Sindrome di Kawasaki, attenti ai vostri figli: quali sono i sintomi e come si cura la malattia che colpisce i bambini

Avete mai sentito parlare della sindrome di Kawasaki? Ecco la testimonianza diretta di una donna che l’ha letteralmente toccata con mano

Al figlio di Mrs Hinch, nota influencer di Instagram, è stata recentemente diagnosticata la sindrome di Kawasaki. Se il nome vi suona strano, non preoccupatevi: è una malattia rara e se ne parla molto poco. Colpisce principalmente i bambini sotto i cinque anni ed è più comune nei maschi e nelle femmine. E purtroppo non si sa esattamente quale ne sia la causa.

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La sindrome di Kawasaki è una malattia rara e se ne parla molto poco. (Grantennistoscana.it)

Un certo numero di bambini nel Regno Unito (e non solo) ha contratto la sindrome di Kawasaki nel 2020, in piena pandemia di Covid-19, tra cui un bambino di appena otto mesi che purtroppo è morto. I medici del Great Ormond Street Hospital di Londra sostengono che i legami con il coronavirus non siano (ancora) stati dimostrati, ma cresce l’allarme. Ecco tutto quel che c’è da sapere.

La Sindrome di Kawasaki dalla A alla Z

Mrs Hinch, il cui vero nome è Sophie Hinchliffe, ha rivelato che suo figlio Ronnie, di tre anni, ha trascorso 10 giorni in ospedale con la sindrome di Kawasaki. E i medici non avevano idea delle possibili cause dei sintomi manifestati dal bambino nei primi giorni di ricovero. La donna, mamma di due figli, ha spiegato che i principali sintomi ai quali va prestata attenzione sono “una temperatura elevata persistente, eruzioni cutanee, gonfiore e poi desquamazione delle mani e dei piedi, labbra rosse con vesciche, occhi iniettati di sangue, lingua “a fragola”, mal di gola con infiammazione e ghiandole linfatiche gonfie”. L’influencer ha sottolineato che la corsa in ospedale aveva “scosso” la sua famiglia, com’è ovvio che sia.

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La sindrome di Kawasaki è una malattia autoimmune caratterizzata da febbre prolungata (Grantennistoscana.it)

Che cosa è la sindrome di Kawasaki? Nota anche come sindrome linfonodale muco-cutanea, prende il nome dal pediatra giapponese Tomisaku Kawasaki ed è una vasculite infantile delle arterie di medio-piccole dimensioni che colpisce soprattutto le arterie coronarie. Si tratta di una malattia autoimmune caratterizzata da febbre prolungata, esantema, congiuntivite, mucosite, linfoadenopatia cervicale e poliartrite di gravità variabile. Una diagnosi non tempestiva può avere esiti fatali, come l’infarto del miocardio. Come accennato, la malattia colpisce principalmente i bambini sotto i cinque anni di età.

Le possibilità di cura della Sindrome di Kawasaki

Nei soggetti affetti da sindrome di Kawasaki i vasi sanguigni si gonfiano, il che può portare a complicazioni nelle arterie coronarie (che forniscono sangue al cuore). Può causare aneurismi, con conseguenti attacchi di cuore e malattie cardiache. In casi più rari, il sanguinamento interno può essere causato quando l’aneurisma scoppia. Ogni anno circa 8 bambini su 100.000 sviluppano la sindrome di Kawasaki. I medici spiegano che la malattia è simile alla sindrome da shock tossico: circa il 25% dei casi continua a sperimentare complicazioni cardiache anche dopo la guarigione. E può causare mortalità nel 2-3% dei casi se non trattata.

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Sebbene colpisca principalmente i bambini, la sindrome di Kawasaki può essere riscontrata anche negli adulti. (Grantennistoscana.it)

La causa della sindrome di Kawasaki è attualmente sconosciuta, ma è stato appurato che un bambino può esserne colpito se eredita determinati geni dai loro genitori. La malattia non è contagiosa e non può essere trasmessa da persona a persona. Tra i sintomi principali figurano: ghiandole gonfie al collo, eruzioni cutanee, labbra che appaiono secche e screpolate, occhi arrossati, dita delle mani e dei piedi rosse, febbre per oltre 5 giorni di seguito.

Sebbene colpisca principalmente i bambini, la sindrome di Kawasaki può essere riscontrata anche negli adulti. In presenza di sintomi sospetti, il consiglio è quello di consultare urgentemente un medico. È meglio se il trattamento inizia il prima possibile: prima partono le cure, più veloce è il tempo di recupero e minore è il rischio di sviluppare complicazioni. Per i bambini è possibile un recupero completo entro sei-otto settimane in caso di diagnosi precoce e trattamento tempestivo.

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