Come le donne potranno andare in pensione a partire dal prossimo anno? Molto bolle in pentola e ci sono tre misure allo studio del governo
Quando si parla di pensioni e di come il sistema pensionistico evolverà nell’arco del prossimo anno e degli anni successivi, uno dei principali argomenti di discussione riguarda le misure che potrebbero essere introdotte per le donne. In tanti ad esempio si chiedono se il Governo, che sta lavorando alla possibilità di prorogare alcune di queste misure, possa ad esempio andare ad ampliare la platea delle lavoratrici che potranno accedere ad Opzione Donna tornando di fatto ai requisiti previsti nel 2022, prima della ‘sforbiciata’ arrivata per l’anno in corso.
Fatto salvo che è ormai improbabile sperare di vedere prendere forma una completa riforma delle pensioni, ciò che ci si augura è che, in attesa di un vero e proprio progetto riformatore, possano essere prorogate o introdotte una serie di possibilità che consentano, in particolare alle donne, di anticipare i tempi e poter andare in pensione un po’ prima.
Pensioni, cosa cambierà nel 2024 per le donne? Tutte le misure allo studio del governo
Stando alle indiscrezioni dell’ultimo periodo l’esecutivo a traino Giorgia Meloni sarebbe intenzionato a dar seguito a tre specifiche misure anche per tutto il 2024: un modo per ‘tamponare‘ quanto previsto dalla riforma Fornero dal punto di vista dei requisiti. Tutte le misure infatti vanno in scadenza il 31 dicembre e se non venissero prorogate tutti i lavoratori dovrebbero rispettare le regole della legge Fornero e non potrebbero andare in pensione prima dei 67 anni. Ebbene le misure sono l’Ape sociale insieme a Quota 103 e ad Opzione Donna, ma quello a cui il governo sta lavorando è la possibilità di modificare alcuni dei requisiti al fine di aumentare il numero di persone che le possa sfruttare.
Il problema è legato in particolare ad Opzione Donna che con gli attuali requisiti risulta poco appetibile alle donne lavoratrici ed accessibile solo ad un limitato numero di persone. Pertanto ad oggi lo scenario in tal senso è ancora poco chiaro ma sono tre le variabili che si prefigurano all’orizzonte e sulle quali i ministri e la premier dovranno prendere una decisione: Opzione Donna potrebbe essere mantenuta con i medesimi requisiti del 2023 adottando un’unica ‘variante‘ ovvero la cancellazione del vincolo sui figli avuti.
Questo però taglierebbe fuori un alto numero di donne lavoratrici, come ad esempio quelle che pur avendo 35 anni di contributi e 60 anni nel 2024 non la potranno sfruttare. Il problema deriva proprio dal fatto che nel 2023 sono state ridotte le categorie di donne che possono beneficiarne e quindi chi ha, nel 2023, i requisiti che solo un anno prima gli avrebbero permesso di andare in pensione, non può accedervi. La seconda variabile guarda, per l’appunto, alla vecchia misura datata 2022 mentre la terza variabile andrebbe a prevedere un incremento dell’età di uscita.
Opzione Donna, cosa succede con un ‘ritorno al passato’
Chiaramente la scelta che alle lavoratrici piace di più è quella che guarda al passato dato che lo scorso anno Opzione Donna prevedeva 35 anni di contributi previdenziali versati e, per le dipendenti, almeno 58 anni di età mentre per le autonome almeno 59 anni. Diversi erano i requisiti per le casalinghe che potevano però andare in pensione a 57 anni. Nel 2023 le categorie di beneficiari sono state ridotte a quattro. Riprendere la misura come è stata proposta nel 2022 però prevederebbe, a fronte di un’uscita anticipata dal mondo del lavoro, un ricalcolo contributivo della pensione, con un trattamento mensile che, inevitabilmente, risulterà più basso rispetto alla pensione ‘piena’ che prenderebbero altrimenti.
Questo peraltro contribuirebbe ad una maggiore spesa previdenziale, della quale beneficerebbe direttamente lo Stato; verrebbe cioè lasciata parte della pensione maturata pur di andare prima in pensione. Ma il governo al momento non sembra considerare troppo questa possibilità.
La preoccupazione del governo in tal senso è dettata dal fatto che, man mano che passano gli anni, l’appeal per la misura potrebbe aumentare. Il motivo è legato al fatto che il calcolo contributivo produce già di per sé un trattamento pensionistico più basso rispetto a quello retributivo, valido solo per le donne che hanno maturato contributi fino al 31 dicembre 1995. Il numero di queste lavoratrici va diminuendo anno dopo anno e sono sempre più quelle che stanno svolgendo attività lavorative dal 1 gennaio 1996 in poi. Questo, nel contesto di Opzione Donna, renderebbe la ‘perdita’ nel ricalcolo inferiore di anno in anno, creando un problema per l’esecutivo dal punto di vista della sostenibilità della misura.
Opzione donna rimane come nel 2023 con piccole variazioni?
Mantenendo le cose come stanno adesso invece significherebbe concedere Opzione Donna solo ad invalide, caregivers, disoccupate e lavoratrici di aziende con tavoli di crisi avviati; per quanto riguarda i figli avuti, essi incidono soltanto su due delle quattro categorie in questione ovvero invalide e caregivers, pertanto rimuovere questo requisito non inciderebbe più di tanto sul miglioramento della platea, già di per sé molto ridotta. Ad oggi l’età per accedere è di 58 anni per disoccupate o con tavoli di crisi in atto, invalide o caregivers con due o più figli. Oppure 59 anni per invalide e caregivers con un figlio solo e 60 anni per caregivers ed invalide senza figli. In questo contesto il governo potrebbe, in alternativa all’avere o meno figli, portare a 58 anni l’età di uscita di tutte le quattro categorie. Resterebbero fuori però tutte le altre categorie.
Opzione donna diventa Ape rosa?
Qualora il governo dovesse optare per la terza variabile la misura potrebbe anche cambiare nome dal momento che assumerebbe una forma non dissimile dall’Ape sociale. Per tale motivo potrebbe essere ribattezzata Ape rosa: premesso che siamo ancora nella sfera delle ipotesi, essa prevederebbe per tutte le lavoratrici, senza differenze in base al tipo di lavoro, l’accesso alla pensione all’età di 63 anni con 35 anni di contributi.
Con la possibilità di eliminare il vincolo del ricalcolo contributivo del trattamento: questo la renderebbe più favorevole dal punto di vista dell’importo mensile mentre resterebbe meno vantaggiosa per quanto riguarda l’età di uscita: bisognerebbe poi attendere i 67 anni per ricevere la pensione vera e propria.