Non puoi rinunciare a uramaki e nigiri almeno una volta alla settimana? Ma conosci bene i vari pericoli legati al consumo del sushi?
C’è poco da fare: il sushi o si ama o si odia. Non è come un piatto di pasta che mette alla fine d’accordo tutti, ma un modo di intendere l’alimentazione, prima ancora della cucina, anche molto distante dal nostro e che ha preso sempre più piede, specialmente negli ultimi anni, grazie alla fortunatissima formula “All you can eat“.
Eccezion fatta per i ristoranti alla carta dove il prezzo sale vertiginosamente in alcuni casi, trattandosi anche di preparazioni e materie prima più ricercate, con 16 o 17 euro a pranzo è possibile mangiare tutto quello che si vuole senza limiti. Ovviamente, la qualità ne risente per forza di cose. Nel senso che non si può ritrovare la stessa cura e ricercatezza in un ristorante che punta prettamente sulla quantità.
Così, c’è chi lamenta pezzi fin troppo piccoli con poco condimento e tanto riso o ancora scarso rispetto delle normative sull’igiene e la sicurezza degli alimenti. A prescindere dalla preparazione e dagli ingredienti, infatti, vige ancora la granitica convinzione che consumare pesce crudo faccia male.
Tuttavia, anche i ristoranti di pesce nostrani che propongono tra i loro antipasti carpacci e insalata di gamberi possono avere pessimi standard qualitativi. A dimostrazione del fatto che non è la cucina, quanto il locale a fare la differenza.
Alla scoperta del sushi: sashimi, hossomaki e onigiri sono salutari?
Insomma, appurato come prima di tutto scegliere un ristorante qualificato sia alla base di un’esperienza culinaria soddisfacente, c’è da capire ora se il sushi sia a priori salutare oppure no. Stiamo parlando ovviamente di un’ottima cucina, molto gustosa e dalla tradizione millenaria. Molti però sostengono anche che si tratti di una cucina sana e che faccia bene al nostro organismo.
Ma è davvero così? La risposta, molto banalmente, è che dipende. Di norma, infatti, il sushi permette di consumare un piatto unico che contenga al suo interno tutti i macronutrienti necessari. Però, parlare aprioristicamente di cucina salutare in toto non è del tutto corretto. Nello specifico nella sua versione “basic” con solo riso, pesce e alga nori è un piatto molto bilanciato.
Grazie, infatti, alla presenza tanto del riso quanto del pesce (specialmente salmone e tonno), si garantisce al nostro corpo un apporto adeguato di iodio (alla base del buon funzionamento della tiroide), vitamina D e grassi salutari. Sono tutte e tre sostanze da cui possiamo trarre sicuramente ottimi benefici.
Tuttavia, uno dei limiti più grandi riguarda l’assenza di verdure che l’alga nori, malgrado sia ricca di potassio, magnesio, calcio, fosforo, rame, ferro e zinco non può sostituire in toto. E un altro suo limite riguarda l’alta presenza di sodio. Questo, infatti, può compromettere il sistema cardiovascolare se mangiato in grandi quantità.
La “versione occidentale” e la salsa di soia: due aspetti del fusion ben distanti dalla tradizione giapponese
Ma il discorso si complica quando il sushi incontra l’Occidente. Proprio perché si tratta di una cucina esotica molto lontana dalla nostra, per renderla più accattivante e anche più “familiare” si è deciso di “contaminarla” con prodotti più vicino al nostro sentire comune. Nulla di sbagliato, si intende, eppure si è sacrificato un po’ il concetto di salutare.
Se al riso, al salmone e all’alga, infatti, si aggiunge l’avocado, la Philadelphia o la maionese, va da sé che l’apporto calorico cambi non poco, specialmente se si mangiano 8 pezzi di hossomaki fritti o un uramaki con gambero fritto. Ovviamente sono entrambi molto buoni, ma non proprio tipici della tradizione culinaria nipponica. E non finisce qui!
È altamente sconsigliato anche l’abuso di salsa di soia che contiene all’incirca 7 grammi di sodio. Stiamo parlando di una quantità 3 volte superiore alla dose massima di sodio che si dovrebbe consumare giornalmente. Tuttavia, un espediente per evitare un’assunzione esagerata di sodio c’è. Ti basterà, infatti, intingere nella salsa di soia il pesce e non il riso, che ne assorbirebbe troppa.
Tutti i pericoli del sushi: dalle larve ai colori fasulli, sai cosa mangi realmente?
Una delle preoccupazione principali quando si mangia il sushi resta però la conservazione del pesce crudo. Se questo, infatti, viene abbattuto o, peggio, conservato male, i rischi non sono di certo da sottovalutare.
Tra tutti, quello più dibattuto, resta sicuramente il rischio Anisakis. Stiamo parlando di un vermetto biancastro o rosato dalla lunghezza di 1-3 centimetri che nel caso di un’intossicazione alimentare può causare:
- Vomito;
- Diarrea;
- Febbre;
- Crampi addominali;
E non si può far nulla per evitare la presenza di queste larve nel pesce crudo, se non solo una corretta conservazione. “L’unico parassita presente nei prodotti ittici destinati al consumo umano che può causare reazioni allergiche è l’Anisakis“, hanno spiegato, come riportato da ‘Today‘, gli esperti dell’Efsa (Autorità europea sulla sicurezza alimentare) sui pericoli biologici legati al consumo di sushi. E tutti i pesci, sia di acqua dolce che di mare, possono contenere al loro interno le larve del verme.
Ma non finisce qui. Winy Messens, esperta in microbiologia dell’Efsa, ha spiegato come il pesce crudo se non adeguatamente trattato seguendo gli standard di sicurezza, può essere contaminato da microrganismi responsabili delle più comuni intossicazioni alimentari. “Esempi di questi microrganismi sono Salmonella e Listeria monocytogenes, che possono causare rispettivamente salmonellosi o listeriosi“, ha sottolineato l’esperta.
Non solo parassiti: a cosa si deve prestare attenzione quando si mangia al ristorante giapponese?
Ovviamente, per evitare spiacevoli inconvenienti intestinali, sono necessari dei trattamenti volti a debellare l’insorgere di questi parassiti. Tuttavia, malgrado le precauzioni, non è inusuale ogni anno registrare un numero significativo di infezioni in Italia legate proprio a un’insufficiente conservazione del pesce crudo.
Per eliminare le larve di Anisakis e di altri parassiti, infatti, non basta la marinatura e l’affumicatura a freddo a cui si affidano ancora oggi tantissimi produttori e ristoratori. Sempre gli esperti dell’Efsa hanno spiegato come serva un trattamento equivalente al congelamento per una protezione efficace. Nello specifico, il pesce va trattato a -20ºC per almeno 24 ore, a -35ºC per almeno 15 ore oppure, se si hanno congelatori domestici, a -18°C per almeno 96 ore.
Esiste però in alternativa anche il trattamento termico. Si tratta di una cottura almeno per un 1 minuto oltre i 60 gradi a cuore del prodotto. Tuttavia, l’Autorità per la sicurezza alimentare dell’Irlanda ha precisato come il calcolo delle ore può avvenire solo dopo che la temperatura del cuore del pesce sia tra i -20 e i – 35 gradi. Insomma, è certamente un trattamento complesso, ma al contempo fondamentale per la nostra salute.
E questa catena del freddo riguarda tutti i tipi di pesce. Il tonno e lo sgombro, però, hanno bisogno di una particolare attenzione per evitare la degradazione dell’istamina, una molecola tipica proprio di questi due pesci. “I casi di allergia da istamina, conosciuti anche come sindrome sgombroide, si verificano prevalentemente nelle stagioni calde“, hanno spiegato sempre gli esperti.
“Di solito perché il produttore non ha mantenuto il prodotto alla giusta temperatura del freddo“. In altre parole, non è stata rispettata la catena del freddo, alla base di una corretta temperatura di refrigerazione del pesce, per un mala gestione del prodotto dopo l’acquisto da parte del consumatore o del ristoratore. Trasportare o, peggio, lasciare perfino un trancio di tonno freschissimo per più di 30 minuti in auto o in cucina con temperature che superano abbondantemente i 30 gradi aumenta il rischio di istamina.
Basta spezzare o non gestire adeguatamente la catena del freddo, anche per pochissimo tempo, per rovinare il pesce con conseguenti danni alla salute. In Italia ogni anno si registrano diversi casi di allergia dai più lievi caratterizzati da difficoltà respiratoria ai più gravi che possono condurre il soggetto allergico alla morte in assenza di un pronto intervento con l’antistaminico.
Il problema dei colori fasulli nel tonno e nel salmone: ciò che vediamo influenza ciò che mangiamo
Se tutti, però, chi più chi meno, conoscevamo i rischi legati alla catena del freddo e ai parassiti del pesce, il discorso cambia con i colori fasulli. Uno dei problemi più gravi collegato alla grande distribuzione, infatti, riguarda il possibile uso di trattamenti illegali con additivi per rendere il colore del prodotto più accattivante.
Quando si dice, insomma, che l’occhio vuole la sua parte, non si scherza mica. Un piatto buonissimo, se è esteticamente brutto da vedere, non farà mai presa sull’acquirente. Motivo per cui si ricorre ai colori fasulli per ovviare il problema. Gli acquirenti, infatti, hanno nella loro mente un colore ben preciso per il tonno rosso o il salmone. Motivo per cui rimangono abbastanza delusi quando la tartare o il sashimi di tonno ha un colore più scuro e meno vivido.
Eppure, quella colorazione così scura indica come il pesce sia stato trattato adeguatamente. Se il colore, infatti, è ancora rosso vivo, allora significa che le temperature di congelamento del pesce sono state bassissime. Un potenziale pericolo quindi per la nostra salute sia per i parassiti che per gli additivi. “Spesso l’industria ricorre dunque all’utilizzo di additivi non ammessi che aiutano a mantenere la colorazione rossa“, hanno precisato ancora gli esperti.
“Purtroppo a volte questi additivi possono anche comportare rischi per la salute“, hanno aggiunto parlando di un recente abuso in alcuni filoni di tonno di nitriti e nitrati che hanno causato il ricovero d’urgenza di 6/7 persone alla fine uscite indenni ma messe in serio pericolo. Insomma, più il colore è vivido è più sospetto.
Ecco perché non dovresti di certo in toto smettere di mangiare sushi. Tuttavia, la prossima volta fa più attenzione a tutti questi piccoli campanelli d’allarme che fanno la differenza. Ma non solo. Se il prezzo proposto anche per un “All you can eat” è fin troppo basso, meglio informarsi per bene prima di prendere in mano le bacchette.