Potrebbe capitare a chiunque di essere vittima di discriminazione sul lavoro. Tuttavia, non è detto che ci si debba limitare a subire: ecco come tutelarsi.
Le discriminazioni sul posto di lavoro continuano ad essere una triste realtà, con cui molte persone devono fare i conti quotidianamente. Che si basino su fattori come il sesso, l’etnia, la religione, l’orientamento sessuale o la disabilità, sono assolutamente vietate dalla legge e non possono essere giustificate in nessun modo. Tutelarsi dalle discriminazioni è possibile e, di seguito, vedremo in che modo farlo.
In questo articolo ci concentreremo, in particolare, sulle discriminazioni di genere. In Italia, come evidenziato da diverse indagini, è ancora presente un notevole gap quando si parla di uomini e donne in relazione all’ambito lavorativo. I primi percepiscono, in molti casi, uno stipendio più alto in riferimento alla retribuzione lorda media. Inoltre, incontrano meno difficoltà nell’ottenere posizioni rilevanti e di potere.
Nonostante i progressi che hanno interessato la lotta per i diritti delle donne, oggi ci sono ancora tante criticità nel mondo del lavoro. E la pandemia di Covid-19, seguita da una crisi economica a livello internazionale, non ha certamente migliorato la situazione. Nel 2020 la percentuale di persone di sesso femminile che ha perso la propria occupazione è stata il doppio rispetto a quella di persone di sesso maschile.
Discriminazioni sul posto di lavoro, la recente indagine dell’ILO
Negli scorsi mesi l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) ha sottolineato, ricorrendo ad un indicatore realizzato appositamente, come le donne debbano affrontare maggiori difficoltà durante la ricerca del lavoro. Il divario di genere è “rimasto praticamente invariato per due decenni”.
Il 15% delle persone di sesso femminile in età lavorativa si trova in stato di disoccupazione. Mentre, per quanto riguarda gli uomini, la percentuale è pari al 10,5%. Come se non bastasse, tante donne si ritrovano ad essere impiegate soprattutto per occupazioni che rientrano nelle categorie più vulnerabili (per esempio, i lavori incentrati sulla cura della persona).
Tutto questo ha conseguenze negative sui guadagni della popolazione femminile, nettamente inferiori rispetti a quelli degli uomini. Una donna che desidera lavorare potrebbe doversi scontrare con gli stereotipi e le discriminazioni già durante le prime fasi di selezione, con domande “scomode” relative alla sfera personale e privata.
Il datore potrebbe voler sapere se è sposata o se pensa di avere figli e anche la maternità può trasformarsi in un vero e proprio ostacolo. Quesiti simili, solitamente, non vengono rivolti agli uomini alla ricerca di un’occupazione. Le donne in età fertile vengono spesso discriminate proprio in vista della possibilità di una gravidanza, che rischierebbe di “pesare” sulla produzione aziendale.
Discriminazioni dirette e indirette, quali sono le differenze
In diversi casi, la gravidanza va di pari passo con la conclusione di un contratto a tempo determinato o, nelle situazioni peggiori, un licenziamento. Oltre alle domande inopportune nel corso dei colloqui e ai problemi che potrebbe portare la maternità, non bisogna sottovalutare le discriminazioni dirette e indirette che si presentano quotidianamente. Quali sono le differenze?
Le prime sono più palesi: se ti accorgi di aver subito un trattamento avverso rispetto ad un tuo collega, nonostante la situazione in questione fosse la medesima, vuol dire che sei stata vittima di una discriminazione diretta. Quelle indirette, invece, potrebbero essere più complicate da identificare. Chi le perpetra, infatti, ha la tendenza a mascherare il suo atteggiamento, provocando tuttavia una circostanza sfavorevole per coloro che le vivono.
Anche gli approcci indesiderati possono rientrare nell’ambito delle discriminazioni sul posto di lavoro. Le molestie, purtroppo, continuano ad essere molto diffuse e sono tanti i casi di donne che non denunciano per paura di perdere la propria occupazione, di subire ripicche o di essere accusate. Precisiamo che gli abusi non sono solo fisici, ma possono essere anche verbali.
Come reagire davanti alle molestie e ai comportamenti penalizzanti
Il primo consiglio, in caso di molestie, è rivolgersi direttamente all’ufficio del personale spiegando quanto accaduto. Successivamente sarà necessario procedere con alcune indagini per accertare l’abuso. Le discriminazioni sul lavoro, inoltre, vengono chiaramente vietate dalla legge e di conseguenza è possibile ricorrere a strumenti ben precisi per potersi tutelare.
Le norme di riferiscono a qualsiasi tipo di comportamento penalizzante non solo legato al genere della vittima ma anche alla sua etnia, orientamento sessuale, età, religione, idee politiche, adesione a sindacati o partecipazione a scioperi. Ciò vuol dire che le discriminazioni possono essere segnalate, consultando (se possibile) il reparto delle Risorse Umane dell’azienda per cui si lavora.
In alternativa, c’è sempre la possibilità di denunciare presso il Tribunale Civile, che procederà con gli accertamenti appositi. Il responsabile della discriminazione – se il fatto viene comprovato – verrà obbligato ad interrompere la sua condotta. Inoltre, potrebbe rischiare di dover versare un risarcimento in caso di possibili danni.
Per quanto riguarda le aziende, l’adozione di politiche inclusive e volte a contrastare le discriminazioni è vivamente consigliata. E come messo in evidenza da recenti studi, si lega a diversi vantaggi. Le società che prestano attenzione al tema della diversità hanno riscontrato un aumento pari al 30% dei loro profitti, oltre ad essere riuscite a creare un ambiente che consenta a tutti di sentirsi maggiormente al sicuro.