un po’ come succede con l’innamoramento.
Il monito di Leopardi contro il perfezionismo
Accampare pretese eccessive rischia di diventare invece un modo per rendersi infelici. Un noto proverbio dice che «l’ottimo è il nemico del bene». Il significato è chiaro: ricercando affannosamente la perfezione e ponendosi obiettivi troppi ambiziosi, rischiamo di ottenere l’esatto opposto del risultato sperato. Alzando sempre l’asticella del livello da superare rischiamo di perdere anche il bene concreto che abbiamo a portata di mano.
La pretesa incondizionata di assoluto da conquistare con le proprie forze può trovarsi all’origine di molte infelicità. Lo sapeva bene Leopardi quando scriveva: «Chi sa pascersi delle piccole felicità, raccogliere nell’animo suo i piccoli piaceri che ha provato nella giornata, dar peso presso se medesimo alle piccole fortune, facilmente passa la vita, e se non è felice, può crederlo e non accorgersi del contrario.
Ma chi non dà mente se non alle grandi felicità, non considera come guadagno e non procura di pascersi e ruminare seco stesso i piccoli accidenti piacevoli, le piccole riuscite, soddisfazioni, conseguimenti ec. e tiene tutto per nulla, se non ottiene quel grande e difficile scopo che si propone; vivrà sempre cruccioso, ansioso, senza godimenti, e in vece della gran felicità ritroverà una continua infelicità. Massimamente che, conseguito ancora quel grande scopo, lo troverà molto inferiore alla speranza, come sempre accade nelle cose lungamente desiderate e cercate».
Meglio perciò saper dare un limite alle proprie ambizioni di perfezionismo. Accettiamo il fatto che fare del nostro meglio è già abbastanza buono. In caso contrario, il perfezionismo rischia di rovinarci la vita.
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Mai autodenigrarsi
Spesso e volentieri i peggiori nemici di noi stessi siamo proprio noi, quando diamo retta a quell’implacabile critico interiore che cerca di farci vergognare della nostra stessa esistenza. C’è anche chi si affeziona violentemente a pensieri neri, recriminazioni, ire.
Bene, come ha consigliato una persona molto saggia bisogna disobbedire alla parola nera e disperata che talvolta sembra aver preso in ostaggio il nostro cuore. E uscire dal tunnel della distruttività che può fare tanto male alla nostra psiche e a nostro spirito. L’eccesso di autocritica può minare fiducia e autostima.
Ne consegue che acconsentire al pensiero nero e alle sue suggestioni insidiose può condizionare negativamente la motivazione e la determinazione a completare le nostre attività o a raggiungere i nostri obiettivi. Ma quali sono le caratteristiche principali dei pensieri cattivi su noi stessi?
Pensiero nero, come si comporta
I pensieri neri sono categorici: affermano qualcosa su di noi in maniera perentoria, irrevocabile. Inoltre assolutizzano una parte della realtà, presentandoci come primarie e imprescindibili cose che sono secondarie e viceversa. Poi ci isolano dagli altri, facendoci credere che nessun altro ci possa capire.
Dopodiché il tipico pensiero negativo passa a presentarci prospettive senza via d’uscita: solo vicoli ciechi. Da qui si innesca in noi un’ansia di trovare soluzioni ad ogni costo. Ma dato che un vicolo cieco per definizione vie d’uscita – e dunque soluzioni – non ne ha, ci si condanna a essere tristi e impotenti.
Insomma, l’effetto è quello di precipitarci in quella tristezza dal sapore dolciastro che è il vittimismo. Che sembra dare consolazione, ma in realtà ci imprigiona in una palude infeconda e, in fondo, autodistruttiva. Prima lasciarci trascinare in questo vortice di negatività, meglio fare un passo indietro e ricordarci che dobbiamo essere compassionevoli anche con noi stessi. Anche in questo caso, un conto è cercare di migliorarsi, un altro è cedere alle suggestioni mortifere di un tarlo interiore che produce in noi una paura distruttiva.
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Non esporsi a relazioni tossiche
Magari non ce ne accorgiamo, ma potremmo essere circondati da persone che sembrano provare una gioia maligna nell’umiliarci, come se ne godessero. Inutile dire che questo ha poco o nulla a che vedere con la vera amicizia.
Un sano rapporto di amicizia presuppone reciprocità, spontaneità e generosità. Soprattutto il vero amico è qualcuno che ci stima incondizionatamente: per quello che siamo, non per quello che facciamo o perché possiamo tornargli “utili”.
Invece le relazioni tossiche sono legami dannosi e subdoli che possono tenerci bloccati a lungo, non solo in campo sentimentale ma anche in quello amicale. Un’amicizia tossica produce in noi instabilità, ci fa perdere calma e serenità. Ci trascina verso il basso facendoci perdere la fiducia in noi stessi. La “tossicità” si riconosce dalla tendenza ad avere scarsa considerazione di noi, ma anche dalla tendenza a lamentarsi, colpevolizzare, giudicare, criticare.
Attenzione però: la persona tossica non è chi, magari in un momento critico, ci dica qualcosa che non volevamo sentirci dire ma che andava detto per il nostro bene. E nemmeno dobbiamo identificarla con chi ci fa torto senza volerlo o con chi non è riuscito a essere presente come fa di solito. No, la persona tossica è quella che sistematicamente e deliberatamente riesce a farci star male.
L’amico dovrebbe essere un porto sicuro in un mare in tempesta, il rifugio caldo e accogliente durante una tempesta di neve. Ma se quel porto comincia a essere disseminato di mine vaganti, se il rifugio si trasforma in uno stato d’assedio, questi segnali indicano che il legame si è fatto distruttivo.
Magari lo è sempre stato o magari ha assunto questa natura negativa e tossica col tempo. Poco importa. Se le cose si sono messe così, meglio tagliare e interrompere il legame tossico che rischia di trascinarci a fondo. Ne va della nostra salute.
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Non mettersi sempre a confronto con gli altri
Va bene: l’uomo è (anche) un animale competitivo che passa buona parte del suo tempo – alcune ricerche parlano di un 10% – a confrontarsi con gli altri, che si tratti di intelligenza, ricchezza o capacità di attrattiva.
Questa voglia di misurarsi non è sempre negativa: avere un metro di paragone ci permette di migliorarci, ci dà motivazioni, degli scopi, obiettivi da raggiungere, qualcosa a cui aspirare. Ma anche il confronto può anche diventare una trappola che, a lungo andare, danneggerà autostima e fiducia.
Freud parlava del narcisismo delle piccole differenze. Secondo il padre della psicoanalisi è la tendenza, che si attiva soprattutto quando a confrontarsi sono gruppi e comunità molto simili tra loro, a enfatizzare i minimi segni di distinzione. Piccole differenze, appunto, sovraccaricate di significato per affermare la propria irriducibile unicità. Così magari ci si scanna per un nonnulla in nome di un narcisismo di gruppo.
Paragonarci agli altri rientra nella natura umana, è nell’ordine delle cose. Ma quando diventa un’ossessione rischia di renderci dipendenti dal comportamento e dal giudizio altrui. Meglio allora cercare di contrastare questa tendenza concentrandoci sul nostro viaggio nella vita, invece che su quello degli altri. Meglio guardare ai nostri avanzamenti e non a quelli altrui.
Magari scopriremo che alla fine ognuno di noi si muove al suo ritmo, coi suoi talenti, pregi e difetti, coi suoi punti di forza e di debolezza unici. E che si può imparare gli uni dagli altri emulandosi in maniera positiva, gareggiando a stimarsi invece che a superarsi. Capiremo che la vita è anche comunione e non solo competizione. Ne avremo guadagnato noi per primi.
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Smettere di trovare scuse per ogni cosa
Capita a tutti di fare errori, di sbagliare, di fare confusione. Dopotutto siamo umani, non macchine progettate per agire in maniera chirurgica e infallibile. E meno male, aggiungiamo.
Una cosa però è accettare i propri umanissimi limiti, che è cosa sacrosanta. Un’altra è cercare sempre scuse per noi stessi e i nostri errori. Cercare giustificazioni è una tendenza naturale, possiamo anche dire che è un meccanismo di difesa davanti a un mondo che non mostra di apprezzarci granché. Ma proprio questo è il presupposto sbagliato che rischia di farci deragliare, la convinzione-virus a cui non bisogna cedere: pensare che la vita consista nell’essere apprezzati.
È ovvio che essere apprezzati fa piacere, ma non per questo possiamo trasformarci in bidoni aspira-tutto di attenzioni. Pensare questo è pericolosissimo per il semplice motivo che questa aspettativa è destinata a priori a essere delusa. Anche se tutti ci apprezzassero presto o tardi scopriremmo che questo consenso vale poco e dura anche meno e che ci porta soltanto a essere parassiti del giudizio degli altri.
Le false convinzioni che non aiutano a crescere
Ma c’è di più: ci impedisce di crescere. Si dice che per diventare adulto un giovane debba liberarsi di alcune illusioni. Una di queste è appunto la convinzione “che tutti lo amino”. Da piccoli cresciamo in ambiente, quello familiare, che in genere è una riproduzione soft e ovattata del mondo esterno. Per forza: è limitato alla nostra cerchia di genitori, fratelli, parenti, amici stretti, ecc.
In famiglia viviamo in una specie di ambiente protetto che ci protegge dagli urti della vita reale, in una situazione dove siamo costantemente coccolati e al centro dell’attenzione generale. Così è naturale sviluppare la tendenza a considerarci il perno privilegiato della vita comune e comportarsi conseguentemente. Le cose cominciano a cambiare coi primi incontri con gli altri bambini, con la scoperta delle prime difficoltà della vita sociale (invidie, gelosie, contrasti, competizioni, rivalità, ecc.) che cominciano a mettere fine a questa illusione.
A volte però fatichiamo anche da adulti a liberarci da questa idea che tutti debbano essere indulgenti e comprensivi con noi. E di conseguenza cerchiamo sempre di accampare scuse. Se questa tendenza a spostare costantemente la colpa dei nostri guai o a trovare scuse improbabili si fa eccessiva, forse è giunto il momento di metterci una bella pietra sopra.
Inventarsi sempre scuse e giustificazioni in questo modo equivale a voler scansare ogni responsabilità delle nostre azioni. Ma prendersi le proprie responsabilità è precisamente il contrassegno della personalità adulta e matura (quella che ha terminato di adolescere, cioè di crescere, portando a compimento il processo di maturazione).
Viceversa, cercare sempre scuse impedisce di crescere come persona. Per maturare infatti è indispensabile anche confrontarsi in maniera lucida e consapevole coi propri errori, esige uno sforzo per correggersi e limare i propri difetti caratteriali.
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Avere il coraggio di cambiare
A volte lasciamo che la paura di cambiare per il meglio prenda il controllo nella nostra vita. Per cui ci chiudiamo a riccio in una specie di tana interiore che ci rassicura e dà sicurezza. E non usciamo più da lì.
Anche in questo caso comodità e sicurezza hanno un prezzo alto, troppo alto. Sul loro altare infatti sacrifichiamo la nostra crescita personale. La paura è una specie di frusta interiore che ci flagella e porta ad assumere atteggiamenti distorti.
Paura, un mostro multiforme
Talvolta la paura ci trasforma in belve aggressive, altre volte in animali remissivi e intimoriti. Impone il suo ritmo alla nostra vita impedendoci di maturare.
E la cosa peggiore è che la paura può assumere molte forme, come una specie di Proteo.
- Paura di deludere. Possiamo cadere preda della paura di deludere gli altri. Da qui il terrore di sbilanciarsi, l’atteggiamento di chiusura che porta a non aprirsi mai del tutto, la volontà di evitare ogni confronto, di smussare ogni angolo.
- Paura di perdere il controllo. È questo timore a farci viaggiare col freno a mano costantemente tirato, senza mai premere un minimo sull’acceleratore per paura di finire fuori strada. Così non ci lasciamo andare mai, terrorizzati dalla perdita della nostra incolumità. Ci arrabbiamo facilmente, non ci fidiamo di nessuno, teniamo il muso a lungo se le cose non vanno come vogliamo noi.
- Paura di non essere perfetti. Come dicevamo prima, spesso siamo sempre scontenti di noi stessi proprio per il timore di essere imperfetti. È per questo che ci vergogniamo, non chiediamo mai aiuto, facciamo di tutto per passare inosservati, non accettiamo la minima critica. Facciamo finta di essere forti e maturi. Ma della forza e della maturità portiamo soltanto una maschera. Quella che ci serve per non apparire mai deboli.
- Paura di essere poco importanti. Questa paura ci porta a voler per forza piacere e sedurre gli altri. Per cui tendiamo a straparlare, a vantarci dei nostri successi e delle nostre capacità, entrando sempre in competizione con gli altri, parlandone male. E per non patire umiliazioni arriviamo a svenderci. Siamo disposti a tutto, anche a farci compatire, pur di non essere esclusi.
- Paura di soffrire. In questo caso subentra un terrore della minima frustrazione e per il minimo dolore. E allora tendiamo a “mostrificare” ogni possibilità di rischio cercando la fuga in qualche piacere momentaneo. Per distrarci magari cerchiamo di affogarci in un mare di attività, fissandoci avidamente su di loro. In genere si matura anche una memoria da elefante per i torti e le sofferenze che abbiamo subito. I nostri dolori diventano pagine incancellabili, quasi epiche. Inutile dire che i torti e i dolori che abbiamo arrecato noi invece non sono contemplati e il loro ricordo svanisce molto presto dalla nostra memoria.
Per lasciarsi alle spalle tutte queste paure dobbiamo quantomeno essere disposti a cambiare. Il che significa necessariamente rinunciare alla propria zona di confort. Ma ricordiamoci sempre che questo sforzo serve a farci vivere meglio. Il coraggio di disobbedire alle paure ci aprirà la strada verso la vera libertà.