Quando acquisti le uova al supermercato fate attenzione alla loro provenienza o le comprate basandovi solo sul prezzo? Facciamo chiarezza!
Le uova a casa non possono mancare mai e poi mai. Senza è come se mancasse un pezzo fondante della cucina. Neastano, infatti, appena quattro per preparare in un quarto d’ora scarso un pranzo o una cena coi fiocchi. Ecco perché tra tutti i cibi jolly, questo forse è l’alimento principe per eccellenza.
Giusto per rendere l’idea della meraviglia dei piatti che si possono preparare abbiamo sua maestà la carbonara, la frittata di zucchine, patate e chi più ne ha, più ne metta, una bella omelette o ancora uno zabaione per darci la giusta energia. Insomma, le idee non mancano.
E se si respira l’aria del Continente come si suole dire, si possono preparare anche le uova strapazzate a colazione per un pranzo più leggero, un po’ come fa Re Carlo ogni mattina, mangiando un uovo sodo, saltando a piè pari il pranzo per via dei suoi innumerevoli impegni. Ma non solo. Il sovrano non vi ha rinunciato anche lo scorso 6 maggio.
La portata principale servita a Buckingham Palace dopo la cerimonia all’Abbazia di Westminster, infatti, è stata proprio la quiche dell’incoronazione. Si tratta di una torta salata imbottita con fave, spinaci e dragoncello. E per i cuochi del Palazzo è parsa la scelta più coerente proprio perché Carlo da sempre adora piatti a base di formaggio e uova. Tuttavia, Carlo III non è stato di certo l’unico sovrano che ha apprezzato e apprezza le uova.
Le uova nella storia delle monarchie europee: d’oro e di cioccolato, scopriamo delle vere opere d’arte!
Nel corso dei secoli, infatti, la forma in sé per sé ha conquistato a prescindere dalla sua realizzazione culinaria. Ogni anno, infatti, la Pasqua non è la stessa senza le golosissime uova di cioccolato. Ma sapete che dobbiamo questa dolcissima invenzione in parte proprio a Luigi XIV? Il Re Sole, infatti, commissionò proprio delle uova di cioccolato. All’epoca il cacao era un alimento di importazione abbastanza recente.
Va ricordato, infatti, come prima della scoperta dell’America, l’Europa non conosceva per nulla il cioccolato. Fu infatti grazie all’incontro dei colonizzatori spagnoli con gli indigeni che bruciavano, tostavano e mescolavano i favi di cacao con acqua per realizzare l’antenato delle bevande energetiche che gli esploratori cominciarono ad apprezzarlo, tanto da farlo conoscere in Spagna e da lì ben presto ebbe una rapida diffusione anche in Francia.
E così, nel 1659 Luigi XIV, una volta nominato David Chaillou primo cioccolatiere del re, chiese proprio al maitre chocolatier di preparare al posto delle classiche uova d’oro delle originalissime uova di cioccolato per Pasqua, molto apprezzate a corte. A sorpresa, però, le più ghiotte non sono di cioccolato.
Le uova, infatti, conobbero il massimo del loro splendore in epoca zarina diventando dei pezzi pregiati e unici di gioielleria da far invidia a tutto il mondo. Se avete sentito parlare delle Uova di Fabergé, sapete bene di cosa stiamo parlando. In caso contrario, è giusto fare un piccolo cenno. Si possono considerare le Uova Fabergé delle vere opere di gioielleria. Per la prima volta le commissionò lo zar Alessandro III di Russia a Peter Carl Fabergé come dono pasquale per la moglie Maria Fëdorovna.
In seguito, lo zar Nicola II fece realizzare ogni anno a Pasqua sia per la moglie Aleksandra che per la madre, le uova dalla struttura a matrioska ricamate e impreziosite con diamanti, rubini e intarsi d’oro. Tuttavia, con la rivoluzione bolscevica e la caduta dello zarismo, nel 1917 la produzione in serie delle fortunatissime uova si interruppe una volta per tutte. Ma non è tutto. Di quelle realizzate, alcune ancora oggi sono disperse. Fatto sta che il loro valore storico e materiale è davvero inimagginabile.
Sapete da dove provengono le uova che acquistate al supermercato? Attenzione ai codici!
E dopo questo breve excursus sulla fortuna delle uova, arriviamo ai nostri giorni. Vi siete mai chiesti, infatti, da dove provengano le uova che la catena della grande distribuzione fa finire poi sugli scaffali del nostro supermercato di fiducia o vi basate solo sul prezzo allettante per la scelta finale?
Partiamo da una semplice considerazione. Tutte provengono da allevamenti specializzati proprio di galline ovaiole “nate” e “pensate” per la loro capacità di produrre quante più uova possibili. Ci sono alcune razze, infatti, che riescono anche deporre in media perfino un uovo al giorno.
Considerando la domanda, il benessere economico che – nel bene e nel male – contraddistingue i paesi più industrializzati e il numero di persone che popolano questo mondo, l’offerta non può mai essere carente o sotto le aspettative della domanda. Motivo per cui diventa di fondamentale importanza una produzione continua e certa, la stessa che solleva da diversi anni diversi polemiche proprio sugli allevamenti intensivi e sui diritti degli animali.
Questo, però, è un discorso ampio complesso e pieno di implicazioni tanto economiche quanto culturali. Tornando, invece, alla provenienza, tutto quello che ci serve sapere sulla provenienza delle uova si trova proprio sui codici stampati sui gusci. Se vogliamo, possiamo considerare il codice una sorta di etichetta contente tutte le informazioni che potrebbero interessare il consumatore, come l’allevamento da cui provengono le uova. Ma come si legge il codice?
Guida pratica e veloce per leggere i codici sui gusci: la prima cifra fa la differenza
Proprio perché esistono diversi sistemi in atto rispetto al sistema di allevamento usato per le galline ovaiole, è importante innanzitutto leggere e decifrare la prima cifra del codice riportato sul guscio. Nello specifico, il numero “0” indica come le uova siano state prodotte con pratiche di agricoltura biologica.
Alloggiate in capannoni la cui densità massima è di 6 galline ogni metro quadrato, le galline hanno anche accesso libero a spazi all’aperto dalla superficie minima di 4 mq per animale. Ma non solo. Anche la “dieta” delle galline per la produzione delle uova proviene sempre dall’agricoltura biologica.
Nel caso in cui, invece, il codice inizi col numero “1“, allora significa che le galline sono state allevate all’aperto in capannoni la cui densità massima è di 9 galline ogni metro quadrato. Gli spazi all’aperto, inoltre, hanno dai 2,5 ai 4 metri quadri per animale e trattandosi di allevamento all’aperto, le galline possono utilizzarli anche per diverse ore al giorno. Infine, altro aspetto da non sottovalutare, il processo di nidificazione avviene in nidi sopraelevati o a livello del suolo.
Cosa significa ancora il numero “2“? Se il codice inizia con questo numero, allora le galline vivono all’interno di capannoni – con una densità massima di 9 galline per metro quadro – senza accesso all’esterno e con posatoi anche a più piani per i nidi, in modo da favorire la deposizione delle uova. Ma non solo. Proprio perché le galline non possono uscire all’aperto, i capannoni sono dotati di specifici programmi che ricreano la luce e il buio per rispettare il più possibile il “ciclo naturale“. Malgrado la condizione, però, gli animali hanno comunque accesso libero ad acqua e cibo.
Qual è il codice peggiore che potete trovare sul guscio delle uova?
Il numero “3” infine indica la condizione peggiore di tutte per le galline. Queste, infatti, vengono allevate in gabbie di metallo posizionate su più livelli all’interno sempre di un capannone. E gli spazi sono anche eccessivamente ristretti. Pur accedendo liberamente ad acqua e cibo, ogni gallina si può muovere in uno spazio di 0,75 centimetri quadri.
Le gabbie hanno anche un’area di nidificazione comune per deporre le uova, lettiere per beccare e graffiare, strumenti per accorciare gli artigli delle galline e posatoi. Sono però l’espressione peggiore degli allevamenti intensivi che non garantiscono per nulla i diritti, nonché il rispetto degli animali proprio come dicevamo prima.
Insomma, la loro condizione non è certamente delle migliori e denota uno “sfruttamento” di fondo votato proprio alla produzione incontrollata e massiva che si fonda sulla società moderna. E se da un lato si tratta solo della legge della domanda e dell’offerta, dall’altro subentra tutta una questione etica che riscuotendo un’eco mediatica crescente.
Ma cosa indica il resto del codice? Fino ad ora, infatti, ci siamo concentrati solo sul primo numero, ovvero quello che ci fornisce tutte le informazioni rispetto al tipo di allevamento. Ma il resto? Indica nello specifico la provenienza del luogo, ovvero lo Stato, il Comune, la Provincia, nonché il numero identificativo dell’azienda agricola che ha assegnato l’ASL competente. Insomma, la prossima volta che comprerete le uova per una frittata al volo, fate attenzione al codice e su quale tipo di allevamento si appoggia principalmente quella determinata catena di supermercati.