C’è un particolare disturbo che porta a sperimentare nausea e disgusto davanti a un certo tipo di oggetti, scopriamo di cosa si tratta.
Solo da pochi anni si è cominciato a indagare su questo disturbo che può rivelarsi molto invalidante per chi ne soffre.
La fobia è qualcosa di molto diverso dalla semplice paura. Qui parliamo di un vero e proprio terrore capace di paralizzare la persona fobica.
Un morso che paralizza, questo è la fobia. E c’è poco da scherzare. Di fobie esiste un vasto campionario, associate agli oggetti, alle cose, ai comportamenti e alle situazioni apparentemente più impensabili. Per chi ne soffre, una fobia può diventare eccezionalmente invalidante, una vera e propria patologia.
C’è ad esempio chi ha paura di ridere: è la geliofobia. Così come c’è chi prova terrore davanti ai vestiti (di solito verso ben determinati capi di abbigliamento) e all’atto di vestirsi. In questo caso si parla di vestifobia. O ancora c’è chi ha paura del mento (geniofobia), di aprire gli occhi (optofobia) o di addormentarsi (somnifobia). Perfino c’è chi rimane atterrito perché teme di camminare (ambulofobia).
Una nuova fobia, ecco qual è
Tutte paure folli che possono rendere la vita un autentico incubo. Ma la fobia di cui vogliamo parlare oggi ha un altro nome ancora. Si tratta infatti della tripofobia, ovvero la paura dei buchi. Il termine deriva dal greco trýpa, che vuol dire buco, e phóbos, che significa paura e indica appunto la paura dei buchi o dei fori.
Nella letteratura scientifica il termine appare ancora piuttosto recente, tanto che il DSM non lo considera ancora alla stregua di un disturbo vero e proprio.
Comunque sia la tripofobia è una condizione che sta facendosi strada. Resta da capire cosa sia a determinarla e come si può intervenire per lasciarsela alle spalle. In alcune persone questa fobia dei buchi si manifesta sotto forma di una sensazione di nausea e ribrezzo alla vista di oggetti che fanno parte della nostra normale quotidianità, compresi anche gli alimenti. Possono essere anche immagini visualizzate navigando in rete. Talvolta i tripofobici possono anche entrare in tachicardia e sperimentare stati ansiogeni.
Tripofobia: come si manifesta il terrore per i buchi
Conosciuta anche semplicemente solo come paura dei buchi, la tripofobia si manifesta come uno stato di paura che può scatenarsi alla vista di un qualunque elemento che risulti puntellato da piccoli fori posti a distanza variabile tra di loro oppure ricoperto da una serie di piccole protuberanze. Non fa particolare differenza se si tratta di un elemento prodotto artificialmente o di origine naturale.
Perché si inneschi la tripofobia occorre, in particolare, che lo schema sull’immagine o superficie sia caratterizzato da ripetitività. Può anche trattarsi di forme geometriche. Sintomi e gravità di questo disturbo possono manifestarsi anche in maniera più severa nel caso in cui dai fori o dai buchi della superficie finita sotto lo sguardo della persona fobica fuoriescano ad esempio dei semi o degli insetti. L’esempio pratico può essere una spugna da bagno. Ma come vedremo anche un alveare o un fiore di loto che ancora deve sbocciare possono fungere da “innesco”.
Il termine tripofobia appare all’inizio degli anni Duemila, ma è entrato nella letteratura scientifica soltanto da dieci anni. Merito dello studio Fear of Holes pubblicato nell’agosto 2013 sulla rivista Psychological Science da Geoff G. Cole e Arnold J. Wilkins. Due università hanno condotto studi sulla tripofobia. Si trovano entrambe nel Regno Unito: l’Università di Essex e, più recentemente, quella di Kent.
Nell’abstract del loro studio i due ricercatori fanno riferimento all’irrazionalità e alla persistenza delle fobie, scatenate da alcuni oggetti o situazioni, le cause delle quali spesso non sono facilmente identificabili. I tripofobici, spiegano poi Cole e Wilkins, non sono coscienti di questa loro paura che attualmente non è stata ancora inclusa nel DSM-5, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali, ovvero la “bibbia” degli psichiatri.
Cause della tripofobia
Ma quali sono le origini della tripofobia? Di solito le fobie nascono da una radice culturale oppure affondano nel vissuto traumatico della persona. In apparenza la tripofobia sembrerebbe fare eccezione a questo schema dato che, esposta a stimoli che hanno una parvenza innocua, la persona che soffre di questa fobia deve fare i conti con sintomi talvolta anche invalidanti.
Secondo i due ricercatori britannici una delle cause della tripofobia si potrebbe collegare alla storia dell’evoluzione umana. Alla fonte di questa fobia – ancora non ufficializzata, è bene ribadirlo – ci sarebbe un ancestrale meccanismo di sopravvivenza. In sostanza all’origine di tutto ci sarebbe una reazione primitiva da parte dei nostri antenati di fronte a piante o animali pericolosi per la loro vita che sulla superficie presentano macchie o buchi. Così questi segnali sarebbero stati associati a un pericolo di vita.
Inoltre alla base della sensazione di disgusto potrebbe trovarsi il fatto, fanno notare i due esperti, buchi e fori sono luoghi di interscambio e anche, perciò, fonte di un potenziale pericolo di contaminazione. A questo si può aggiungere il fatto che una simile repulsione può essere legata alla possibilità di contrarre malattie infettive oppure malattie che si manifestano come eruzioni di forma circolare sulla pelle.
Cosa scatena la paura dei buchi
Anche se ancora sprovvista di un riconoscimento ufficiale, l’avversione per i buchi può provocare problemi non di poco conto a chi ne soffre. Mancano anche i criteri per poter parlare di una diagnosi clinica, ma se una persona per sei mesi ha visto crollare la propria qualità di vita allora forse sarà il caso di prendere contatto con uno specialista.
In psicologia si parla di effetto trigger (grilletto in inglese), che scatta quando uno stimolo ci porta a rivivere un trauma. È un effetto innesco che fa esplodere una reazione scatenando un disagio interiore. Un clic su un grilletto che ci riporta indietro a una precedente esperienza traumatica.
Quali sono dunque i trigger della tripofobia? Possono essere immagini come queste:
- Bolle di sapone
- Spugne da bagno
- Favi di alveari
- Coralli
- Fragole
- Melograni
- Tubi impilati tra loro
- Formaggio con buchi (tipo Gruviera o Emmental)
- Soffione della doccia
- Pori della pelle o bulbi piliferi
- Fiore di loto (o meglio il baccello del loto)
Come si vede si tratta di oggetti assolutamente di uso comune, ma capaci di azionare il “grilletto” che scatena reazioni e sintomi del tutto imprevedibili nella persona sofferente di tripofobia.
Sintomi della tripofobia
Vedendo immagini o oggetti come quelli appena elencati la persona terrorizzata dai buchi reagisce come se davanti a sé si fosse manifestato un pericolo imminente per la sua incolumità personale.
I sintomi ricorrenti della tripofobia sono essenzialmente quelli che si riscontrano in altre fobie, ovvero:
- Nausea o vomito
- Tachicardia
- Pianto
- Vertigini o sensazione di svenimento
- Brividi
- Formicolio o prurito
- Disturbi visivi (occhi affaticati, illusioni o distorsioni ottiche).
Sintomi come questi si possono ricondurre anche a uno stato d’ansia. È noto poi che nelle situazioni più gravi la persona fobica può essere soggetta a attacchi di panico che però, se si intercettano per tempo, possono essere in una certa misura gestiti.
Tripofobia, come curarla
In base alla frequenza, all’intensità e alla quantità complessiva dei sintomi, chi soffre di tripofobia o di fobie specifiche e riconosciute nel DSM, può accedere a più di una strategia per far fronte a questa condizione. Si può partire da tecniche di rilassamento e da esercizi per la respirazione nel caso ci si trovasse improvvisamente di fronte a un trigger (oggetto o immagine).
Mentre in casi più complessi, con sintomi sedimentati nel corso del tempo, la cosa migliore da fare è prendere contatto con una specialista che proporrà al paziente diversi approcci:
- Terapia farmacologica, in caso di sintomi molto invalidanti, con assunzione di benzodiazepine o di inibitori selettivi della ricaptazione della serotonina.
- Terapia parlata, come la terapia cognitivo-comportamentale, per lavorare col paziente sulle false credenze e sul trauma ridestato dal trigger.
C’è anche un terzo approccio, recentissimo, rappresentato dalla Realtà Virtuale, tramite la quale il paziente si vede esporre a situazioni non percepite come non a rischio e, progressivamente e in maniera controllata, a situazioni invece più complesse, sempre col professionista a fianco.
Il tutto accade con l’affiancamento costante del professionista. Comunque il paziente ha la possibilità, nella terapia in Realtà Virtuale, di fare training per il rilassamento muscolare e di ricorrere a tecniche di respirazione diaframmatica.
Infine c’è anche la tecnica del biofeedback, grazie alla quale il paziente, adeguatamente preparato, impara a riconoscere, gestire e controllare risposte e funzioni del proprio corpo in reazioni a stimoli che in questo caso sono di tipo fobico.