Il termine Shrinkflation potrebbe non dire niente ai più, ma in realtà si tratta di una pratica commerciale scorretta.
Alzi la mano chi, dopo aver acquistato un pacco di merendine, non ha notto che fossero più piccole del solito.
Probabilmente dopo aver fatto una riflessione del genere abbiamo tutti alzato le spalle e ci siamo gustati ugualmente la buonissima merendina. Ma dietro a queste “inezie” si cela in realtà un fenomeno molto preoccupante, soprattutto perché a farne le spese sono i consumatori.
Andare al supermercato dovrebbe essere un’attività piacevole e soddisfacente, ma negli ultimi tempi possiamo tristemente affermare che sia diventata una “guerra“. L’inflazione, ma anche la bieca speculazione, hanno fatto schizzare i prezzi alle stelle e i consumatori devono stringere la cinghia sempre di più. Anche perché gli stipendi sono gli stessi ormai da anni, e nonostante le direttive UE non aumentano.
Eppure quando la UE comanda di adottare Leggi per la Natura, o pacchetti di aiuti per fabbricare le armi queste vengono rispettate, senza se e senza ma. Ma giorno dopo giorno, vuoi per la guerra vuoi per altre problematiche, i cittadini si ritrovano sempre più in difficoltà economiche.
Oltre a questo, devono affrontare anche un fenomeno che in realtà è in essere già da diversi anni, una pratica commerciale che si chiama Shrinkflation. Andiamo a capire di cosa si tratta e soprattutto come fare a difendersi.
Cos’è lo Shrinkflation, come riconoscerlo e come tutelare i nostri soldi
Il termine shrinkflation è un neologismo che deriva dall’unione di due parole: “to shrink“, che in italiano significa “restringere“, e “inflation” che rimanda com’è intuibile al concetto di “inflazione“.
In pratica i produttori di alimenti e bevande cosa fanno? Riducono la dimensione della confezione, la grammatura o la quantità in millilitri di un prodotto, magari ideando anche un nuovo packaging. La piccola differenza è che il prezzo totale della confezione rimane invariato.
Tradotto, significa che mangiamo e beviamo una minor quantità di cibo, ma lo paghiamo come prima, cioè come quando le quantità erano più ampie. Anzi, a volte il prezzo finale di un prodotto aumenta – magari con la scusa dell’adeguamento – mentre il prodotto all’interno della confezione è sempre meno.
Non si tratta di un mero sospetto, o di un’accusa senza fondamento, tutt’altro. Alcuni esperti hanno misurato questo fenomeno e hanno riportato gli esempi. Il “trucchetto” un po’ subdolo lo possiamo verificare coi nostri occhi, andando ad acquistare i prodotti che consumiamo di solito. Ma se qualche consumatore non si è mai accorto di niente, ecco alcuni esempi concreti.
I casi eclatanti di shrinkflation, una volta scoperto come funziona non farai più la spesa allo stesso modo
Nonostante il termine sia in un’altra lingua, non significa che lo shrinkflatin non si verifichi anche nel nostro Paese. Anzi, purtroppo il fenomeno è in essere da molti anni e sembra che nessuno riesca a fermarlo. Per capire dove sta “la fregatura“, riportiamo alcuni esempi che anche la rivista per consumatori Altroconsumo ha pubblicato. I dati sono diffusi anche da un’associazione nata per informare i consumatori, per renderli più consapevoli e per evitare che cadano in confusione. Per non dire proprio in una truffa.
Tra i prodotti più rappresentativi di shrinkflation ne troviamo molti che sicuramente fanno parte del nostro carrello della spesa:
- la Philadelphia light un tempo veniva venduta in confezioni da 200 grammi; oggi costa di più e le confezini sono di 190 grammi;
- i biscotti Krumiri Bistefani passano invece da 300 a 290 grammi;
- il detersivo per i piatti Nielsen oggi lo acquistiamo – sempre più caro, come gli altri prodotti – in flaconi da 900 ml. mentre prima erano di 1 litro;
- i fazzoletti usa e getta prima erano venduti in confezioni da 10 pezzi, oggi ve ne sono solamente 9.
Oltre a questi comportamenti fatti regolarmente dalle industrie alimentari, ci sono altri fenomeni di cui tenere conto, perché possono impattare sul costo finale della spesa.
È il caso ad esempio, dei formati speciali e/o edizioni limitate di alcuni prodotti. Il consumatore viene “illuso” di acquistare una variante del prodotto, che paga però molto di più. Per comprendere anche in questo caso come le aziende guadagnano a spese nostre, facciamo degli esempi.
Uno di quelli più eclatanti, riportati sempre dalla rivista Altroconsumo, è quella di una nota marca di biscotti: le Gocciole Pavesi. In commercio esistono vari gusti, come quelli al cioccolato, al cocco, la variante wild o extra dark. Il consumatore ignaro vede le varianti e sceglie in base al gusto, e fin qui sembrerebbe tutto normale.
In realtà le confezioni sembrano uguali ma non lo sono. Le gocciole classiche sono venduta in confezioni da 500 grammi, mentre la variante al caramello in buste da 300 grammi. A parità di prezzo finale, il consumatore spende ben il 116% in più per 200 grammi in meno di biscotti. Senza accorgersene.
Altre pratiche dall’etica dubbia sono quelle che i grandi brand adottano per vendere confezioni speciali, multipack o edizioni di alta qualità dei prodotti. Ecco qualche esempio pratico che può far capire come veniamo “fregati” al supermercato.
- Pasta Barilla: una confezione standard da 500 grammi per la linea classica costa 0,99 euro, mentre la pasta integrale 1,29 euro. La nuova linea “Al bronzo” con lavorazione grezza, costa 1,35 euro ma il bello è che la confezione ne contiene solamente 400 grammi.
- Caffè Segafredo classico in polvere: una confezione singola è venduta solitamente di 250 gr. ma se acquistiamo i multipack le confezioni sono solamente di 230 gr.
Questo in pratica inficia tutti i calcoli che possiamo fare sul momento mentre scegliamo i prodotti, pensando di risparmiare sulle confezioni multiple. Una pratica che è difficile non definire scorretta. Ma potremmo addirittura chiederci se sia legale.
Lo shrinkflation è legale?
Al momento anche l’Antitrust sta indagando sul fenomeno, ma indipendentemente dalle eventuali decisioni che verranno prese possiamo riflettere su alcuni punti.
Innanzitutto un’azienda potrebbe difendersi spiegando che in realtà mette a disposizione del consumatore tutte le informazioni utili. Nelle confezioni “ridotte” infatti il peso/quantità/volume è scritto, e non viene nascosto niente.
Siamo noi consumatori che dovremmo leggere più attentamente le etichette, e su questo non possiamo che convenire.
È anche vero, però, che già in passato le pubblicità ingannevoli sono state oggetto di sanzioni e non è detto che prima o poi questo fenomeno dello shrinkflation verrà bandito. Mentre attendiamo questa eventualità non abbiamo altre armi che la nostra accortezza (e anche pazienza).
Per capire il reale valore – e prezzo – di un prodotto, non dobbiamo far altro che controllare il prezzo totale al chilo o litro. Solamente così capiremo se il prodotto sia ad un prezzo effettivamente troppo alto o meno.